Gli abiti si possono tradurre in strumenti utilizzati per nascondere lati della carattere che si vogliono porre in evidenza o, all’opposto, che non si vogliono rivelare agli altri. L’utilizzo di un particolare tipo di abbigliamento può tradursi in diversi modi a seconda dell’uso, più o meno intenzionale, che se ne fa. Secondo alcune teorie di orientamento psicologico, ad esempio quelle di Klapp, la scelta di seguire una moda può essere la traduzione di una necessità di ribellione allo stile dominante e stabilito dai più. Concorda con questa teoria Julia Emberley, che individua una traduzione di questo genere nell’utilizzo della moda punk.
Altre teorie sostengono invece l’idea opposta: la moda si tradurrebbe in un mezzo per uniformarsi agli altri ed alla maggioranza, in maniera da non provare una sensazione di esclusione o di isolamento. Per alcune persone, specialmente se giovani, la mancata possibilità di seguire la moda si traduce addirittura in un sentimento di mancata accettazione. Ovviamente la moda si traduce e muta anche di luogo in luogo. Facciamo riferimento, ad esempio, ad una moda estremamente radicale ed incisiva sulla persona dal punta di vista fisico e psicologico: quella della chirurgia plastica.
Seppure essa sia costosa ed invasiva, ricorrono ad essa sia persone orientali sia occidentali. Gli europei e gli americani desiderano essere magri, con nasi piccoli e menti non pronunciati.
Diversamente questa moda si traduce in maniera radicale in Oriente, dove le persone sognano di somigliare agli occidentali e ricorrono alla chirurgia plastica per aumentare le dimensioni del loro naso e smussare la mandibola in modo da far sporgere ulteriormente il mento. Le mode sono mutevoli, cambiano di luogo in luogo, di stato sociale in stato sociale, di anno in anno. Essere alla moda può essere estremamente divertente, purché ciò non si traduca in una dipendenza.