Gli assassini dei bambini di Gaza - 2 -
- Un'operazione "piombo fuso" per cuori sensibili -
di Robert Kurz
SINTESI
Nella sua analisi critica dell'ideologia, "Gli assassini dei bambini di Gaza", Robert Kurz affronta i modelli di percezione della sinistra riguardo al conflitto in Medio Oriente. Dopo che negli ultimi anni, le guerre capitaliste di ordinamento mondiale, e la loro affermazione da parte dell'ideologia "anti-tedesca", sono state fondamentalmente criticate dalla "Critica della dissociazione-valore", adesso è tempo di considerare anche il rovescio di tale interpretazione ideologica, i cui portatori sono inoltre schierati positivamente con la socializzazione globale del valore e dei suoi prodotti in decomposizione. Queste interpretazioni della situazione mondiale sono impregnate di un "anti-israelismo" affettivo, alimentato anche da un "odio inconscio per gli ebrei" (Micha Brumlik), in quanto lo Stato ebraico e la sua azione militare contro Hamas e Hezbollah vengono di per sé sussunti al capitale mondiale ed al suo imperialismo securitario. Di conseguenza, la barbarie islamica contro Israele non viene vista come l'altra faccia della medesima medaglia dell'imperialismo di crisi, ma come "resistenza", in maniera quasi romantica. In questo contesto, la base del raffronto col vecchio "anti-imperialismo" impallidisce, ed il conflitto in Medio Oriente diventa un conflitto per procura, al servizio di una "critica del capitalismo" della nuova piccola borghesia, che digerisce regressivamente la crisi mondiale del capitalismo.
(Presentazione del testo nell'Editoriale di EXIT! n° 6 dell'agosto del 2009)
SOMMARIO
* Asimmetria morale ed analisi storica * La violenta emozione del inconscio collettivo antiebraico * Il duplice carattere dello Stato d'Israele * L'identificazione positiva e negativa di Israele con il capitale mondiale * Le impossibili richieste di un paradosso reale * La ragion di Stato di Israele nelle guerre contro Hamas e Hezbollah * L'opinione pubblica mondiale anti-israelita e la decomposizione ideologica della sinistra * Una "terza posizione" che non è una posizione * Delitto e castigo o critica radicale mediata storicamente? * Un cuore dalla parte del regime della Sharia * Il determinismo della coscienza e il ruolo degli eroi * Il conflitto per procura e la demoralizzazione della critica del capitalismo * Anti-israelismo - la matrice di un nuovo antisemitismo * La sinistra come Dr. Jeckill e Mr. Hyde *
* Asimmetria morale ed analisi storica *
Se la guerra di Israele contro Hamas e Hezbollah viene ridotta a fatto morale di cadaveri di bambini e a topos di una catastrofe umanitaria in generale, allora tale criterio deve essere preso sul serio. Se qui la questione fosse quella di imporre qualcosa come un'etica pacifista, questo meriterebbe ogni rispetto, anche se dovrebbe essere sottoposto ad una critica filosofica. Gli oppositori alla guerra per principio, in Israele sono diminuiti ed oggi, nella loro maggioranza, sono dei pacifisti motivati etico-moralmente, così come altrove. Ma è comunque ipocrita se proprio la cosiddetta sinistra radicale pretende di riconoscere in loro l'unica voce ebraica legittima, e dare solo a loro la parola. Dal momento che nella sinistra del movimento - che intende sé stessa come militante - così come nel marxismo tradizionale di partito, fuori da Israele e fuori dall'orchestrazione morale immediata di questo specifico conflitto, tale posizione etica sarebbe stata considerata, non senza ragione, dalla maggioranza degli attualmente eccitati anti-israeliti, come umanitarismo astratto o inconseguente. La critica sociale radicale non è mai stata semplicemente pacifista.
Questo si applica non solo ai sollevamenti sociali storici, alle rivoluzioni e alle lotte armate, ma anche alla valutazione delle guerre, in cui le vittime sono sempre i cosiddetti civili innocenti, ed a maggior ragione i bambini, ancora più innocenti. Le moderne guerre industrializzate non conoscono più un campo di battaglia esterno alle orde dei combattenti. Senza rifiutare la compassione davanti alla sofferenza, senza indulgere ad una "lotta come vita interiore" o, inversamente, in opposizione ad un umanitarismo astratto, lodare in modo altrettanto astratto la violenza; per la teoria critica e per i movimenti sociali, è stata sempre decisiva l'analisi storica concreta, per quel che attiene al posizionamento riguardo ai conflitti armati. Sulla posizione etico-morale delle élite e dei media capitalisti su questo tema, non vale la pena di parlare.
E' naturale che in tutto il conflitto nel Medio Oriente non vi sia una qualche parte disarmata o pacifista. Non sono bambini innocenti quelli che affrontano la macchina militare israeliana a Gaza; e neppure, in generale, persone amanti della pace. La brigata Kassam, l'organizzazione militare di Hamas, è orgogliosa di portare alla morte e di procurare morte; fanno parte di essa gli attentatori suicidi nelle città israeliane. Inversamente, non sarebbe difficile indicare i bambini israeliani fatti a pezzi dalle cariche esplosive o colpiti dai razzi. Ma con una simile contro-contabilità moralista non si chiarisce niente; tale contabilità si colloca sullo stesso piano. Possibilmente, il saldo di una contabilità reciproca di cadaveri di bambini, potrebbe risolversi a favore di Hamas, ma questo solo perché i suoi razzi sono in generale più primitivi, cosa che non dovrebbe rappresentare un vantaggio morale. La comparazione fra 20 e 200 cadaveri non ha alcuna ragione di essere, in senso morale.
Gli amanti della pace di sinistra non intendono arrivare a questo. In ogni caso sono contro il lancio di razzi da parte di Hamas, dicono; anche se hanno la sfrontatezza di riportare la quantità rispettiva di cadaveri, quanto meno come argomento per valutare. La motivazione rimane nella terra di nessuno dei moralisti. E la questione primordiale di sapere chi ha cominciato può essere chiarita altrettanto poco quanto può esserlo nel caso di una lite nel cortile di una scuola. Ma simili discussioni che non portano a niente, non possono distrarci dalla questione fondamentale: per quale ragione soltanto il sentimento morale diventa seriamente travolgente, soltanto le immagini arrivano nel profondo del cuore e provocano un grido insopprimibile quando si tratta di bambini morti per il fuoco ebraico; e per quale ragione la morale concentrata di persone che hanno la pretesa di una valutazione critica tramite un'analisi storica concreta, quest’ultima viene qui preferibilmente messa da parte, stigmatizzando come cinismo e come disumanità la richiesta di attenzione in questo senso. Così, il proprio prendere partito contro Israele non ha bisogno di essere motivato, ma inoltre, esso non viene neppure considerato tale.
Si può facilmente verificare come la guerra di Gaza e tutto il conflitto in Medio Oriente sia un conflitto per procura, caricato non solo ideologicamente, ma anche psico-storicamente, confrontandolo con le valutazioni di contenuto e di morale che si fanno delle altre guerre del passato e del presente. La maggioranza della sinistra e dei liberali considerano, e considerano giusto, il fatto che gli alleati abbiano ridotto la Germania nazista ad un cumulo di macere e cenere nella seconda guerra mondiale, nonostante che, in tale circostanza, siano stati senza dubbio uccisi o gravemente feriti centinaia di migliaia di civili, compresi i bambini. Tuttavia, nella misura in cui anche i tedeschi si trovano ad essere vittime innocenti, il contenuto legittimatorio di questa nuova valutazione è abbastanza trasparente. Sottolineare il problema della legittimazione non deve costituire un'analogia fra il contenuto storico della seconda guerra mondiale e quello del conflitto in Medio Oriente. Si tratta, semmai, di caratterizzare la messinscena associativa dell'impulso morale, sulla base della fattualità preparata a partire dalla costellazione storica, segnatamente al fatto che è stata tolta la vita a dei bambini nel corso di operazioni di guerra, un modo di procedere del tutto discutibile. Forse neppure le lacrime ideologiche delle vittime tedesche hanno osato sussumere le truppe alleate, a partire dal 1944, semplicemente sotto il punto di vista dell'assassinio di bambini.
Ovviamente, un tale criterio fallisce nel caso di guerre considerate ingiuste, almeno dalla comune sinistra. Ad esempio, l'intervento dell'esercito turco nelle zone curde ha causato sempre più vittime fra la popolazione civile, inclusi i bambini. Ogni settimana, vengono colpiti da bombe e da missili americani villaggi sulle montagne dell'Afghanistan dove si sospetta che si nascondano soldati talebani; e normalmente le vittime civili sono in numero superiore e si possono esaminare le foto dei cadaveri accusatori dei bambini. In questi casi, tali immagini delle vittime vengono invocate nel quadro della critica dell'etno-nazionalismo turco o dell'imperialismo di crisi della guerra di ordinamento mondiale occidentale, ma solo nel contesto di un'argomentazione che si riferisce ad un quadro superiore del conflitto o alla sua valutazione, ossia, il problema non si riduce alla rappresentazione morale delle immagini delle vittime; per quanto tronca possa essere tale analisi, nella misura in cui si fa valere contro la ragione autoritaria dello Stato turco solamente un etno-nazionalismo curdo complementare, o, contro la guerra in Afghanistan soltanto un vecchio antimperialismo obsoleto. Tuttavia, qui non prevale mai un'emozione così violenta e focalizzata che, senza rappresentare un riferimento di contenuto alla costellazione del conflitto, esibisce ripetutamente con trionfalismo morale le immagini dei cadaveri dei bambini, immagini che corrono per il mondo servendo da base alla valutazione di Israele in quanto parte del conflitto.
Lo stesso è avvenuto con la guerra in Iraq del 2003, dove sono morti sicuramente cento volte più bambini che a Gaza. Anche la stessa critica che si basava più sull'anti-americanismo che sulla critica del capitalismo, allora non ha mai ridotto la sua valutazione all'assassinio di bambini ed ai crimini di guerra contro la popolazione civile innocente. Per non parlare delle opache guerre civili negli Stati africani in disgregazione, come il Congo o il Ruanda, dove vengono massacrati bambini a colpi di arma da fuoco o di machete, com’è ben noto. Questi avvenimenti vengono percepiti come se avvenissero su un altro pianeta; qui non esiste alcuna presa di posizione preformata storicamente o ideologicamente. Tuttavia, o forse proprio per questo, l'empatia in questi casi è certamente assai più smussata, quando queste immagini attraversano i media come le immagini provenienti da Gaza; soprattutto qui non esiste alcuna definizione di colpevole con imputazioni politico-moraliste.
Se, quindi, in tutti gli altri casi il ruolo della violenza nella storia non viene astrattamente negato, mostrando, al contrario, la sofferenza immediata e la compassione in un contesto di valutazione mediato storicamente, oppure nemmeno affrontata in maniera particolare, quantomeno non sulla scena politica, allora, nel caso della condanna degli attacchi israeliani a Gaza, deve trattarsi di un altro criterio che, però, non viene allo scoperto, o almeno non completamente. L'immediatezza morale copre un impulso, che proviene dalla mediazione sociale mondiale del conflitto per procura, ma che si mantiene sotto copertura ed è solo inibito, e che può sorgere obliquamente nella coscienza. Quest'impulso è stato prontamente chiarito da un'affermazione di Anselm Jappe, nel contesto dei dibattiti in seno alla sinistra dopo l'11 settembre, ed il cui senso è: "I curdi hanno la sfortuna di non essere oppressi da Israele". Non si poteva andare al cuore della questione della differenza nella valutazione dei conflitti con maggior precisione. Quest'asimmetria morale necessita di essere chiarita.
- Robert Kurz – 2 di 15 – continua…
fonte: EXIT!