Buon Agosto, IM
SALVATORE FITTIPALDI
LA MUSA DI BLANCHOT
(IL VIAGGIO)
edizioni divinafollia
Dedicato ad Antonella Ruzzon
“Un viaggio in cui non è possibile inoltrarsi, immergersi in quella dimensione che protegge, non percepibile e che non rivela nessuna protezione, alcuna sicurezza che il viaggio abbia una destinazione, un muoversi a un passo più in là di quello che non si può afferrare, un movimento perenne dall’aspetto sacro di approssimazione all’irraggiungibile, all’irreale: un viaggio di anime in viaggio verso il punto avanzato del percorso voluto e desiderato dai viaggiatori”.
(L’Autore)
PREFAZIONE
Obliqua magia della luce.
È stata la definizione più immediata – obliqua ma- gia della luce- a darmi l’input per stendere la pre- fazione a questo primo Autore della neonata colla- na Micron.
Salvatore Fittipaldi, conosciuto per caso, letto an- cora più occasionalmente, all’inizio:
“ … ma tu guarda quest’uomo che proposta origi- nale, che verve e che stile visibile nell’invisibile, immenso nel piccolo scrigno chiuso dell’anima ….
guarda che dignità nell’espressione, che certezza di nervo ….”. Eh, sì, a quel punto divenni un’assi- dua seguace di questa penna e mai e poi mai avrei smesso di leggere – quotidianamente – le novità postate sul suo blog, tramutate in poesie, sì, quel- le di Salvo (come mi è venuto, da subito, sponta- neo, chiamarlo). Poi lo scambio immediato, la discussione costruttiva, l’affetto naturale.
Micron nasce per dare forma al mio sogno: quello di pubblicare, a mia firma, come editore, gente che meriterebbe l’Olimpo, che magari non ha avuto la fortuna di essere contattata dai grossi nomi dell’editoria, oppure incompresa, schiva, nascosta. Gente che invia a chi legge una obliqua magia di luce, quella luce che deve rimanere accesa e non esaurirsi nel trascorrere del tempo. Come la ma- gia, o il flash della luce, anche Micron è immedia- ta, breve, non perché la si debba decurtare per scelta di risparmio cartaceo, no. Micron ha tantissimo dentro ma è concentrato, la poesia (ma po- trebbe anche essere prosa) raccolta in pochi caratteri stampati perché il nervo non necessita di lun- gaggini, anzi, colpisce e fugge, fruscio che dilegua l’ombra subito dopo l’abbraccio pieno. E Salvatore Fittipaldi è certamente uno scrittore di nervo. Uno che non cede ai rigori delle regole, ai preconcetti, alla rigidità di schemi o canoni che puntualmente ritroviamo nei libri, nelle sillogi, nelle grandi opere della storia. Già tale concezione della scrittura viene evidenziata negli inquieti, e sicuramente anche il Nostro ne fa parte, ma qui, forse, si enfatizza laddove il dubbio sulla sintassi non esiste più, qui si parla di interpretazione, di analisi del contenuto e stilistica, che si contraddistingue e mai avrà uguali. Ma cos’avrà di tanto nuovo questo genere di far poesia? Mi nascerebbe dalla gola un solo gri- do, leggetelo, io ho già espresso tutto nel titolo, ma forse qualche breve spiegazione è doverosa. Credo sia la prima volta in cui mi trovo di fronte a un testo e ne ho soggezione: non so se riuscirò a dire, descrivere, quanto un pezzo di Fittipaldi possa smuovere a livello emotivo, di appagamento, a una come me che legge un sacco, e ormai quel sacco stupisce, incanta e coinvolge molto poco. Eppure, tra le “cose” scritte, infinite, del periodo in cui sono nata e vivo, “cose” che non posso definire diversamente, tra para-editori, para-scrittori, quel sembrare che non è e mai sarà …. ho tirato fuori voci meravigliose, davvero nuove, con corde taglienti e vibranti capaci di suscitare fremiti persino ai cadaveri di qualche grande ormai sepolto nella storia. Qualcuno. Appunto. Pochi. Magari bruciati in libercoli che sono rimasti lì a fare polvere. Ma perché? Perché gli addetti ai lavori, quelli (teoricamente) veri, hanno altre faccende di cui occuparsi, ci sono i titoli dozzinali da lanciare nella grande distribuzione, non c’è posto per la nicchia, per i numeri bassi, le minime copie. No. È un no che dico io, pur non essendo nessuno, soltanto un’appassionata di scrittura e di critica letteraria, di ricerca, una come tante che ha voluto realizzare un sogno piccolo dentro a un altro sogno grande. Così, con il modesto contributo che mi è possibile dare, pubblico una persona speciale, convinta che succederà quello che è giusto che accada: questo libro verrà visto da occhi non solo esperti ma an- che potenti, e sarà portato nel mondo, come merita. Fittipaldi è stato capace di assemblare un lin- guaggio che supporta davvero il suo pensiero, lo traduce in fonemi, grafemi, ne evidenzia la musi- calità insita, persino la mimica, il nervo, appunto, che è semplicemente l’anima. Giovane, svelta, immediata, viva, pulsante e irrorata di capillari ed arterie, sangue puro. E dite niente? Tutto questo è Salvatore, tutto questo è la sublimazione dell’In- quietantismo, ciò che è parso, per certuni, forse, la degenerazione (in senso positivo) dell’ansia, del- l’arte del nostro secolo, non certo la sussunta chiacchiera sociale secondo la quale l’artista è un pazzo o un deviato. Pensiamo a Baudelaire. Basti poi capire chi va ad ispirare Fittipaldi, da Joyce a Vico, Tolstoj. Nel mio seguirlo, e fu anche un det- taglio che mi colpì, notai che questo Autore aveva creato un circolo dedicato ad Edoardo Sanguineti. Grande. Ho sempre amato Sanguineti. Avrei volu- to conoscerlo, stringergli la mano, ma l’occasione non venne. E come dimenticare gli haiku di un poeta così singolare? Le Sessanta lune: i petali di un haiku nella tua bocca. Mi è venuta così come la ricordo, coi due punti, perché anche Fittipaldi ne fa un uso esagerato, come a precisare che il suo meraviglioso delirio non smette. Mai. Surreale come Maurice Blanchot, con ossimori, pensieri mi- stici, frammentari, separati, spesso dalla doppia interpunzione, appunto, il delirio nervoso ed esi- stenziale, il viaggio in cui non è possibile inoltrarsi. In Fittipaldi io ritrovo tracce di Bataille (come di- menticare la Storia dell’occhio?), la patologia crea- tiva di De Sade, la grandiosa filosofia di Rilke e di Nietsche. La malattia dell’esistenzialismo, comun- que, è cronica, insita in ogni vero scrittore, soprat- tutto poeta, che non manca neppure in Sanguineti. Così il Nostro è ispirato da tanto scenario, che sia benedetto, veramente, per darci modo di tuf- farci in classici che, riletti con cognizione moderna, posso darci ancora e ancora di più. Dice di lui il fi- glio maggiore di Edoardo Sanguineti: <<Facendo il verso al verso di mio padre/ quasi poscritto a tan- ta post-scrittura / post-novissimamente scrive e scrive/ Fittipaldi il cui stile è questo stile/ lo stile dico di non aver stile/ mosso da gentilissima richiesta /con un doppio così di doppio padre /per Salvatore pone Federico/incisa sulla carta questa epigrafe. (Federico Sanguineti). E Salvatore rispon- de, (da 19° di Stracciafoglio): <>.
Ecco, non aggiungo altro, vi presento La musa di Blanchot (Il viaggio), con l’obliqua magia d’una luce nervosa.
SILVIA DENTI
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LE POESIE
LA MUSA DI BLANCHOT
ci sono, in carne e ossa: in prefazione e in appendice: non solo per esigenza personale, di leggerti
e di scriverti, di vederti e di sentirti: sono al capitolo su
“La solitudine essenziale”, quella del mondo, ormai m’è andata
a noia: ci corre incontro: ci appare a luce densa, illumina l’assenza:
è sempre lei:
lusinga, ci fa apparire insieme, ci fa negare
di essere lontani: non ha forma, non è reale: ci mescola al giorno e il giorno ci rimane nella mano:
se proprio non ce la faccio, raccolgo un girasole e te lo lancio, oppure dipingo una luna e te la lascio,
dentro la tua notte:
ho saltato il capitolo su “La morte necessaria”: sono già morto:
vivo e vegeto nella “Terza terra” col profumo dei petali dei fiori:
BOLLETTINO DEI VIAGGIATORI
da un vicolo cieco, da un circolo vizioso andare verso Howth Castle
e dintorni: dal silenzio senza voce passa la strada che arriva alla contrada
attraverso il parco delle arance, il pantano dei rospi, il prato della ruggine:
ha pagato il pedaggio il vento con un passo avanti e uno indietro: adesso gira in tondo, attorno ai tronchi,
nella fatalità del cerchio:
si va, non si va: si torna, non c’è ritorno: non si può tornare:
tirano su le maniche:
l’illusione della speranza fa il viaggio ricco di cadute, di dubbi dove camminare:
“Qual’ è la strada”, ha chiesto Streben:
“Non esiste di tracciata, bisogna avventurarsi verso l’inaccessibile”,
gli ha risposto Genus:
dove si trascinano sono oscuri corridoi, ma il viaggio lo vogliono ricco
di gradini , di posti dove regna tristezza e solitudine, di boschi fitti fitti
per arrivare dove è difficile dirigere la slitta al morbido cielo di Tolstoj:
*Riferimenti:
-Brechunov e Nikita: Tolstoj -Vicus commodus: G.B. Vico
-Howt Castle: Incipit di Finnegans Wake: Joyce -Streben, Genus: Faust Goethe
Traduzione:
de une impasse, d’un cercle vicieux aller à Howth Castle
et ses environs: par le silence muet passe le chemin de l’arrondissement
dans le parc d’oranges, les crapauds des marais, la rouille verte:
a payé le péage, le vent avec un pas en avant et un pas en arrière: désormais tourne en rond, autour des troncs,
dan le sort du cercle:
y aller, ne pas y aller, il est retour, il n’y a pas retour: on ne peut pas revenir en arrière:
retroussent leurs manches: l’illusion de l’espoir rend le voyage plein de chutes, de doutes où marcher:
“Quel est le chemin» at-il demandé Streben:
“Il n’y a de tracé , vous devez vous aventurer dans l’inaccessible”
il répondit Genus:
où ils se glissent sont des couloirs sombres, mais le voyage qu’ils veulent c’est riche
des marches, des endroits où il y a la tristesse , la solitude, d’épaisses forêts denses
pour arriver là où il est difficile de diriger le traîneau au doux ciel de Tolstoï:
AVVISO AI VIAGGIATORI
svègliati serena, anima mia: inizia bene l’anno:
ce la faremo a vivere: il viaggio deve continuare -AVVISO AI VIAGGIATORI:
“Evitare luoghi dove la sosta è la seduzione dei miraggi”-: sopravvivremo,
vedrai: la dialettica dei passi non subirà arresto per debolezze o dolore:
avremo, anche, pure, certamente, paura: tanta
paura: e poi, ancora, paura
di avere paura, già all’inizio, da subito, dall’istante in cui la paura non sa
evitare l’ombra che sempre la segue e la precede: avremo una paura tale
che le parole tremeranno prima di parlare:
serena, anima mia: quella che ti fa bella a te, è la paura:
CASE E DIMORE
oltre la casa, quella con le finestre e i muri abbiamo altre abitazioni: esclusive, nascoste, riservate:
luoghi senza nome, senza stanze, soffitti, pavimenti:
solo la tentazione che attira e che trattiene: posti segreti dove dimorano il linguaggio del pensiero,
il fittizio che si consegna alla finzione, il silenzio senza riduzione, irriducibile, sottratto alla riduzione:
il posto dove entra l’esigenza chiara della luce
filtrata dalle crepe, oltre l’immensità del mare: abbiamo dimore nascoste, come tane, dove respira
l’anima dell’animale, dove il soggiorno trova un altro senso,
un sapore diverso che volevi e che cercavi: abbiamo posti tenuti nascosti: se li mostri, se li riveli, essente assente, te ne ritrovi fuori: abbiamo abitazioni senza mobilio, sedie, lampadari
che sono riserva di sopravvivenza, forma del vuoto:
FIORE IN ITINERE
solo una goccia d’acqua:
non ha altro, per la sete intima dei petali: pallidi, impalliditi di dolore,
per le stimmate dei pistilli e degli stami:
se la salvezza potesse avere inizio,essere veramente guadagnata: se riuscisse il compagno di viaggio,
iniziandosi a soffrire il corpo, a svelare la certezza nascosta
nell’orrore, a risvegliare la meraviglia dopo la distruzione,
a mettere la freschezza nei fantasmi che avvolgono le
cose:
se riuscisse ad accedere al buco, a lui precluso, del destino,
forse il viaggio si eleverebbe a più alta misura, il lavoro del giorno
diventerebbe davvero creatore:
se a quest’ora del viaggio manca la certezza del presente,
il passato guarda all’estremità dell’avvenire: se appare che è il solito scenario che si muove, forse
è la strada giusta: dicono che è la strada del dolore che scatena la storia:
IL GIORNO E LA NOTTE
che lungo giorno, amica luna, il giorno piegato dentro le sue stesse pieghe nelle sue stanche costole piagate
nei gesti e negli incastri dei minuti:
credevo di conoscere i tuoi occhi, di avere fra le mani i tuoi crateri: tu lumencristi e perigeo e lumiera,
tu notte di luna piena in piena notte:
tu lunario segreto e dies lunae tu remo e noema e fuso orario: capovolto ti aspetto fino a notte:
che lunga notte, amica luna, la notte piegata dentro le sue stesse pieghe: capovolto ti aspetto fino a giorno:
IL PESO DEL VIATICO
ne sera plus comme avant: il viatico pesa e
la notte illumina la strada, la mantiene oscura nel chiarore che l’oscurità rende visibile al buio chiaro della luna, all’oscurità della partenza da dove
inizia la distanza, l’allontanamento della vicinanza:
ne sera plus comme avant se è possibile vedere cosa si vede, come prende forma il cosa si vede
quando la lontananza si avvicina:
non c’è riparo sotto la maestà della distanza per l’inquietudine, per l’indecente evidenza del corpo:
guardamelo nudo, libero dal rimpianto miserabile di essere scampato all’istante del fulmine
prima della pioggia: