Penso che il problema principale sia che tutti questi lavori sono stati fatti in lingua tedesca, e per questo motivo non sono accessibili alle persone al di fuori della Germania; questo è un peccato, in special modo per i radiodrammi. Ho anche scritto dei libri sui monster movies giapponesi e realizzato documentari sull’argomento. Riguardo ai documentari, uno di questi è intitolato Monsterland, ed è stato disponibile per il mercato televisivo in molte nazioni europee, ma non so se il pubblico sapesse che il film era stato fatto da me, in quanto era un doc su quel tipo di produzioni e sui loro registi; passando alle rappresentazioni teatrali di cui mi sto occupando al momento, ho appena pubblicato un dvd dal titolo Monsters of the arthouse, che raccoglie tre diverse opere, aggiungendo anche sottotitoli in inglese: in questo modo, anche chi non è in Germania può farsi un’idea di ciò su cui ho lavorato nell’ultimo periodo.
Trovo interessante la tua attività nell’ambito dei radiodrammi. Sono disponibili solo in lingua tedesca?
Si, sono stati fatti per il network radiofonico nazionale, dopo la loro trasmissione c’è stata la possibilità di scaricarli gratuitamente, penso per circa una settimana, ma sono solo in tedesco. C’è un elemento di questi lavori sul quale conto molto: si parte innanzitutto dal fatto che in Germania tutti i film stranieri sono doppiati, come del resto penso accada in Italia, ma da noi la differenza è che per il doppiaggio si usano attori tedeschi molto celebri che prestano la voce a star internazionali, creando così un’associazione tra attore americano e voce tedesca (dunque attore tedesco). Nei miei radiodrammi, ho usato questi attori/doppiatori in modo da evocare l’immagine della celebrità originaria, quella internazionale: così, ho preso la voce tedesca di Robert De Niro oppure di Arnold Schwarzenegger, in modo da creare una connessione col mondo del cinema conosciuto da tutti, utilizzando voci strettamente collegate ad attori molto celebri.
A questo proposito, vorrei chiederti di The beast of Fukushima: qual’è stata l’accoglienza del pubblico radiofonico? Del pubblico in generale, poichè con questo tipo di lavori, in un certo qual modo, ti distacchi dalla scena horror e raggiungi un’audience più ampia.
Finora ho realizzato 12 radiodrammi, tutti per network a diffusione nazionale, raggiungendo un pubblico ampio. Ciò è buono se si considera la visibilità, per la potenziale fetta di ascoltatori, ma è anche complicato dal punto di vista del criterio di scelta del soggetto. Sono riuscito a trattare tematiche strane e anche scomode, come ad esempio in quello più recente, che verrà mandato in onda l’anno prossimo a Gennaio, il quale verterà sul dittatore coreano Kim jong-il e in particolare sulla sua attività come produttore cinematografico: produsse moltissimi film di propaganda nella Corea del Nord. Dunque utilizzo fatti ed elementi della vita reale, combinandoli nella maniera tipica del radiodramma. Con The beast of Fukushima è stata la stessa cosa, una ricapitolazione di tutto ciò che accadde a Fukushima, introducendo però la presenza di un vero e proprio mostro, che nel dramma diventa la causa fisica del disastro nucleare. Tuttavia, se si ascolta il radiodramma sembra più un documentario radiofonico, a dire il vero.
Partendo dal tuo documentario sui monster movies, quindi di una tipologia di cinema che ami, parlaci del tuo ruolo in quanto critico cinematografico: come vedi te stesso in quest’ottica, e cosa pensi della scena orrorifica tedesca?
Sono sempre stato un grande fan dei monster movies, fin da bambino. Ho semplicemente colto l’occasione di essere conosciuto come regista al fine di poter scrivere di cinema, poichè in Germania l’horror non gode di una buona reputazione, e penso che il mio ruolo sia quello di rafforzare, in senso positivo, la considerazione che il pubblico ha verso queste tipologie di film. In Germania non c’è più una tradizione horror, ce l’avevamo negli anni ’20, con film come Il gabinetto del dottor Caligari o Nosferatu ma una scena così non esiste più. Dunque, il mio obbiettivo è quello di tentare di convincere l’audience tedesca che la cinematografia horror e anche i monster movies si meritino una rivalutazione, anche dal punto di vista politico, poichè dalle mie parti si pensa ancora che guardare film dell’orrore possa essere nocivo, che sia “una brutta cosa”. I miei film sono stati a lungo banditi dal mercato e sto ancora lottando per migliorare la mia reputazione agli occhi di una certa fetta di pubblico, al fine di poter fare le cose che mi piacciono.
Stavo proprio per porti questa domanda: la censura in Germania. Anche l’italia è molto severa da questo punto di vista, ma penso che la Germania sia uno dei Paesi più restrittivi in materia, insieme al Regno Unito. Quando si tratta di censurare film c’è una sorta di “isteria”, alcuni titoli escono anche dopo anni nelle versioni uncut. Secondo te, quali sono le ragioni che stanno dietro al ruolo così forte della censura nel tuo Paese?
Penso che il problema principale sia da ricercare nel passato nazista della Germania: quando guardi i film di propaganda di quell’epoca, vedi che sullo schermo è tutto perfetto, pulitissimo, mentre invece la vita reale negli anni ’30 e ’40 era dominata dalla morte; proprio a causa di ciò per il pubblico era molto difficile apprezzare delle pellicole che parlassero, per l’appunto, di morte. Gli horror sono incentrati sulla morte, ogni film dell’orrore tratta della paura di morire. Dunque, proprio la morte è la problematica centrale.
Infatti, una cosa che notai durante un viaggio a Berlino, andando al Museo del Cinema, fu che nella stanza dedicata al cinema di propaganda nazista tutto gli schermi erano chiusi in dei cassetti, come a voler nascondere quel passato, che evidentemente non è sepolto
Infatti se noti i film più famosi dell’epoca nazista sono attualmente banditi in Germania!
Lo so, un film come Il barone di Munchausen (di Josef von Báky, prodotto dalla UFA nel 1943) ha visto la luce in DVD qui in Italia soltanto un anno o due orsono. Pellicole di propaganda come Suss l’ebreo (Veit Harlan, 1940), assolutamente deplorevole ma che può avere un interesse dal punto di vista storico/didattico, sono del tutto invisibili. Per quanto reprimano il passato è ancora lì e ne sono spaventati
Il movimento censorio rende tutti questi film ancora più interessanti per alcuni, è questo il vero problema. Quello che si potrebbe cercare di fare in Germania, a livello didattico, è di organizzare delle proiezioni nelle università, abbinate a delle letture pubbliche. Richiede uno sforzo, poichè sono pellicole difficili da trovare in quanto ufficialmente vietate: visto che è contro la legge proiettare determinati film, nessuno lo fa.
Sono ancora molto contento del film, mi ha dato la possibilità di andare in giro per il mondo, sono stato di recente a Los Angeles, dove è stato proiettato per la prima volta all’American Cinemateque che è sull’Hollywood Boulevard dunque posso dire di aver raggiunto Hollywood con questo film (ride); per me, è anche piuttosto stupefacente sapere che le persone sentano ancora il bisogno di vederlo, riceviamo richieste da diversi Paesi al fine di poterlo proiettare o pubblicare il dvd. Altre volte però, la censura in molte nazioni ha impedito la diffusione del film: è sempre il solito problema, ma in Paesi diversi le commissioni censorie reagiscono in modo differente. Il problema della censura in Germania è diverso da quello negli USA piuttosto che in UK o in Giappone, è interessante vedere che tipologie di taboo vai a toccare in differenti contesti sociali e nazionali.
Il film è molto popolare tra gli appassionati qui in Italia: Der todesking è ancora più apprezzato, ma Nekromantik è indubbiamente più famoso.
Se noti Der todesking è uscito soltanto in Giappone e Germania, ah Spagna anche, in VHS un sacco di tempo fa, e di solito non arrivano richieste per la ripubblicazione. Tuttavia, piace a moltissime persone e ricevo un sacco di fotografie di tatuaggi basati su Der todesking, visibili sulla mia pagina Facebook, tonnellate di foto di tatuaggi ispirati al film. Mi spaventa un po’ che la gente faccia tutto questo: quando realizzavamo questi film eravamo in un certo senso innocenti, ho girato queste pellicole con i miei amici durante i weekend, non sono opere professionali, devo dire che l’impatto che hanno avuto a livello mondiale è stato del tutto inaspettato.
Beh, penso che se vedessi qualcuno con un tatuaggio di un mio film mi inquieterei anch’io.
E’ abbastanza dura in effetti: ora che sono stato a Los Angeles all’American Cinemateque, è arrivato questo ragazzo chiedendomi un autografo, sembrava un tipo gentile e tranquillo; a un certo punto mi ha mostrato il suo tatuaggio di Nekromantik 2, che gli copriva metà del torace, ed è stato abbastanza strano. Io che ne sono il regista non lo farei mai (ride).
Hai iniziato a sperimentare con una Super 8 nel 1977, un periodo cruciale per l’arte e la cultura, particolar modo in Europa. Quanto dello spirito sovversivo dell’epoca, oltre che la scena punk, hanno influenzato il tuo lavoro?
Molto, penso che in quel periodo tutti potevano essere musicisti, io cantavo ad esempio, e potevo anche essere un filmmaker, pur non avendo mai frequentato scuole di cinema, ma avevo questa sorta di spirito punk. Quando proiettai i miei primi corti c’era un grosso pubblico qui a Berlino, un’audience soprattutto punk e new wave che tornava sempre a vedere i miei film. C’era questo animo punk che non aveva a che fare solo con la musica ma era più che altro un modo di costruirsi una propria cultura senza scendere a compromessi: essere quindi indipendenti in senso stretto, e credo che ciò sia stato un elemento fondamentale per i miei film. Tra l’altro, uso ancora la Super 8 per lavorare: ho appena realizzato un videoclip per una girls band chiamata Half Girl e parla di Lemmy dei Motorhead, il pezzo si chiama Lemmy, I’m a Feminist, si può guardare su YouTube ed è girato in Super 8. Riesco a lavorare meglio con questo tipo di videocamera piuttosto che col digitale, poichè col Super 8 posso fare tutto per conto mio, invece se usassi il digitale avrei bisogno di altre persone per il montaggio e tutto il resto, e non sarei indipendente nel corso d’opera.
Le opere teatrali sono una parte corposa e importante del tuo lavoro: ci sono state motivazioni particolari dietro alla tua decisione di allontanarti dall’ambito dei film horror per diventare un regista di teatro?
In realtà, ho iniziato a farle semplicemente perchè mi sono state offerte come lavori, e non mi sono mai davvero allontanato da determinate tematiche: se in Germania è vero che non c’è una tradizione horror e nessuno vuole film di quel genere, questo per fortuna non vale per il teatro, dove si possono mettere in scena cose molto cupe. Ho appena realizzato e portato nei teatri la pièce di The elephant man, che al momento è un grande successo di critica, e non avrei mai potuto girare scene simili per il cinema, oggi come oggi. Ma se lo faccio per il teatro, non ho problemi. L’anno scorso ho allestito un dramma su Edward Gein, il profanatore di tombe (Ed Gein, noto serial killer): non avrei mai ottenuto del denaro per un film su di lui, per contro ne ho ricevuto parecchio per realizzare l’opera teatrale.
Infatti mi è stato detto che la situazione cinematografica tedesca, dal punto di vista del cinema commerciale, è abbastanza preoccupante.
E’ vero, in Germania non puoi ricevere finanziamenti per un film senza l’ausilio delle reti televisive; il documentario che ho fatto sui monster movies, Monsterland, è stato cofinanziato dalla tv tedesca insieme a quella francese, olandese e altre, ed è stato dunque possibile realizzarlo solo perchè l’abbiamo preventivamente venduto a vari network europei. Da noi è l’unico modo per poter vedere un riscontro economico.
Alla fine, tratto sempre le medesime tematiche, faccio più o meno ciò che facevo prima, cambia soltanto la forma, il che per me è interessante: ho realizzato un buon numero di film praticamente senza budget, dunque ora per me è stimolante mettere su opere teatrali poichè posso concentrami unicamente sul lavoro degli attori. Se fai un film senza disponibilità di soldi devi occuparti di tutto, mentre a me piace dirigere, focalizzarmi sugli attori, e ora ho il modo di farlo. Quando giravo i primi film dovevo sobbarcarmi ogni aspetto, telefonare a tutti gli attori e tecnici per dire loro di presentarsi sul set, in un certo senso ne ero anche il produttore, ora sinceramente non mi rammarico di non dover essere più io a produrre i miei film. Il nuovo lungometraggio a episodi, German angst, è prodotto da Michal Kosakowski, questo è uno dei motivi per cui ho accettato di partecipare, in quanto posso dedicarmi completamente a dirigere.
Parliamo un po’ di German Angst: come hai detto in quest’intervista, non ti sei mai realmente allontanato dall’horror nemmeno dal cinema, come collocheresti questo film nel tuo percorso?
Non vedo German angst come il mio ritorno al filmico, forse è più esatto dire che torno a fare un lungometraggio vero e proprio, ma sinceramente non penso che ne farò molti altri in quanto so che il mercato tedesco non è pronto per questo genere di opere. E’ più una sorta di patto d’amicizia: Andreas Marschall ebbe l’idea per questo film a episodi intitolato, per l’appunto, German ansgt, e mi disse che sarebbe stato molto più facile trovare dei finanziamenti se il mio nome fosse stato coinvolto. Non so se sai che fu lui l’artista che disegnò l’artwork originale per il poster di Nekromantik, nel 1987; lui mi ha offerto il suo aiuto 25 anni fa, e io lo aiuto ora per finanziare il suo film nel 2013.
In effetti, al di fuori della Germania, tutto lo vedono come il tuo ritorno, poichè non conoscono ciò che hai realizzato in questi anni.
Ho cercato di mantenere un basso profilo in German Angst, il mio episodio è molto semplice e ho conservato lo stesso spirito che avevo quando giravo i miei primi film. Potrebbe essere un episodio tratto da Der Todesking ma non sarà molto orrorifico, ci sono decisioni più sagge rispetto alle mie vecchie pellicole horror. Questo perchè al giorno d’oggi gli horror non hanno più l’impatto di allora, adesso c’è Hollywood a farli, ci sono i remakes di ogni cosa, Texas chainsaw massacre, The evil dead, gli horror purtroppo non rappresentano più una controcultura come invece accadeva un tempo.
Nel film c’è un episodio firmato da Michal Kosakowski, l’autore di Zero Killed (2012), film che ho trovato assai interessante in quanto sorta di vero esperimento sulla percezione della violenza. Cosa pensi dell’importanza della sperimentazione per un filmmaker?
Penso che oggi sia molto raro riuscire a fare lavori sperimentali, nel cinema, poichè in questo ambiente circolano molti soldi, (che nessuno vuole rischiare di perdere), ecco perchè i film sembrano tutti uguali (ride). Per me è fondamentale provare a fare cose diverse ma bisogna sempre tenere in conto che, in questo modo, ci si può alienare il pubblico o lo si può deludere. Prima parlavamo di Der todesking: quando il film uscì, tutti i fans che avevano apprezzato Nekromantik non sapevano bene che pensare di Der todesking poichè era molto diverso. Solo dopo un po’ di anni la gente iniziò a dirmi che avevano compreso il suo significato e che era stata una saggia decisione quella di non fare un film simile al primo.
Molti autori hanno avuto lo stesso problema, mi viene in mente ad esempio un aneddoto su Clive Barker: quando presentò lo script di Nightbreed ai produttori, gli dissero che volevano un film simile ad Hellraiser, il quale era andato bene al box office, dunque il pubblico si sarebbe aspettato qualcosa di molto simile, e che ovviamente Nightbreed non sarebbe interessato a nessuno.
E’ buffo poichè quando Nekromantik fu proiettato in Gran Bretagna per la prima volta, a Londra, c’era anche Clive Barker che si avvicinò a me, guardò la locandina, lui peraltro stava preparando Hellraiser all’epoca, mi guardò con un’espressione molto buffa e mi chiese: “Come diavolo hai fatto ad avere il permesso per una locandina così?”; gli risposi semplicemente che il film non aveva budget dunque non dovevo chiedere nulla a nessuno. Dopo quell’episodio cominciai ad avere un certo timore dei suoi film: quando vidi le prime foto di Hellraiser avevo paura che avesse realizzato il mio stesso film ma con un budget più grosso (ride), poichè all’epoca avevo visto solo delle foto in cui si vedevano cadaveri e una donna bellissima (Julia) che vi sedeva accanto così sulle prime rimasi scioccato.
Cosa hai in mente per il futuro?
Il progetto che ho appena terminato, una settimana fa, è stato The elephant man, per il teatro, sulla mia pagina Facebook puoi vederne delle immagini. Alla fine di gennaio vi sarà il radiodramma su Kim jong-il, con un titolo tedesco molto complicato, che tradotto in inglese suona come The incredible fairytale of the superkim from Pyongyang; dopodichè, si spera in febbraio o marzo, gireremo German angst. Speriamo.
Chiara Pani