La mostra delle atrocità
J. G. Ballard, 1970/1990
Feltrinelli
200 pagine, 7,23 euro
Romanzo, saggio, sequenza di brevi racconti (o di condensed novels, come le chiamava Ballard): non è facile capire o spiegare con esattezza quale sia l’esatta collocazione della Mostra delle atrocità.
Quattordici capitoli, a loro volta suddivisi in brevi scene non più lunghe di mezza pagina.
Mobili e indefiniti i personaggi, a partire dal protagonista, che lavora in una clinica per malati mentali e cambia di continuo nome (Travis, Tallis, Trabert, Talbot). Attorno a lui si muovono figure enigmatiche come il Dottor Nathan e Catherine Austin, suoi colleghi alla clinica, e Karen Novotny, amante su cui si proiettano di continuo immagini erotico/oniriche. E ancora, una donna dal volto sfigurato, un ombroso pilota d’aviazione, e tre figure, forse immaginarie, chiamate Kline, Coma e Xero.
A fare da (labile) filo conduttore, La mostra delle atrocità, una caotica esposizione di film e immagini scioccanti il cui catalogo potrebbe essere stato compilato dai pazienti della clinica o dallo stesso protagonista.
Un gran casino, detto fuori dai denti, anche perché ognuno dei brevi sottocapitoli può essere considerato a se stante, slegato da quelli che lo precedono e lo seguono.
La natura sperimentale del romanzo non è insomma tanto da ricercarsi nella forma (in questo Burroughs, che non a caso firma la prefazione, raggiunge a mio avviso risultati ben più estremi di Ballard) ma nel groviglio di percezioni che fondono anatomia, geografia e architettura in inquietanti ibridazioni:
Tallis fu subito colpito dagli insoliti piani del suo viso, che si intersecavano come le dune attorno a lei. […] La giovane donna era un’equazione geometrica, il modello di un paesaggio.
Guardando Karen Novotny mentre passava per le stanze, riusciva a collegare il movimento delle sue cosce e dei suoi fianche all’architettura del pavimento e del soffitto.
Interno ed esterno, mentale e fisico, organico e inorganico: sono i binari di questo viaggio allucinato, la cui influenza è riscontrabile in molto cinema successivo. Scontato il nome di Cronenberg, che nel 1996 ha anche diretto l’adattamento del ballardiano Crash, aggiungerei anche una certa contiguità di temi tra La mostra delle atrocità e quel disturbante gioiellino che è Jacob’s Ladder di Adrian Lyne (Allucinazione perversa nell’orribile traduzione italiana).Se l’output dell’opera è cinematografico, l’input è invece legato alla pittura: si citano dipinti di Max Ernst, di Dalì e del surrealismo in generale, un catalogo visivo che va ad aggiungersi alle immagini da cui Travis è ossessionato: ingrandimenti del volto delle celebrità, cadaveri di soldati torturati o straziati dalle esplosioni in Vietnam, JFK con la testa spappolata, rottami di arsenali bellici, i resti di James Dean e Albert Camus intrappolati tra le lamiere contorte di un auto, gli astronauti morti dell’Apollo.
Queste diverse facce della morte in alcuni capitoli vengono sottoposte a vari gruppi di persone, di cui si tengono monitorate le reazioni fisiologiche. Esperimenti immaginari che mostrano correlazioni tra sesso e varie tipologie di sofferenza, come scrive anche Burroughs nella prefazione:
Le radici non sessuali della sessualità qui sono esplorate con una precisione chirurgica. Un incidente d’auto può essere sessualmente stimolante più di un’immagine pornografica.
E tra tutti gli incidenti, un posto di rilievo è attribuito da Ballard a quello che viene definito “il disastro automobilistico più tremendo della nostra epoca: l’assassinio di JFK durante una sfilata d’auto”.
Proprio il capitolo dedicato all’episodio di Dallas, intitolato L’assassinio di John Fitzgerald Kennedy considerato come una gara automobilistica in discesa, all’epoca dell’uscita del romanzo fu tra i più discussi, e bollato dall’opinione pubblica statunitense come poco rispettoso. Non è difficile capire il perché: in esso Oswald è lo starter, Kennedy e Johnson i corridori. Il primo, dato per favorito, viene squalificato a causa di un errore di manovra in curva, mentre il secondo vince la gara e festeggia sventolando la bandiera americana.
Qui Ballard cita come ispirazione La crocefissione considerata come una gara ciclistica in salita di Jarry, altro testo che propone un accostamento ardito. La portata dell’influenza può essere approfondita leggendo i due racconti in parallelo, qui.
L’edizione Feltrinelli della Mostra è basata su una versione riveduta e corretta del testo iniziale, pubblicata nel 1990. In essa è stato aggiunto un apparato di note dello stesso Ballard, commenti a mio avviso imprescindibili che spiegano la genesi di alcuni concetti (nell’ampia trattazione della automobili come oggetti seducenti ad esempio si cita Marinetti) e più in generale di alcuni dei meccanismi psicologici presi in esame.
In appendice al volume, in questa versione sono poi state aggiunte quattro storie extra.
Le prime tre sono descrizioni di interventi di chirurgia estetica, prese da testi medici. Ballard si limita a sostituire il termine paziente con il nome di una celebrità. Basta nominare Mae West o la regina Elisabetta, e quelle che erano fredde esposizioni di argomento scientifico si trasformano sotto i nostri occhi in qualcosa di diverso.
Obiettivo dell’operazione, dimostrare che le icone sono in grado di plasmare il materiale a cui vengono accostate, mutandone radicalmente il significato. Ecco quindi che la neutra descrizione medica della Rinoplastica della regina Elisabetta si rivela più simile alla pornografia che al trattato scientifico da cui il materiale di partenza è stato tratto.
Un bagliore di futuro fa capolino tra le righe: Ballard lascia intuire che presto ai Mondo movies, all’epoca di grande successo, si sostituirà una forma di intrattenimento in cui anche gli ultimi residui di finzione verranno rimossi, esponendo la scienza nuda e cruda.
Anno 2011: esistono trasmissioni che mandano in onda operazioni di chirurgia estetica, degne di Jacopetti in quanto a particolari sanguinosi.
L’ultimo racconto immagina una terza elezione di Ronald Reagan come Presidente degli Stati Uniti nel 1995 (da notare che ai tempi della stesura non si era ancora verificata la prima).
Il presidente è vecchio e stanco, e il suo stato di salute è la principale arma di distrazione di massa usata dai media per evitare di parlare d’altro. I telegiornali non fanno che occuparsi degli esami clinici a cui viene sottoposto Reagan, tengono sotto controllo le sue funzioni vitali e ne mostrano l’andamento in calce allo schermo televisivo. Gli instupiditi cittadini/spettatori non si rendono neppure conto che nel frattempo è scoppiata la Terza Guerra mondiale, presi come sono dai risultati di colonoscopie e biopsie.
Racconto già abbastanza impressionante di per sé, che Ballard chiude con una nota:
La sfida reale di Reagan sta nell’irresistibile esempio che egli offre ai futuri attori e manipolatori di media con ambizioni presidenziali, idee fin troppo chiare e ferma intenzione di fare di se stessi un film per altri mille anni.
Vi ricorda niente?
Pro:
- Le citazioni di opere pittoriche.
- La straniante mancanza di consequenzialità dei sottocapitoli (tale che un personaggio morto in uno di essi possa ricomparire come se nulla fosse nel successivo).
- Alcune delle previsioni di Ballard, lette a più 40 anni dalla stesura, si rivelano clamorosamente esatte.
Contro:
- Non si tratta di lettura semplice, manca una trama unitaria e alcuni dei frammenti sono piuttosto oscuri. Questo non è necessariamente un difetto, ed è anzi il punto di forza dell’opera, a patto che il lettore sappia cosa lo aspetta.
Se cercate un romanzo tradizionale non comprate il biglietto per visitare La mostra delle atrocità.
La citazione:
Tutta la nostra vita è percorsa sotterraneamente da compiti già assegnati. Le coincidenze non esistono.
Chiudo con una colonna sonora, scontata ma d’obbligo.
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