Una serie di letture recenti di autori italiani, per lo più giovani, per lo più che attingono per le loro opere all’esperienza autobiografica (quattro nomi su tutti: Tomassini, Garufi, Tonon, Dadati) mi ha fatto balzare all’occhio una caratteristica che li accomuna e di cui si sarà senza meno scritto e parlato negli affollati gironi infernali della critica letteraria italiana, ma di cui, per mia colpa, mia grandissima colpa, non ho avuto notizie. Il centro della rappresentazione di questi romanzi è la realtà (“le cose stanno così”, l’accertamento non è accettazione!” era scritto nel Manifesto del New Realism lanciato lo scorso anno dal filosofo Maurizio Ferraris), una verità che non cerca in alcun modo di attrarre il lettore, neppure attraverso l’esposizione del dolore – che rappresenta ancora una delle leve più forti capaci di mettere in connessione il testo con chi legge – e che non è neppure rappresentazione (come avveniva nella miriade di precedenti storici legati alle varianti del termine “realismo”), ma è in via assoluta. In questi testi, in qualche modo, si è fatto un salto, si è incominciato a usare una tecnica mutuata dal cinema, una specie di presa diretta che permette di avere il “suono” originale degli ambienti, dei dialoghi e di quant’altro accade sul “set”, un live in cui nulla viene scartato perché ritenuto disturbante o anti-estetico. Un risultato che però viene ottenuto non attraverso un semplice travaso dei dati dal reale – più o meno autobiografico, più o meno manipolato – alla pagina scritta (come facevano per esempio i surrealisti e i beat, ossia adoperando tecniche di scrittura automatica), ma con un lavoro paziente e minuzioso sulla qualità della lingua. L’effetto finale è un’adesione al reale impressionante, mai consolatoria. Il testo letterario non è più il mezzo attraverso cui si racconta un fatto; il testo letterario – parafrasando McLuhan – diventa esso stesso un fatto, che è a sua volta materia per un racconto ulteriore (accade spesso che la composizione del testo diventi materia del romanzo), un trascinamento metatestuale che finisce per convogliare vita e arte oltre ogni precedente storico. Tutto questo alla faccia di quegli addetti ai lavori che per anni non hanno fatto altro che ripeterci che il vizio inveterato di taluni scrittori di degenerare nell’autobiografismo (da distinguersi dall’autobiografia, dove la presenza dell’autore nell’opera letteraria è conclamata) era deteriore e che la vita di un individuo normale non ha nulla di speciale da meritare di essere raccontata, non almeno quanto la pura invenzione.
La mia su una questione di critica letteraria di cui son pieni i blog
Creato il 17 dicembre 2012 da AndreapomellaPossono interessarti anche questi articoli :
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