La moglie di Anselmo

Creato il 02 maggio 2011 da Abattoir

Ho letto molte interpretazioni del significato delle parole di Dolcenera. Generalmente si ritiene che Dolcenera sia una donna, paragonata ad una tempesta, che ha un appuntamento d’amore con colui che presta la voce alla narrazione, quel “me” per cui la donna è arrivata. In questo quadro, l’incontro d’amore segreto è ciò che la moglie di Anselmo, terzo personaggio della narrazione, non deve sapere: secondo i sostenitori di questa versione, stiamo parlando di un tradimento ai danni di questa donna.
In realtà né questa né altre versioni della storia mi hanno mai del tutto convinta. Non si spiega perché la voce narrante dovrebbe riferirsi a sé stesso in terza persona (la moglie di Anselmo) in una parte della canzone, e direttamente nel verso successivo (ché è arrivata per me). Ecco dunque la mia versione dei fatti.

La canzone inizia con un coro che canta in dialetto genovese: le parole si riferiscono a qualcosa che sta arrivando, un’entità femminile che possiamo facilmente far coincidere con la pioggia, co-protagonista della narrazione. Quello che arriva, dunque, è una tempesta, un’alluvione inaspettata e mai vista, quella che colpì Genova nel 1970, quando, nella notte tra il 7 e l’8 ottobre, tre fiumi strariparono, inondando la città e le zone vicine. Il fatto che uno dei tre fiumi si chiami Polcevera, ci spiega, per assonanza, il titolo della canzone, quel nome-entità “Dolcenera” che tutti associano ad una terribile donna. Le conseguenze dell’alluvione furono gravissime, tra danni alle persone, ai raccolti, e al patrimonio artistico. La violenza dell’acqua è uno dei due temi principali della canzone, l’acqua che cade “dal cielo e dai soffitti”, ma anche quella che arriva da sotto, l’acqua dolce dei fiumi, che “sale dalle scale, sale senza sale”. È acqua così forte da portarsi via le strade (“che porta via la via”), le case, le porte (“nera che picchia forte, che butta giù le porte”), e, aggiunge il coro genovese, non è la pioggerellina lieve che rilassa, che fa sbadigliare, ma è quella che fa rintanare, chiudere tutto (“nu l’è l’aegua ch’à fá baggiá, imbaggiâ imbaggiâ”), che più avanti “ammazza e passa oltre”, in questa descrizione dinamica, scrosciante, gorgogliante e luttuosa di un’assassina inaspettata. Leggo la testimonianza di un uomo, che racconta che quell’anno non c’erano state molte precipitazioni, e all’inizio l’arrivo della pioggia era stato accolto con favore. Di contro, De Andrè parla di “acqua che porta male”, di un arrivo che diventa tragedia, che lotta, forza, dirompe, distrugge. E in questa distruzione, di cose e di persone, si inserisce la storia minuta, l’amore, la moglie di Anselmo.

ma la moglie di Anselmo non lo deve sapere
ché è venuta per me
è arrivata da un’ora
e l’amore ha l’amore come solo argomento
e il tumulto del cielo ha sbagliato momento

Eccoci al nodo della questione. La moglie di Anselmo è la moglie della voce narrante? È colei che subirà il tradimento? Certamente no, data la vicinanza tra la dicitura “la moglie di Anselmo” e quel “me” che non avrebbe senso. Inoltre, a ben guardare, il “ché” è giustificato da una causale e non da una dichiarativa. Il “ché è venuta per me, è arrivata da un’ora” non è ciò che la donna non deve sapere, ma il motivo per cui la donna non deve sapere. Cosa vuole dire allora il nostro amato Faber? Che la moglie di Anselmo probabilmente non sa dell’imminente arrivo dell’alluvione, non sa che i fiumi esploderanno letteralmente, perché è lì per amore, quell’amore che basta a giustificare la sua presenza, e per amore aspetta l’amato da un’ora, nonostante il cielo abbia deciso di venire giù, e distruggere tutto, compreso l’appuntamento tra la moglie di Anselmo e il suo amante. Ecco, dunque, che il “me” assume un’identità diversa da quella di Anselmo. La voce narrante è quella di un uomo innamorato, e a sua volta amato da una donna già sposata, dalla moglie di Anselmo. Anselmo, l’unico nome che viene fatto, è il tradito, e colui ai danni del quale viene architettato l’incontro d’amore. Cosa succede poi?

La donna sogna del mare, un mare che si muove simulando un amplesso, un mare-amante. Lei sogna l’acqua simbolo del rapporto d’amore, ma nell’acqua trova la morte, assieme ad altri, in un unico vortice, in una “tonnara di passanti”. In questo caso gli uomini vengono paragonati ai pesci presi dalle reti, durante la mattanza. La violenza dell’immagine serve a spiegarci cosa succede durante l’alluvione, la forza con cui i gorghi trascinano i corpi: “acqua che stringe i fianchi”, contiene una ulteriore allusione al rapporto d’amore, ma l’esito di questo contatto è mortale, dato che nella tonnara gli uomini-pesce perdono la vita.

A questo punto, la fase più drammatica dell’alluvione finisce. L’acqua si ritira, si abbassa, la vita fuori dai vetri si risveglia, quando è possibile, e “si prende per mano a battaglia finita”: i reduci, i sopravvissuti, escono dalle tane, si incontrano. L’acqua scivola via con innocenza, la stessa acqua che in precedenza era assassina, adesso “sfila tra la gente come un’innocente che non c’entra niente”. E la moglie di Anselmo?

e la moglie di Anselmo sente l’acqua che scende
dai vestiti incollati da ogni gelo di pelle
nel suo tram scollegato da ogni distanza
nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza

La moglie di Anselmo muore, sul suo corpo l’acqua scivola via, lasciandole appiccicati addosso i vestiti, su una pelle gelida, proprio perché priva di vita. Ecco spiegati i due ultimi versi, la perdita di tempo e spazio data dalla morte, il non poter essere da nessuna parte, a nessuna distanza, e il non avere più fretta, il non attendere nulla.

“Dolcenera senza cuore” è l’acqua, l’alluvione, il disastro ambientale, la natura che decide di irrompere senza chiedere permesso, e si porta via pezzi di città, di uomini, donne, e di storie. Non è l’amante di Anselmo, al massimo ne è la complice: l’amore tra i due amanti è illegale, segreto, ingannevole, e viene scoperto solo nel suo mancato finale, nel suo essere punito, nell’incontro non avvenuto. Proprio per questo “l’ansia di perdersi” rinnova la “certezza di aversi”, perché la morte non spezza l’amore dei due, lo priva semplicemente della fine, rendendolo eterno.


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