Una formula ricorrente nel lessico giudiziario latino, ripresa più e più volte dal celebre oratore Cicerone, era la seguente: cui bono. Letteralmente ” chi trae giovamento”. Giovamento, per esempio, dall’ improvvisa caduta in disgrazia di un rivale, dalla confisca di beni ecc. Insomma, un’ azione rivolta contro un individuo per creare, intrecciare benifici per altri soggetti. Se fosse ancora viva la buonanima di Marco Tullio Cicerone e a quest’ ultimo fosse stata affidata ( d’ ufficio si intende) la difesa del leader libico Gheddafi, sono certo che il celebre oratore si sarebbe appellato alla formula del cui bono: chi trae benificio dalla morte del raìs? chi è il reale mandante politico della rivoluzione libica? Un Cicerone dei nostri tempi incalzerebbe così la giuria, in un ipotetico processo politico. Un processo che, è noto, non c’ è stato. Come in molte rivoluzioni, il leader dispotico, il tiranno viene abbattuto, eliminato. Un chiaro segno di quanto la violenza resti il denominatore comune, ahimè, degli epocali cambiamenti che la storia, passata e recente, ha conosciuto. Gheddafi morto, si dirà, apre per la Libia una stagione pienamente democratica, con la possibilità di un governo autonomo, di un paese rinnovato dopo decenni di dittatura. Bene. Ma il futuro della Libia da chi è rappresentato? Dai ribelli? Dal substrato sociale che ha imbracciato le armi e combattuto? Dal ventenne che ha trafitto Gheddafi? Il punto è proprio questo: la rivoluzione libica non ha avuto padri; solo l’ onda lunga del disordine e del malessere degli altri paesi vicini; non animata mai da quella “tensione” intellettuale, sociale che sta alla base di ogni cambiamento. Questa rivoluzione non ha capi; è una rivoluzione di popolo; un’ agitazione figlia più della disperazione che di un programma di costruzione di un paese migliore. Quando la rivoluzione non è autoctona ( su misura dei bisogni di un popolo ma solo un marchio di importazione) i rischi sono quelli di un suo imbastardimento. Un fenomeno riscontrabile nella vicina Tunisia, per esempio, nella quale il partito integralista islamico concorrerà alle prossime elezioni; non si corre, forse, un rischio analogo per la Libia? Non solo l’ integralismo dunque, ma, soprattutto, la longa manus del neocolonialismo europeo. Nella pur gonfia retorica del regime Gheddafi qualcosa di vero c’ era: l’ ingerenza delle grandi multinazionali europee al fine di trasformare la Libia, non senza il benestare di Gheddafi stesso a dire il vero, in un feudo del Vecchio Continente. Credo che la regia ( occulta) di questa rivoluzione sia proprio l’ Europa che sul terreno libico si sta giocando una credibilità internazionale, sempre più logora. Insomma, una rivoluzione senza idee, senza valori universali ( se non quello della violenza, e del tiranno da uccidere) rischia di accendere l’ ennesimo focolare di instabilità e disordine, nota dominante di tutto l’ orizzonte costituito dai paesi arabi; spianando la strada alla mole imponente e selvaggia degli sconfinati interessi europei.
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