Le osservazioni e gli incontri dell'uomo solitario e silenzioso sono allo stesso tempo più sfumati e netti in confronto a quelli dell'uomo di società [...]. La solitudine genera l'originalità, la strana e inquietante bellezza, la poesia, ma genera anche il contrario: l'abnorme, l'assurdo, l'illecito.
Dopo anni a vegetare nello scaffale dei non letti, mi sono finalmente decisa a leggere questo breve romanzo, e alla fine mi è piaciuto!
Gustav von Aschenbach è uno scrittore tedesco, avanti con l'età ma che ancora sente di avere molto da dire con la sua arte, tanto che si sottopone ad una severa disciplina nel suo lavoro. All'improvviso, però, sente il desiderio, quasi la necessità, di una vacanza, e dopo qualche cambio d'idea e di ripensamento, si ritrova a Venezia. Qui rimane colpito dalla bellezza di un ragazzino, il giovane Tadzio, e sviluppa per lui una certa ossessione che gli impedirà di lasciare la città.
Penso che questo libro fosse uno dei più vecchi non letti in mio possesso. Non ricordo neanche bene perché l'ho comprato, forse su consiglio di qualche professore al Liceo. So che avevo iniziato a leggerlo, o che almeno avevo letto l'introduzione perché ci ho trovato delle sottolineature, ma non l'ho mai finito, penso di non essere mai andata oltre le prime pagine. E ora che l'ho letto tutto capisco perché: sebbene io sia una sostenitrice della tesi che i classici si possono leggere a tutte le età, è indubbio che ad un adolescente manchi qualcosa per poter comprendere appieno una storia come questa, se non altro per la giovane età che lo avvicina più a Tadzio che al protagonista. Già dal titolo si può intuire come questo romanzo racconti la fine di qualcosa, e il tempo che passa, l'inevitabilità dell'invecchiare, sono temi molto presenti e che forse quando non si hanno ancora vent'anni non si riescono a comprendere appieno perché non se ne ha un'esperienza diretta. Ora, io sono molto più giovane di Aschenbach, e anche più giovane di Mann quando scrisse il romanzo, ma non ho più vent'anni quindi che cosa significa invecchiare ormai (purtroppo!) lo so. e forse proprio per questo il romanzo mi ha molto affascinato.
La trama si può dividere in tre parti: nella prima viene presentato il personaggio, e si parla del mestiere dello scrittore. Nella seconda si parte per Venezia, e c'è l'elogio di questa città. Nella terza conosciamo Tadzio e assistiamo ai tormenti del protagonista. La storia è breve, neanche 100 pagine, e gli avvenimenti sono pochi, e "piccoli", ma la lettura scorre leggera e piacevole nonostante il tema a volte cupo. L'ambientazione è veramente molto sentita. Venezia [...] è nella mitologia culturale manniana, come, più genericamente, nella mitologia culturale dell'epoca, il luogo sfumato, imprendibile, ove tutti i calori e tutte le perversità si fondono in un'essenza molle, resistente al dominio della ragione. [ Bruno Traversetti nell'Introduzione] Uno scenario quindi scelto ad hoc, ma in cui personalmente ho visto anche una vera ammirazione di Mann per la città.
I personaggi sono pochi, e tranne Tadzio e il protagonista rimangono sempre senza nome. Il giovinetto colpisce il vecchio Aschenbach per la sua straordinaria bellezza, quasi ultraterrena. Paragona il ragazzo ad un dio greco, in lui vede la bellezza pura, tanto che quando lo scopre di salute cagionevole non riesce a reprimere un moto di gioia al pensiero che non diventerà mai vecchio. Immediato il paragone con il finto giovane che aveva visto sulla nave, quell'uomo suo coetaneo che si vestiva e si atteggiava ad imitare i compagni loro invece effettivamente giovani, tutto imbellettato in maniera imbarazzante.
Però, per quanto la "relazione" tra Tadzio e Aschenbach esista solo nella testa di quest'ultimo (se non sbaglio i due non si scambiano mai neanche una parola) mi ha comunque messo a disagio questa attrazione lolitesca che colpisce lo scrittore e lo fa andare fuori di testa, tanto da farlo diventare, alla fine, proprio come il vecchio finto giovane che aveva disprezzato all'inizio. Nonostante tutto però non potuto non provare empatia per lui, per la sua enorme fallibilità che pur con tutto il suo genio, testimoniato dalla sua arte, lo fa diventare uno sciocco che si strugge nei ripensamenti. La mattina della sua partenza frettolosa da Venezia è una parte che mi è piaciuta moltissimo: Aschenbach ha preso la sera prima la decisione di andarsene, perché sente che il clima di Venezia non gli giova alla salute, ma al mattino si è pentito di quella decisione, e vorrebbe rimangiarsela, ma tituba, si vergogna, non sa come rimediare, si dispera perché pensa che sta dando l'addio a Venezia, che non rivedrà più la città (né Tadzio). Per fortuna poi un piccolo contrattempo lo costringe a restare, e il disguido che dovrebbe farlo arrabbiare viene accolto con mal dissimulata gioia, perché gli offre la perfetta scusa per restare, salvando la faccia e non mostrandosi per quello che in realtà è, ovvero un vecchio volubile e capriccioso.
Ho letto che il personaggio di Gustav von Aschenbach è ispirato al musicista Gustav Mahler, morto proprio l'anno in cui Mann ha scritto La morte a Venezia. Non conosco Mahler, quindi non ho idea in cosa possa assomigliare ad Aschenbach, ma io nel protagonista di questo racconto c'ho visto soprattutto Mann stesso. Innanzi tutto è uno scrittore. Senza falsa modestia Mann lo immagina più vecchio di vent'anni all'apice del suo successo, acclamato in tutto il mondo, felice autore di diverse opere i cui titoli erano, a quanto ho capito, libri che Mann aveva davvero intenzione di scrivere. Ma è soprattutto un altro particolare che secondo me rende evidentissimo l'intento autobiografico dell'autore. Il talento di Aschenbach (ci viene spiegato nella prima parte, quando si parla del mestiere dello scrittore) è dovuto alle sue origini: dal padre tedesco ha ereditato la disciplina e la perseveranza, dalla madre bohema la passione e l'estro creativo. Bè, vado a leggere, a romanzo ultimato, la biografia di Mann e che ti scopro? Che il padre era tedesco, un industriale, mentre la madre era una brasiliana di origine creola, cosa che agli occhi di Mann rappresentava la vitalità latina, ricca di trasgressione e fermento creativo. Insomma, a me paiono proprio uguali questi due!
Leggendo questo racconto più di una volta mi è venuto in mente il romanzo . Il motivo principale è ovviamente l'infatuazione di Aschenbach per il ragazzino Tadzio, ma non solo. C'è anche il fatto che, proprio come mi era successo con Nabokov, il tema disturbante è accompagnato da una scrittura eccelsa e uno stile che non manca di affascinare (anche se di quando in quanto si perdeva in descrizioni leggermente troppo barocche per i miei gusti). Intendiamoci, comunque: La morte a Venezia non è neanche lontanamente scabroso come Lolita, qui non succede nulla!
Commento generale.
Questo libro ha vegetato nella mia libreria per almeno quindici anni. Ci voleva una sfida in dirittura d'arrivo per farmelo finalmente leggere, e apprezzare molto più di quanto avrei immaginato. Mann non ha certo vinto il Nobel per caso, la sua prosa è scorrevole e ricca, il romanzo è deliziosamente triste, decadente, intenso. Non ricordo più chi mi consigliò l'acquisto, ma a distanza di tutti questi anni posso dire che il consiglio fu, o meglio, è stato ora assai gradito!
Copertina e Titolo
La copertina della mia edizione non è il tipo di copertina che preferisco (l'immagine è piccola), ma comunque non è male, anche se non particolarmente accattivante.
Il titolo è semplice, forse un tantino spoilerante :), ma lo trovo molto adatto. Comunque, come mi succede sempre coi classici, mi riesce difficile giudicare un titolo che è così famoso da risultare così familiare!
Sfide
Sorprendente e dolorosa bellezza
Scheda del libro
Titolo: La morte a Venezia
Titolo originale: Der Tod in Venedig
Genere: racconto, romanzo a chiave
Autore: Paul Thomas Mann ( biografia)
Nazionalità: tedesca
Anno prima pubblicazione: 1912
Ambientazione: Venezia, XX secolo
Personaggi: Gustav Aschenbach, Tadzio
Casa Editrice: Newton Compton, Tascabili Economici Newton ( 100 pagine 1000 lire)
Traduzione: Brinamaria Dal lago Veneri
Copertina: Maurice Brianchon, Venise (1951)
Pagine: 96
Note: Introduzione di Brino Traversetti
Link al libro: IN LETTURA - ANOBII - GOODREADS
inizio lettura: 4 luglio 2013
fine lettura: 7 luglio 2013
Trasposizioni
Morte a Venezia di Luchino Visconti, con Dirk Bogarde e Björn Andresen
Un po' di frasi
Gustav Aschenbach o von Aschenbach, come ufficialmente suonava il suo nome dal giorno del suo cinquantesimo compleanno, in un giorno di primavera dell'anno 19..., quello che per mesi e mesi aveva mostrato al nostro continente una faccia tanto minacciosa, aveva intrapreso, da solo, una lungua passeggiata partendo da casa sua nella Prinzregentstrasse di Monaco.
Se di colpo si desidera raggiungere l'incomparabile, l'incredibilmente favoloso, dove bisognava dirigersi? Ma era chiaro!
Aschenbach decide di andare a VeneziaSi disse che giungere a Venezia col treno, dalla stazione, era come entrare in un palazzo dalla porta di servizio, e solo per nave,come aveva fatto lui questa volta, bisognava giungere nella più inverosimile delle città.
Niente è più singolare, più imbarazzante che il rapporto tra due persone che si conoscono solo attraverso gli occhi - che si vedono tutti i giorni a tutte le ore, si osservano e nello stesso tempo sono costretti dall'educazione o dalla bizzarria a fingere indifferenza e a passarsi accanto come estranei, senza saluto né parola.
E riverso, con le braccia penzoloni, sopraffatto, scosso dai brividi, sussurrò l'eterna formula del desiderio - impossibile in quel caso, inammissibile e infame, grottesca e insieme sacra e venerabile: "Ti amo."
Anche lui aveva servito, anche lui era stato soldato e guerriero, come alcuni di loro, poiché l'arte era stata una guerra, una battaglia logorante, alla quale oggi nessuno saprebbe resistere a lungo.
Molti guerrieri dei tempi antichi avevano portato volentieri il suo [di Eros] giogo, perché ciò che veniva imposto dal dio non era considerato umiliazione, e azioni che sarebbero state bollate col marchio della viltà se fossero state compiute per altri scopi - inginocchiarsi, giuramenti, suppliche continue e contegno servile - queste cose non gettavano onta sull'amante, ma anzi gli procuravano lode.
In casa dei suoi genitori, molti anni prima, c'era una clessidra... egli vide di nuovo e a un tratto quel piccolo oggetto fragile e significante, come se gli stesse dinnanzi. Silenziosa e fine scorreva la sabbia color ruggine attraverso la stretta apertura del vetro e poiché la cavità superiore era prossima a essere vuota, si era formato un piccolo vortice impetuoso.
In definitiva siamo vecchi come lo è il nostro cuore e il nostro spirito, e i capelli grigi, sotto certi aspetti, sono assai più falsi di una correzione vituperata.
Il parrucchiere dell'albergo4 stelline, ambientati anni 1911-1920, ambientati in Italia, ambientati nel 20° secolo, autori del 20° secolo, autori tedeschi, explicit, frasi dai libri, incipit, La sfida della grammatica, La sfida della TBR pile, Mini Recensioni 2013, Premio Nobel, Quick fix Challenge, segnalibri, Sfida infinita...o quasi 2013, Tutti diversi, voto 7