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Il vero pericolo delle serie TV è quello di rimanere imprigionati in certi ruoli. E’ quello che, purtroppo o per fortuna, è successo a Zach Braff, l’indimenticabile J.D. di Scrubs. Timido, romantico e infantile nel telefilm sembra esserlo anche nella vita e il suo esordio alla regia non serve a scollargli di dosso un ruolo che forse gli si addice e corrisponde a realtà.
Il suo Andrew, protagonista di La mia vita a Garden State, rispecchia infatti le insicurezze di un giovane aspirante attore partito dalla provincia per farsi una carriera che ancora stenta a decollare e che probabilmente hanno pesato anche sullo Zach alle prime armi.
Il film si compone come un percorso di crescita che coinvolge il protagonista, assuefatto ormai alle medicine che prende fin dalla tenera età e che anestetizzano ogni sua emozione. Il classico topos del ritorno a casa come nuova nascita viene affrontato attraverso il confronto con una famiglia fredda e distante, un lutto di cui si è in parte responsabili e una città in cui tutti hanno grosse aspettative.
Ma il film si differenzia da altri con lo stessa tema per la freschezza della messa in scena, curata e fresca come solo un’opera prima indipendente può essere, e per la presenza di comprimari di tutto rispetto che danno vita a personaggi forti e d’effetto e che permetteranno a Andrew di spiccare finalmente il volo, di lasciarsi andare e di amare. Natalie Portman, ad esempio, regala un’interpretazione curata e naturale, l’ anima gemella capace di farsi amare e di capire il malessere che anni di solitudine possono lasciare.
Il tocco in più (come se servisse) è dato dalla colonna sonora, messa assieme dallo stesso Braff che comprende brani rock classici e chicche di gruppi indipendenti.
La mia vita a Garden State è il film perfetto per il Sundance e per chi ama questo genere di commedie, e non a caso proprio lì è stato presentato.
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