Una piccola mandria
Viaggiando in Mongolia, uno degli aspetti che si nota immediatamente nel paesaggio è senza dubbio la sua immensità. Uno sguardo più attento potrà poi vedere come il realtà lo spazio mongolo sia popolato da gher, le tipiche tende di feltro, pastori nomadi e mandrie, tra cui sono numerose quelle di cavalli. Questo animale è strettamente legato all’anima mongola, presente in tutti gli aspetti del vivere e fondamentale per capire l’essenza stessa della Mongolia, un cui detto popolare sostiene che “un mongolo senza cavallo è come un uccello senza ali”. E mai detto fu più vero come in questo caso.
Tipico cavallo mongolo – fonte Wikicommons
Sotto la guida di Gengis Khan i mongoli arrivano a creare un impero che si stendeva dall’Ungheria alla Corea, dalla Siberia alla Siria, parte del merito fu dei loro cavalli. I piccoli cavalli mongoli erano infaticabili, riuscivano a percorrere quasi 50km al giorno su terreni ritenuti impossibili abituati, ieri come oggi, a sopravvivere in un clima che dai 40° estivi precipita a -30° nei mesi più freddi. I cavalieri mongoli vivevano per lo più in sella, combattendo con uno stile unico ed inesorabile tanto che in Occidente furono soprannominati “cavalieri del demonio”. Cavalli e cavalieri, un binomio indissolubile.
Tramonto su gher
Prima delle spedizioni militari i comandanti delle truppe mongole cospargevano il terreno con gocce di latte di cavalla, un gesto che serviva per propiziarsi la vittoria in battaglia. Questo dimostra come il cavallo fosse importante non solo per la vita quotidiana dei mongoli, ma anche per il loro orizzonte spirituale, come accade ancora oggi. Nella cultura sciamanica, che impregna ancora il buddhismo praticato in Mongolia, il cavallo era il mezzo di trasporto per raggiungere il cielo ed il mondo degli spiriti. In tutte le saghe popolari mongole, ad esempio l’epica dello Jangar, il cavallo ha un ruolo importante.
Dipinto di Zayasaikhan Sambuu – Fonte Twitter
L’arte mongola non fa eccezione nel rendere omaggio a questo animale, tanto che nel repertorio musicale esiste addirittura uno strumento creato proprio pensando al cavallo, vale a dire il morin khuur il cui suono si dice ne ricordi il nitrito. Anche nelle arti visive contemporanee il cavallo è onnipresente, per esempio nelle opere di pittori quali Zayasaikhan Sambuu o Chadraabal Adiyabazar, la cui produzione è in gran parte dedicata proprio ai cavalli mongoli. Nella scultura troviamo invece autori come Dashi Namdakov che nel 2012 ha esposto il suo Gengis Khan a cavallo per le vie di Londra, a Marble Arch.
Cavaliere mongolo con pioggia
Un’ottima occasione di ammirare i cavalli mongoli è la festa del nadaam, dove durante i festeggiamenti centinaia di esemplari sono cavalcati dai bambini nel corso di gare lunghe anche 30km. I bambini mongoli figli dei nomadi imparano a cavalcare molto presto ed i cavalli sono loro compagni di giochi, tuttavia a differenza di quanto si possa pensare, questi giochi non servono per riconoscere i futuri buoni cavalieri ma per individuare invece i cavalli migliori. Nelle praterie mongole i proprietari lasciano vivere i cavalli allo stato semi-brado in mandrie che possono arrivare fino a diverse centinaia di animali.
Monumento di Zaisan, Ulaanbaatar (Particolare) – Fonte Wikicommons
Nel 2008, in occasione dell’ottocentesimo anniversario della fondazione dell’impero mongolo a Tsonjin Boldog, un luogo sulle rive del fiume Tuul distante poco più di 50km da Ulaanbaatar, venne costruita una statua di Gengis Khan (ovviamente a cavallo) alta circa 40 metri. Se questa statua ben rappresenta due degli emblemi del paese non perdete in ogni caso l’occasione di percorrere gli immensi spazi della Mongolia, magari a cavallo come secoli fa i guerrieri mongoli cavalcavano i takhi, i cavalli selvaggi che popolavano la regione. Viaggiare in Mongolia significa davvero immergersi in uno sconfinato senso di libertà.
Per ogni informazione sui tour disponibili per la Mongolia, tra cui alcuni a cavallo, contattemi pure. Mentre per informazioni sul visto mongolo potete leggere questa pagina. Se invece volete le mie impressioni sulla Mongolia, eccole in questo libretto.