La morte col telecomando in mano

Creato il 17 gennaio 2011 da Danielevecchiotti @danivecchiotti

foto:flickr

Uno dei motivi per cui non riesco a guardare nemmeno quattro minuti di “Amici” di Maria De Filippi - oltre che l’idiozia del programma, la sua totale mancanza di terza dimensione – è la continua ostentazione di corpi giovani, perfetti, muscoli definiti, scevri da qualunque eccesso di grasso.
Guardo i vari Jean Paul, Fabiano, Antonlucio (nomi assolutamente inventati, ovviamente) muoversi in una prova di balletto classico, ma non riesco a vedere nessun passo di danza, nessuna coreografia, perché, inevitabilmente, la mia attenzione si concentra su quei torsi nudi e quei boxerini tanto stretti al punto che... ti fanno alzare l’audience.
Perché non ci sono dubbi: dietro la facciata di una sfida tra giovani talenti, sotto la maschera dell’amore per l’arte, si nascondono i soliti messaggi sessuali, i continui stimoli per gli ormoni, lo sculettìo da veline che tutti – indipendentemente dal livello culturale, dall’appartenenza sociale, dal credo o non-credo politico – ci siamo adattati a percepire come la normalità.
E io “Amici” di Maria non lo guardo non perché non mi piaccia, ma proprio per il fatto che rischia di piacermi troppo e in maniera troppo perversa.  Come un diavolo tentarore, nonostante io faccia di tutto per resistere al suo richiamo, la tivù dell'ammiccamento sessuale riesce perfettamente stuzzicare i miei bassi istinti facendo leva sugli innati, irrinunciabili appetiti cui anch'io, in quanto essere umano, sono soggetto.
Credo sia anche per questo che tutti siamo così confusi circa il concetto di sfruttamento della prostituzione: perché la mercificazione della carne umana e il suo essere diventata strumento di marketing ad effetto sicuro fanno sempre più parte del nostro DNA.
Se Thomas Mann scrivesse oggi la sua “Morte a Venezia”, sarebbe obbligato a rivedere la trama e l’ambientazione del suo racconto, e a far morire Gustav von Aschenbach non su una sedia a sdraio del lido, ma nel salotto di casa sua, con il telecomando in mano, o magari seduto in platea tra la claque di qualche talent-show.
Insomma.. sarebbe importante cogliere l’occasione degli attuali avvenimenti fantapolitici per fermarci tutti a riflettere un attimo su cosa sia diventato per noi cittadini dell’etere il concetto di corpo, e di come, dai tempi di Mann o da quelli di Antinoo ad oggi, si sia trasformato il potere della bellezza.
Preoccupiamoci tutti – e giustamente - dei presunti festini hard core della nostra classe dirigente (visto che i presunti abusi sessuali perpetrati da chi rappresenta un paese sono e devono rimanere una questione pubblica), ma al contempo proviamo a frugare nelle nostre, di mutande, e a vedere cosa ne viene fuori.
Torniamo a fare in modo che questo sia un po’ meno gossip e un po’ più occasione di riflessione su chi siamo e cosa stiamo diventando.
Almeno così, la squallida storia di Ruby Rubacuori ci sarà servita a qualcosa.


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