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My Week with MarilynRegiaCastGenereSe ti piace guarda ancheUscita italiana prevista
“Tutto ciò che vedono è Marilyn Monroe. Quando si rendono conto che non sono lei, fuggono.”
C’è la storia, una grande storia.
C’è la star, oh, che star!
C’è un ottimo cast, una confezione impeccabile, un’ottima realizzazione…
Bene, bene. E allora cosa stiamo ancora a parlare? Andiamo a correre a vederlo tutti, questo My Week with Marilyn!
Fermi tutti. Il film è guardabile e, anzi, male non fa vederlo, soprattutto per cercare di capire qualcosa di più di quel grande mistero, uno dei più grandi nella storia di Hollywood, che risponde al nome di
Marilyn Monroe.
Però c’è qualcosa che non va. Guardandolo ci si sente come Marilyn, alle prese con una vita confezionata alla perfezione, eppure non in grado di regalare piena soddisfazione.
Cosa c’è che non va allora, in questo film?
Capita, a volte, con le produzioni britanniche. Soprattutto quelle ambientate nel passato. Ricostruzioni perfette nella forma, recitate in maniera magistrale con tutti quegli accenti da English lesson grandiosi, solo che manca l’anima, il soul. E il cuore.
I wanna be loved by you, avete presente?
La storia alla base della pellicola è tratta dalle memorie di
Colin Clark, morto una decina d’anni fa. Nel 1957, l’allora giovanotto conobbe il primo vero grande amore. Già questo sarebbe materiale sufficiente per farne una storia importante, di quelle degne di essere raccontate. Non basta, però, perché il primo amore di Colin è stato una certa Marilyn. Non proprio una cosa che capita a tutti.
Certo, i maligni diranno che Miss Monroe ha avuto un sacco di uomini, quindi ciò che è successo a lui non è stato poi così unico, però avete comunque qualche cosa da ridire? Quest’uomo ha avuto come primo amore Marilyn Monroe, tanto di cappello.
Come ha avuto la fortuna di conoscere la più grande diva dell’epoca, e forse di tutte le epoche, uno sbarbatello come Colin Clark?
Desideroso di entrare a far parte del mondo del cinema in qualche modo, qualunque modo, è diventato assistente dell’assistente dell’assistente dell’assistente del pulisci cessi dello spazzacamino dell’assistente dell’aiuto regista del regista di una produzione di
Laurence Olivier: Il principe e la ballerina. Star della pellicola, oltre allo stesso Divo Olivier, anche la Diva Marilyn Monroe.
Fresca di terzo matrimonio con lo scrittore Arthur Miller, Marilyn arriva a girare in Gran Bretagna portando con sé tutte le sue manie, i suoi leggendari ritardi e anche il suo comportamento autodistruttivo.
Un grande punto interrogativo, Marilyn. Una donna in grado con uno sguardo di gettare ai suoi piedi qualunque uomo sulla faccia della Terra, un’arma di masturbazione di massa più potente di qualunque bomba atomica, eppure allo stesso un’anima tanto fragile.
Una persona piena di insicurezze che si portava dietro un’assistente lacché personale apposta per tenerle su il morale, sempre sull’orlo della
depressione. Un'attrice insicura delle proprie capacità. Una donna perennemente insoddisfatta e alla ricerca di qualcosa. Tra le ombre dell’infelicità di Marilyn spunta però sul set un raggio di sole grazie all’incontro con il giovane Colin Clark, il terzo assistente al regista Olivier, con cui vivrà una breve ma intensa relazione.
Una storia splendida che dalla sua ha la forza di un personaggio tanto iconico quanto pieno di zone d’ombra come Marilyn. Ha dalla sua la narrazione di un’avventura romantica come poche altre. Ha dalla sua, per di più, la possibilità di raccontare il dietro le quinte di una produzione cinematografica realizzata con un’altra figura certo non di secondo piano come Laurence Olivier, interpretato da un
Kenneth Branagh gigionissimo e del tutto irresistibile.
L’impressione che lascia My Week with Marilyn è però pressapoco la stessa dell’
Hugo Cabret di Martin Scorsese: due grandi personaggi, due pezzi di storia del Cinema (là Georges Méliès, qua Marilyn Monroe), due storie sulla carta notevoli. Eppure… delusione. Per altri versi sono due film parecchio distanti, però ad accomunarli nel risultato finale è la mancanza, come dicevamo in apertura, di cuore.
Se Hugo Cabret non può essere attaccato da un punto di vista registico, questo My Week with Marilyn invece può. Eccome, se può. Dietro la mdp siede
Simon Curtis, uno che ha una lunghissima esperienza in film tv e serie tv e… si vede. A livello cinematografico, il suo più che un film può essere considerato una fiction. Posso capire avere uno stile classico, ma nel caso di Curtis si può parlare più che altro di piattezza. Non di classicismo. Se al suo posto avessero messo un manichino, non credo si sarebbe notata
la differenza.
Allo stile (quale stile?) registico, corrisponde una bella storia gettata al vento da una sceneggiatura molto di maniera, troppo lineare e didascalica. Senza ritmo, senza trovate, senza vere svolte che non siano ampiamente prevedibili, senza coraggio, con il personaggio del protagonista maschile che rimane parecchio anonimo, anche per via del protagonista
Eddie Redmayne. Va bene essere imbambolati da Marilyn, ma questo appare imbambolato sempre. Era quanto richiesto dal copione? Forse sì…
Ben altro spazio avrebbe meritato la figura di Lucy, la ragazza innamorata del protagonista che si troverà di fronte a una competizione impossibile per qualunque altra donna. Forse perché non di una vera donna, bensì un sogno, di un’idealizzazione si tratta: Marilyn Monroe. A interpretarla è
Emma Watson, pronta finalmente a gettarsi la Hermione di
Harry Potter alle spalle e che in questa seppur piccola parte fa ben sperare per il futuro. Al contrario di
Daniel Radcliffe, ma questa è un’altra storia.
E veniamo a colei che affrontava l’impresa più ardua: diventare Marilyn.
Il grande pregio della performance di
Michelle Williams è di non essere diventata una imitazione di Marilyn. Non si è limitata a farle il verso, replicando solo i gesti e i movimenti per cui era (stra)famosa.
Michelle Williams ha reso una versione molto personale di Marilyn. L’ha fatta sua. Era il modo migliore per renderle omaggio, per riportarla in vita. Non scimmiottarla come può fare una
Valeria Marini qualunque.
La sua interpretazione è di certo la nota più positiva, eppure pure qui manca qualcosa.
Io adoro Michelle Williams fin dai tempi di Dawson’s Creek, ho apprezzato le sue scelte di carriera, il suo allontanarsi da ruoli teen facili per proseguire con un cinema ostico, indipendente (
Blue Valentine, Wendy and Lucy, Meek’s Cutoff), l’essere riuscita a imporsi nell’ambiente hollywoodiano con due nomination agli Oscar (per Brokeback Mountain e per questo), però ha un tipo di bellezza e di fascino diversi. Marilyn era un’altra cosa. E, come ci dimostra anche la serie musical
Smash, è impossibile da replicare.
In questo film manca poi quasi del tutto la componente sensuale. La componente sessuale. Parlare di Marilyn e realizzare un film così poco sexy è un crimine, più che un’occasione mancata.
Riepilogando.
Ci sono: storia, star e ottimi attori.
Mancano: anima, cuore e sesso. Ovvero ciò che rendevano Marilyn, Marilyn.
Come fare un film su Maradona senza pallone, figa e coca.
Come direbbe lei, allora: Bye bye, baby.
(voto 6/10)