Il protagonista è Virgil Oldman (Geoffrey Rush), uno dei più prestigiosi e vivaci battitori d'asta, che tocca tutto, fuorché gli oggetti d'arte, con dei guanti (di ogni colore, di ogni tipo): mangia, beve, dorme, sogna senza farsi toccare le mani da altro che non sia la bellezza lasciata in eredità dai tempi passati. Nel suo studio passano assoluti capolavori, che talvolta l'uomo teme di perdere: perciò si organizza con un amico, Billy Whistler (Donald Sutherland), per rimediare. Billy si aggiudica i pezzi più interessanti e poi Virgil glieli ricompra. In questo modo, il ricchissimo battitore d'asta si è garantito una collezione privata di ritratti femminili tale che suscita più di un capogiro. Quello spazio privato, nascosto dall'espositore di guanti, è il luogo in cui l'uomo si rifugia ed è solo.
Poi, però, accade qualcosa e questo qualcosa si chiama Claire Ibbetson (Sylvia Hoecks). La donna lo contatta per proporgli i beni dei suoi genitori, tuttavia non si fa mai incontrare, né vedere da lontano, lasciando al suo posto il portiere Fred (Philip Jackson) a gestire i rapporti con la casa d'asta. Proprio per il suo mistero, la donna irrita Virgil, ma nello stesso tempo stuzzica l'immaginazione dell'uomo, che non sa sottrarsi a questo enigma. A ciò si aggiunge il ritrovamento di alcuni strani ingranaggi, che il battitore d'asta raccoglie visita dopo visita nella villa di Claire, che gli parla al telefono o attraverso una parete a causa della sua agorafobia, per portarli da un suo fidato assistente, Robert (Jim Sturgess), perché gli dica cosa formino quei vecchi e rugginosi pezzi, o almeno cosa formassero un tempo. Il giovane, genio in meccanica e abile seduttore di ragazze, riesce a mettere insieme i frammenti e a identificare un automa, il cui valore economico - se completo - si immagina elevatissimo. L'androide si materializza tra le abili mani del ragazzo, mentre nel petto di Virgil prende forma un sentimento misterioso, quasi di amore, per Claire, ma un amore come può essere il suo, un amore con uno schermo davanti, un amore impalpabile che si impossessa del suo corpo, piuttosto che di quello dell'amata. È Robert, al quale il battitore d'asta racconta gli eventi, a chiedere all'uomo se tenga più all'androide o alla donna, ribaltando priorità e interessi.
La migliore offerta di Giuseppe Tornatore - migliorabile sotto diversi aspetti - presenta, nella sua compattezza, una marca specifica di pregevole autorialità. Anche l'imbarazzo - nel non poter raccontare tutto ciò che della trama suscita riflessioni anche serie senza rovinare lo spettacolo - è segno di una sapienza narrativa inconsueta al giorno d'oggi. Non vi sono, infatti, le smorfie di stucchevoli alambicchi cervellotici e prevale semmai un'altissima qualità registica, anche a dispetto di alcune scelte e battute piuttosto prevedibili.
Il battitore d'asta vive in simbiosi, anche tattile, con l'arte, sa datarla e identificarla, anche se non ha la stessa dimestichezza con la vita oltre ai guanti. Eppure, in questo film che ha la sintassi di un thriller, non è il discrimine tra falso e originale a ingannarlo, bensì proprio l'autenticità che c'è dietro ogni falso a fungere da esca per la sua sete di vero. Attraverso l'androide - il falso uomo che un tempo si dice rivelasse comunque la verità a chi gliela chiedeva - la persona di Virgil prende corpo in tutta la sua interezza, con il tempo che interviene in lui come sugli antichi ingranaggi assestati gli uni sugli altri. D'altra parte, proprio questa macchina infernale ha il sapore di un destino che si va compiendo sulla pelle di un uomo che, forse, non è equilibrato nelle scelte, ma è in pareggio nel suo bilancio emotivo. Il protagonista Virgil, così, si trova sullo sfondo, in balia di un destino e in attesa che questo si compia del tutto, irretito com'è nello splendido piano sequenza finale, con quel suggestivo campo lungo dove il vero che c'è nelle persone non prevale, ma risalta su qualunque macchinazione.