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La microstoria di Emilio Panarese come storia sociale

Creato il 27 ottobre 2011 da Cultura Salentina

di Gino Pisanò

La microstoria di Emilio Panarese come storia sociale

(Discorso tenuto il 13 gennaio 1996, aula Magna del Liceo Capece dal prof. Gino Pisanò in occasione delle presentazione della monografia di Emilio Panarese, Maglie. L’ambiente, la storia, il dialetto, la cultura popolare, Congedo ed., Galatina, 1995).

Prima di accostarsi all’opera di Emilio Panarese, (Maglie. L’ambiente, la storia, il dialetto, la cultura popolare, Congedo ed., Galatina, 1995) occorre tener presente che essa s’inquadra in un ambito metodologico ben preciso, quello che fa capo alla francese École des Annales, fondata negli anni Trenta da M. Bloch e F. Braudel. Da questa scuola è nata una nuova categoria storiografica: la microstoria, o meglio, la storia sociale, vale a dire il concetto di “storia dalla lunga durata”.

Cosa significano microstoria, storia sociale, storia di lunga durata? Col termine microstoria intendiamo dire che l’indagine esplorativa si concentra nella ricognizione di una piccola realtà territoriale, sociale, umana cui, tutt’al più, possiamo anche accostare l’aggettivo “subregionale”, se essa viene rapportata ad uno spazio territoriale, linguisticamente, etnicamente omogeneo, qual è quello della regione, tessera, a sua volta, di una entità multipla ed anch’essa omogenea: la nazione.

Ma la microstoria che espunga da sé la ricerca della “lunga durata” è, come dice la lettera, una storia minore, municipale o, al più, provinciale, che appaga soltanto una curiosità di stampo erudito, essendo limitato, l’orizzonte dell’indagine, al perimetro delle piccole mura, nella stessa misura in cui è limitato lo sguardo dello storiografo che, senz’altro metodo, se ne occupa.

La microstoria annalistica, invece, è ben altra cosa. Non è più storia locale tout-court. ma filologia integrale, indagine sociologica, economica, linguistica, geografica, culturale, dove ciascuna compo-nente è organica e reciproca dell’altra. La microstoria assume, così, dignità di storia con la S maiuscola, perché, pur espletandosi l’indagine nell’angusto (rispetto al mondo) spazio del municipio, convoca, a suo polo orientativo, un metodo nuovo, che chiameremo, per intenderci, annalistico, sicché attraverso lo scandaglio critico dei documenti, i quali afferiscono ad una piccola cellula sociale (il paese o la città), si risale alla comprensione di sincroni fenomeni generali, di più ampie e complesse dinamiche (di cui Maglie, ad esempio, si offre a campione), le quali sottendono, fagocitano persino, quelle specifiche del concreto, piccolo cosmo della provincia. Tanto più, quando essa è, geograficamente, periferica, come la nostra. Universalità e specificità, pertanto, si dialettizzano e reciprocamente si inverano, la prima traendo nuova linfa dal trasfondersi, in essa, della seconda. E viceversa. Allora, anche la piccola storia di Maglie ad esempio, si emancipa, emerge nuovissima dalle pagine di Panarese, appartiene alla grande storia, di cui rappresenta un tassello. Il metodo, infatti, non ha più nulla (se non il gusto un po’ romantico) dell’antico approccio erudito a fatti e personaggi del passato. Si candida, invece, a penetrare capillarmente e criticamente il velo che i fenomeni ricopre, ossia a intus leggere i medesimi, a ricercarne le cause, relazionandole al complessivo spirito epocale, coniuga particolare e universale all’interno del contesto in cui si iscrissero eventi maiuscoli (i così detti epifenomeni)  e noti a tutti, quali sono, ad esempio, gli eventi di cui è imbastita la storia nazionale: grandi guerre, rivoluzioni, riforme, depressioni economiche, mutamenti istituzionali, processi linguistici e, in breve, culturali, le imprese (buone o cattive) dei grandi personaggi (Napoleone, Garibaldi, ecc.) donde le monumentali monografie (nella storia come nella letteratura) che crocianamente prescindevano, e ancora prescindono, ad esempio, dalla storia della cultura letteraria e dalle strutture della società.

Chi, come Panarese, sa guardare con metodo annalistico alla storia e alla letteratura, per cogliere i nessi dialettici che, sotterranei, collegano provincia-regione-nazione, vede riflettersi nell’una le stimmate dell’altra, tanto che la microstoria si slarga e diventa storia sociale e la storia sociale manifesta i suoi effetti di lunga durata, quelli che durano ancora come portato dei secoli e ci consentono di meglio capire il presente alla luce del passato, ma … senza retorica, voglio dire senza le pregiudiziali, le in-crostazioni ideologiche, gli schematismi spesso connessi allo storicismo e all’antistoricismo, i due grandi sistemi che, fino agli anni Trenta del Novecento, hanno diviso storiografi e filosofi.

maglie

Emilio Panarese, "Maglie. L’ambiente, la storia, il dialetto, la cultura popolare." Congedo ed., Galatina, 1995

Fra questi due bastioni, alternativi e non comunicanti, si è incuneato il metodo microstorico o annalistico, quello della nouvelle histoire, cioè della lettura sociale dei fenomeni, la quale trascura, perché al sicuro nell’ovile, le individualità di primo piano, i grandi eventi, gli epifenomeni, e ricerca, invece, attraverso i documenti finora scartati e sepolti negli archivi, aspetti smarriti, in apparenza secondari, effimeri, del divenire, onde procedere all’agnizione di mentalità, tradizioni, comportamenti collettivi, impercettibili, sommersi, ossia ipofenomenici, che ancora oggi vanno durando. Allora anche attraverso la storia degli organi musicali, o delle case a corte, delle fiere e dei mercati o dei canti popo-lari in vernacolo o di una biblioteca, si giunge a conoscere lo spirito di un popolo.

In definitiva la storia sociale o panstoria, che ispira l’indagine a tutto campo di Emilio Panarese sulla sua Maglie, è ricerca, come scrive M. Bloch, “dell’uomo vivo, sotto la polvere degli archivi“. La storia scritta da Panarese, è, dunque, etnostoria in quanto critica esplorazione dei fatti economici, linguistici, comportamentali, ossia quadro di strutture concrete e ancora palpitanti della vita quotidiana, quella che non “si accaparra le prime pagine dei giornali”, ma trascorre, come diceva Manzoni, “senza lasciare traccia”, epperò della grande storia si illumina e alla definizione della grande storia silenziosamente e umilmente concorre.

Panarese ricostruisce uno spaccato plurisecolare e infinitesimale della vita della nazione, quello magliese, e specifico del Salento, sulla base dei documenti finora sconosciuti o solo in parte com-pulsati, in precedenza, da mano soltanto erudita.

La microstoria di Emilio Panarese come storia sociale

Il professor Emilio Panarese

Egli scandaglia inventari medievali, catasti antichi e moderni, platee, apprezzi, stati d’anime, relazioni di sante visite, regi assensi, registri anagrafici, conclusioni capitolari, costituzioni confraternali, deli-bere, inchieste, rogiti notarili, in cui è “”fotografata”, direi, la vita del passato per ricomporne le tessere in un’unica trama. Egli fa “parlare” il passato, parte dal certo per giungere al vero, utilizzando i docu-menti più umili, che appartengono sia alla sfera dell’oralità (dialetto, soprannomi, toponimi ecc.) sia a quella della scrittura, del segno (l’araldica, le foto, i disegni, ad esempio), e dell’arte. Esemplificano la complessità di questa indagine a 360 gradi le quattro sezioni del libro (elegantemente curato dall’editore Congedo), ossia l’ambiente, la storia, il dialetto, la cultura popolare. Sono quattro categorie tutte tra loro autonome, eppure necessariamente correlate. Dietro la loro facciata pulsa un sistema unitario, compaginato dalla ben lucida consapevolezza, che egli ha, di muoversi lungo il binario di questo metodo, direi anche nuovo, ma da lui a lungo sperimentato (sono molti i suoi saggi e i suoi studi), un metodo che lo distingue, insieme con pochi altri studiosi salentini del nostro tempo, dalla precedente generazione, quella operante, all’incirca tra il 1870 e il 1960. Era, quella, una generazione di impronta tardoromantica e positivistica, educatasi alla scuola del Mommsen e del Gregorovius, rappresentata dall’Arditi, dal De Simone, dal Castromediano, dal Moschettini, dal Gigli, dal Ribezzo, dal Maisen, dal De Giorgi, dal Foscarini, dal Maggiulli, dal Vernole, da Pietro Marti, dal Guerrieri, dai magliesi Panareo e De Fabrizio e da altri ancora fino a Nicola Vacca e a Teodoro Pellegrino. Tutti benemeriti, intendiamoci, instancabili ricercatori di fonti, epigoni del Settembrini, che invitava a scrivere le storie delle piccole patrie, perché confluissero nella storia della grande patria, ossia dell’Italia. Ma tutti eruditi, cui mancavano sia la coscienza della “lunga durata” sia la prospettiva nazionale dell’indagine storiografica. Essi raccoglievano il retaggio illuministico-romantico di una generazione più antica, vissuta tra Sette e Ottocento, quella del Papadia, del Lezzi, del Ravenna, del De Tommasi, del Cataldi, del Castiglione, a loro volta eredi della protosettecentesca scuola dell’Arcudi, del De Angelis, di B. da Lama, di Gio: Bernardino Tafuri, sul quale particolarmente influiva l’esemplarità muratoria e giannoniana, dando vita alle storie “civili”, assai diverse per metodo e prospettiva da quelle “mitografiche” secentesche degli ecclesiastici (Tasselli, Pireca, Della Monaca, Infantino) e, via via, a ritroso, degli archetipi umanistico-rinascimentali del Marciano, del Ferrari e, a monte di tutti, del Galateo corografo.

Panarese è egli stesso espressione della storia di “lunga durata”. È figlio di questa stratigrafia generazionale, continuatore, con altro metodo, degli studi del magliese Panareo, sicché, oggi, possiamo dirlo uno dei maggiori rappresentanti o un “esemplare” di questa quinta generazione di storiografi salentini che hanno aperto il Salento all’Italia, introducendo metodi nuovi e applicandoli con rigorosa fedeltà. Per altri aspetti il suo lavoro è anche espressione di un impegno civile e culturale, che dura ormai da circa mezzo secolo. Proprio questo libro, Maglie, è il terminale, per ora, di un lungo cammino, di una storia personale, di una formazione che ha in sé, pur essa, il crisma della “lunga durata”.

Per meglio chiarire questa mia affermazione, voglio ricordare che egli si è formato, negli anni Quaranta, al magistero dello storico Gabriele Pepe, nell’Università di Bari, dove si è laureato. Qui fu allievo anche del crociano Mario Sansone (recentemente scomparso), di Carlo Gallavotti, di Saverio La Sorsa nonché del glottologo Salvatore Gentile.  Gabriele Pepe così gli scriveva il 24 novembre 1949:

“Caro Panarese, [ ... ] mi fa piacere che le mie parole abbiano acceso in lei il desiderio di studiare la storia locale, che poi, quando uno abbia, come ha lei, una buona cultura generale, si allarga sempre a storia generale”. Poco dopo, con lettera del 31 dicembre, aggiungeva: “Faccia le sue ricerche con tutta calma, i nostri studi richiedono pazienza” e gli offriva un posto nell’Istituto storico di Napoli, allora diretto da Benedetto Croce. Ma Panarese fu costretto a rinunciare e a rimanere nella sua Maglie, per motivi di ordine strettamente familiare, come egli stesso, tempo addietro, ebbe a scrivermi:

“Quegli anni postbellici erano anni assai difficili economicamente: mio padre era da poco tornato da una lunga prigionia nel campo inglese di concentramento di Mombasa e bisognava che io dessi un aiuto alla famiglia. Iniziai così la lunga carriera dell’insegnamento, rinunziando a malincuore al bel sogno di Napoli. Ma non dimenticai la lezione di Pepe e il suo incitamento alla ricerca storica, intesa come impegno civile e sociale. Da qui gli effetti di lunga durata, caro Gino, da te, nei tuoi studi, nitidamente evidenziati”.

Ebbene sul tronco della lezione del Pepe, egli innestò la coscienza della microstoria come storia sociale, evangelizzata in Italia, a ridosso degli anni Settanta, dalle pubblicazioni annalistiche che giun-gevano. qui da noi, dalla Francia. Ad esempio Montaillou (un paese come Maglie) di Le Roy Ladurie o le ormai famosissime opere laterziane di Jacques Le Goff, il più insigne discepolo di Lucien Febvre, M. Bloch, F. Braudel (ma la loro teoria della storia sociale non fu, propriamente, una scoperta, quanto, invece, il rinverdire, su basi nuove e sociologiche, la lezione che gli ideologi francesi Fauriel e Thierry, soprattutto, impartirono nel primo Ottocento, influenzando, come è noto, Alessandro Manzoni, il cui romanzo nacque anche sulla scia dei pregressi contatti parigini avuti con loro).

Panarese, dunque, ha mutuato metodi e coscienza storica da grandi Maestri, italiani ed europei, realizzando un libro, oserei dire, spettacolare, non solo per la straordinaria messe di notizie, di nomi, di fatti, di documenti che veicola, ma anche per la struttura complessiva in cui tanto materiale è stato da lui organizzato e sapientemente governato.

Leggendo questo ponderoso volume, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una summa, a un’opera “medievale” per l’organicità sistematica della struttura, dove tutta una millenaria vicenda trova il ren-diconto e la sintesi più completa: società, economia, tradizioni, lingua, cultura, religione, demografia diventano strutture visibili, cui corrispondono quelle invisibili, che lo storico ha il compito di materializzare nella scrittura: spirito, costume, mentalità, caratteri.

Da quantità della storia alla qualità della storia!

Panarese ci ha abituato da tempo alla sua ineccepibile, capillare, sistematica ricerca. Ma questa volta ha superato se stesso. Nel fare, un giorno che ci auguriamo il più possibile lontano, il consuntivo della sua vita, egli a buon diritto potrà dire, all’indirizzo di Maglie, exegi monumentum aere perennius.

Questo libro è il frutto di un gran disegno, realizzato con lungo amore e coltivato con cuore indocile alle difficoltà incontrate lungo il cammino. Ma è anche il dono di un’intera vita, laboriosissima, silen-ziosa, sofferta, talvolta incompresa, alla sua città per la quale vibra, sotto la corazza dello storico severo e obiettivo, un’anima, direi, liviana, commossa, accesa di charitas verso la sua piccola “Roma”, questa Maglie che egli sente vitale e materna, ma che per uno di quei paradossi di cui si compiace la Storia, è anche figlia, in senso ideale, della sua intelligenza di studioso e del suo sentimento della cultura militante, come impegno civile al servizio del bene e del vero.


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