Passeggiava lungo il corridoio grigio, dalle pareti nude, per passare il tempo. Avrebbe voluto fare chissà cosa ma una nebbia fitta avvolgeva la sua mente.
Una specie di torpore si era impadronito delle sue membra. Quell’ospedale era squallido, gli infermieri sgarbati, i professori indifferenti, intorno a lui c’era solo il vuoto. Non sapeva come passare il tempo eppure per lui il tempo sulla Terra era agli sgoccioli. Aveva la coscienza di essere sull’orlo di un abisso e anche lui avrebbe fatto, come tutti, quel salto nel buio, nell’indistinto, nel nulla, nel baratro. Sarebbe veramente stata la fine dei sentimenti, dei ricordi, dei dolori o omunque la coscienza avrebbe continuato a dare impulsi e segnali? Esisteva quell’anima evanescente e impalpabile o erano tutte bugie?
Lui personalmente aveva dei dubbi. Ma ora che non si ricordava nemmeno più il suo nome, dove abitava, gli faceva piacere pensare a una forma di sopravvivenza.
Perché avrebbe dovuto perdersi nel buio fitto, nel buco nero della mente se poi tutto finiva, niente aveva senso.
Era come intrappolato nella morsa della sua malattia, la morte era la libertà, ma a quale prezzo? Improvvisamente un sorriso increspò le sue labbra aride. Il suo destino era quello di tutti, quindi tutto era vanità. Ora rideva guardando dalla finestra tutte le persone che si affannavano per lavorare, per lottare, per vivere.
Gente che aveva rubato, ucciso, invidiato per raggiungere una meta, per avere un posto nella società. Persone che tutti i giorni vendevano l’anima al diavolo per danaro, per successo. La lotta spietata per la sopravvivenza approdava a una isola deserta dove l’unica regina, padrona incontrastata, era la morte. Il male era inutile,come la cattiveria, la rabbia e l’odio. Alla fine sarebbe rimasto solo il silenzio di una tomba, il frastuono era solo un piccolo lampo passeggero.