“Quando davanti a te si apriranno tante strade e non saprai quale prendere, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta. Stai ferma, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va' dove lui ti porta.”Undici anni. Capelli lunghi. Occhi grandi. Sopracciglia folte. Magliette larghe per nascondere un seno cresciuto troppo presto, quando ancora non sapevo che farmene. Una bambina, giocavo ancora con le bambole a volte. Un incontro durato tre anni, un incontro che a distanza di anni resta stampato nella mia testa e nel mio cuore. Capita che la penso ancora. Capelli castani, tinti, ricci, senza un verso (un po' come i miei), trucco leggero, sorriso gigante e contagioso. Tutte le mattine entrava in classe con la sua aria strampalata, le sue idee, il suo accento pugliese, i suoi libri. La sua borsa. Nella borsa aveva di tutto. Cartacce, cucchiaini, coltelli, mele, merendine, scontrini accartocciati, portafoglio aperto, foglie secche finite lì dentro chissà come. Anche nella sua macchina c'era uno strato di foglie, misto a sassi e terra, temevo che prima o poi sarebbero sbocciati i fiori. Non ci sarebbe stata male con una macchina piena di fiori. Io ce la vedevo bene. Gli altri prof non avevano mai abbastanza tempo per fare niente, a lei invece bastava per fare tutto, faceva anche molto più di quello che avrebbe dovuto fare. Con lei non ho imparato i congiuntivi e nemmeno le proposizioni, per lei l'analisi del periodo era una questione di relatività, quindi non la facevamo mai. Quelle poche volte che provavamo a farla era sempre una confusione, lei a volte non sapeva distinguere una proposizione causale da una finale, “è una questione di punti di vista” ci diceva e io pensavo fosse pazza. Forse lo era, per fortuna. Non mi ha insegnato la grammatica, ma mi ha fatto amare le parole, quelle degli altri e anche le mie. La mia bocca era sempre chiusa, la mia penna però scriveva. Con la bic blu in mano mi sentivo forte, grande, imbattibile, non avevo paura di esprimere le mie idee e i miei pensieri. La mia penna blu era l'oblò da cui guardavo il mondo. Riempivo diari con le mie cotte e le mie storielle, riempivo i quaderni con temi infiniti e racconti inventati. La mia prof diceva che avevo una mano bellissima, che a volte si stupiva dei miei congiuntivi e dei miei condizionali per caso messi al posto giusto. Lei mi coccolava ed io mi sentivo felice. Passavamo le ore di italiano a leggere brani presi da migliaia di libri, poesie che non avevo mai sentito e che non ho più sentito dopo. Lei voleva la nostra fantasia e provava a tirarcela fuori in ogni modo. Spesso all'ora di geografia, materia troppo scientifica forse, dipingevamo le pareti della classe. Alla fine delle medie avevamo la classe più bella del mondo, tutta azzurra, con i pesci, le onde del mare, una nave affondata, i nostri nomi sparsi come bollicine. Era divertente cambiarci nel bagno, metterci il peggio sottotuta che avevamo, la peggio maglietta gigante presa al babbo e imbrattarci tutti. Era un'artista, la mia professoressa, una che inventava recite, scriveva copioni, cuciva i costumi. Io odiavo recitare, ma tutti i preparativi mi divertivano molto. Voleva la nostra fantasia, voleva le nostre idee e non le importavano i rimproveri della preside o il programma canonico lasciato a metà. Voleva aprirci la mente. Avrebbe voluto staccare il crocifisso dalla nostra classe, cosa che destò un certo scandalo nel mio piccolo paese conservatore. Il crocifisso restò lì, immobile al suo posto, ma in compenso spuntarono anche altri simboli. La mia professoressa iniziò a raccontarci il mondo arabo, con lo scopo di costruire, noi, una casbah. In terza media, prima degli esami, eravamo tutti per terra nei corridoi, a dipingere pannelli di legno giganti, ad attaccare stoffe, creare veli, colorare piatti di ceramica. Avevamo fatto cartelloni e scoperto un sacco di cose, avevamo riso, avevamo riempito decine di fogli con parole scritte in arabo (o almeno arabo doveva essere). Una ventata di cambiamento. Quei pannelli sono rimasti in piedi all'ingresso della nostra scuola, ci sono ancora adesso. Si entra a scuola e c'è una casbah, fuori dalla casbah le classi con i crocifissi. La mia professoressa amava quello che faceva, sprigionava un entusiasmo e una passione che non ho più ritrovato in nessun altro insegnante, forse. Faceva le ore piccole per leggere quello che scrivevamo, per pensare nuove idee, per cercare nuovi concorsi. Ogni tanto entrava in classe sorridendo vittoriosa, con un mazzetto di fogli in mano, si metteva seduta e ci leggeva la traccia. Noi scrivevamo, lei spediva, io qualche volta vincevo. In camera mia c'è ancora lo stereo, funzionante, che ho vinto in prima media per un racconto sui nonni che a me ha sempre fatto schifo. Lei era in estasi, io mi vergognavo come un cane, ero rossa come un pomodoro e sarei voluta evaporare da quel palco. Sulla mia maglietta rossa, di moda quell'anno, c'era una scritta: “Saranno Famosi”, la mia prof in estasi, ripeto, diceva che era un segno del destino, che sarei diventata famosa, che sarei diventata una scrittrice e lei avrebbe letto tutti i miei libri. Cavolate, la mia professoressa nel destino nemmeno ci credeva. Attaccato al muro, incorniciato, c'è un cartoncino bianco con al centro la foto di gruppo della mia terza media e intorno le firme dei miei compagni, i saluti dei prof. Ecco, a rileggere oggi il saluto della mia prof di lettere mi viene quasi nostalgia. “Alla futura Susanna Tamaro, continua a scrivere. Con ammirazione”. Futura Susanna Tamaro. La mia prof amava quella scrittrice. Ci aveva fatto leggere tanti brani dei suoi libri. A rileggere quella dedica mi emoziono ancora. Non so nemmeno spiegare perché, ma è così. Da allora sono passati solo sette anni, ma mi sembrano sette secoli. Prof, non ho fatto il liceo classico perché sono un fenomeno nel cambiare tutto all'ultimo secondo; prof, al liceo mi sono innamorata della matematica, ma non sto studiando matematica all'università, perché alla fine non ero più convinta che fosse quella la mia strada. Prof, oggi ero in libreria, c'era quel libro sul bancone delle offerte. Va' dove ti porta il cuore. Ho fatto così, non sapevo che strada imboccare e mi sono seduta, ho aspettato. Sto aspettando. E se non sapessi ascoltarlo il mio cuore?
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