Dalla prima strettoia siamo usciti indenni, c’era un segnale grosso come una casa che avvertiva del restringimento della carreggiata. Come riflesso mi sono aggrappato al sostegno assumendo quella postura da anziano in automobile per la quale tutti ti prendono in giro, ma a dirla tutta l’ho sempre trovata molto comoda, sarà che tenere le braccia verso l’alto favorisce la circolazione (quella del sangue). Sta di fatto che mi rilassa viaggiare così. Ma quando avverto il pericolo e non sono io a guidare mi viene d’istinto di puntare i piedi come a premere un pedale del freno immaginario, nemmeno fossi su una vettura da scuola guida con i doppi comandi, mi spingo indietro con la schiena schiacciandomi sul sedile e dopo aver afferrato la maniglia cerco di capire cosa succede. E fortunatamente non è mai successo nulla di grave e nemmeno quella volta lì. È che Fede, che era al volante, l’avevo visto subito prima di partire che aveva qualcosa. Fede manifestava quel tipo di sbornia che hanno i tossici e gli ex-tossici e quelli che ne sono usciti ma mica tanto, dopo un paio di bicchieri gli scendevano le palpebre e sarà che aveva le guance scavate da tutti i denti che aveva perso e la mania di indossare camicie troppo larghe, quando lo vedevi barcollare non capivi che tipo di sostanze aveva dentro di sé. Due bianchi macchiati, una birra, una canna o la merda. O tutto insieme. Fede era appoggiato al bancone e beveva e sgranocchiava pistacchi fumandoci su Winston con il pacchetto morbido, li apriva al contrario non si sa bene il perché strappando la carta da sotto. Forse era una di quelle trovate che hanno i neofiti del tabagismo come girare la prima sigaretta quando togli l’incellofanatura o forse era solo un tic da ribellione all’autorità costituita e alle multinazionali americane. Poi siamo partiti per il solito posto del venerdì sera ma c’era solo lui con l’auto e il pieno contemporaneamente. Mezz’ora di litoranea per non pagare i quindici minuti dell’autostrada più cara d’Italia non era molto, ma sufficiente a stamparsi contro qualcosa. Io lì a fianco che armeggiavo con le cassette per far finta di nulla ho tirato su la testa giusto per vedere il muro a secco a pochi centimetri dalla portiera del passeggero e a girarmi dietro per capire come prendere in mano la situazione. Ma non c’è stato il tempo per attuare una strategia diversiva: la corsia si restringeva ancora all’inizio del ponte qualche centinaio di metri più avanti. Non è stato uno scontro frontale con un’ostacolo: la Fiat Tipo su cui viaggiavamo ha percorso tutta la lunghezza del guard rail raschiando la fiancata destra in un tripudio di scintille, meglio così perché in senso contrario stava transitando un autobus di linea e sbattere su un oggetto in movimento avrebbe avuto conseguenze diverse. Fede si è così svegliato, ha bestemmiato ma ha proseguito fino ad accostare la vettura al bordo della strada terminato il ponte. Il danno era evidente e solo di carrozzeria, ma per sdrammatizzare e per buttarla sulla casualità ho raccontato di quando a mio papà uno spargisale gli aveva aperto a metà la fiancata della Ford Taunus di famiglia come un apriscatole. Fede non si è offeso quando mi sono messo alla guida e ho portato tutti indenni alla meta della nostra serata. Lì però mi era passata la voglia, mentre Fede era partito subito con una serie di richiami – come li chiamava lui – per non perdere l’effetto allucinogeno per cui aveva pagato. A metà serata, malgrado la musica fosse più che accettabile, trovai Paola che si sedeva sempre di fianco a me in biblioteca quando studiavo lì, era con un’amica e doveva rientrare presto. Non avvisai nessuno che stavo per andarmene, sapevo che la decisione che avevo maturato era molto più articolata.
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