Caterina è una donna dolce e fragile, rosea e delicata come le fragole. Volubile, sì, anche volubile. Non è la prima volta che si entusiasma a qualcosa, e ogni volta finisce col disincanto, superato e consumato il tempo della passione. Adesso è il turno degli scacchi, dei suoi mercoledì srotolati come grani di un rosario. Non m’illudo che duri molto, dice tante cose Caterina, dice tante cose. Intanto sono contento di questa sua nuova fiamma, mi accomodo sul cuscino – il mio è quello arancio scuro – e mi faccio pago di iniziare a disporre sulla scacchiera i pedoni neri: tanto non c’è discussione, quelli mi ha dato il destino, quel destino che porta, casualmente, il suo nome. “Sei tu il cavaliere del male, il nero dionisiaco e baudelairiano, il poeta della soffitta, il dannato e perennemente inquieto. A te, dunque, il nero. A me il bianco, il pensiero positivo, il bene, il foglio su cui scrivere l’ennesima vittoria”. È sera. È quasi estate, e il pavimento, anch’esso a scacchiera, mi trasmette ai piedi una piacevolissima sensazione di frescura. Iniziamo a giocare, lei è concentrata come un arciere nel momento che anticipa lo scoccare della freccia. Già avverto il suo piacere nel ‘mangiare’ i miei pezzi, pezzi a lutto, pezzi che pre-sentono e presagiscono la loro tragica fine pressoché imminente. Intanto che vivo – penso –, provo a godermi con loro i minuti che mi restano: – “Scusa, amore, se interrompo un istante la partita, mi è venuto in mente di chiederti se e quando vorrai venire con me a Lipari. Sai, quel paesino che mi diede i natali, quel paesino sperduto e fuori dal tempo. Quel paesino dove si può guardare alle nubi che ti sfiorano i capelli, dove ascoltare il chicchirichì del gallo, dove le piante quasi ti parlano.” – “Sì, lo Strapaese! Proprio tu, eroe della soffitta, proprio tu!”. – “Scusa ancora, amore, quando andremo a Marzamemi? Sai, quel paesino di mare, dove le alghe si annidano sulla battigia e ti avvinghiano i polsi dei piedi, ti solleticano e massaggiano meglio che in un centro di benessere. Quel paesino dove puoi osservare i granchi che vanno a rovescio e le case colorate a strapiombo sul mare; dove poterci giocare con quei granchi, stuzzicarli con un ramo rinsecchito e provare a catturarli, pur capendo l’ardire presuntuoso dell’impresa. Quando andremo?”. Caterina mostra i sintomi della sua sopportazione. Il sopracciglio dell’occhio destro si arcua, un ghigno picaresco s’imprime sulle labbra, l’ansia di riprendere il gioco si palesa nel ticchettio delle dita che ondulano con religiosa levità sulla scacchiera. La amo, Caterina, amo la sua fragilità e il suo incedere sull’asfalto del tempo che passa inventandosi ogni volta una nuova passione. Amo soprattutto quel sopracciglio, quell'arcuarsi sull’occhio come un arco di trionfo sulla strada che immette in città, quel ghigno. Che cosa posso farci, è il mio piccolo piacere, uno dei miei tanti piccoli piaceri. Lei intanto si accorge dello ‘scacco’, continua a ticchettare le dita, poi mi sorride. – “Scusami amore, possiamo riprendere il gioco, ma sta’ attenta al nero cavallo in agguato dietro una ferula di Lipari; attenta al nero alfiere che può nascondersi dietro le ali del gallo, alla nera regina che può sbucare dalle alghe e morderti l’alluce …”.– “Basta! ho capito”, intima. La mia lenta agonia può avere, ora, inizio.Franco Pertinenza, classe 1975, è nato a Lipari, dove lavora e vive con la sua famiglia.
LA MOSSA DEL GALLO, racconto breve di Franco Pertinenza
Creato il 09 febbraio 2012 da EdizionidelcalatinoPossono interessarti anche questi articoli :
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