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È possibile imbrigliare la musica in un processo produttivo industriale che la regoli ben oltre la razionalità che, necessariamente, accompagna l'ispirazione e la creazione? È possibile, allo stesso tempo, affidare al caso la composizione e l'esecuzione di un brano, una sinfonia di suggestioni che partono come un arcobaleno e finiscono in un cerchio bianco, che annulla le personalità dei singoli?
Non c'è una risposta definitiva a queste domande e trovarla non è l'obiettivo dell'Unità di produzione musicale, fabbrica che vuole solo assicurarsi che i suoi dipendenti, 72 musicisti con formazione ed esperienze diverse, abbiano un prodotto da consegnare alla fine della giornata lavorativa. Otto ore rigidamente programmate in cui gli operai della musica devono scrivere ed eseguire, a turno, delle partiture senza alcun vincolo e di conseguenza senza la libertà di scavalcarlo.
La performance documentaria a tratti distopica che UPM - Unità di produzione musicale mette in scena, lascia lo spettatore libero di fare le sue considerazioni, allo stesso modo in cui sorgono dubbi e nascono dialoghi spontanei tra gli operai - musicisti veri - liberi di produrre ciò che vogliono, ma inizialmente vincolati dal non sapere cosa faranno i colleghi. Come se la musica fosse uno strumento tanto di comunione quanto di separazione, incomprensione; come se nell'assenza di regole e quindi di organizzazione, comunicazione, stesse la differenza tra un gregge di onde sonore e una creazione artistica, per quanto fuori dagli schemi.
La chiave per uscire dal caos, allora, è il silenzio, che caratterizza anche i cortometraggi Dreamachine e Concerto metafisico, in concorso nella sezione Prospettive del Filmmaker Festival. Nel primo l'autrice, Alessandra Caccia, trae spunto da un'esperienza che può generare ansia prima e mentre viene vissuta: la risonanza magnetica. Se è vero che la tensione acuisce i sensi e l'udito in particolare, è anche possibile che i rumori generati dalla macchina che ci scandaglia possano condurci in uno stato di semi-incoscienza, trasformando un'esperienza spiacevole in un film visionario. Un flusso di ricordi e immaginazione visiva e soprattutto sonora, interrotta solo da quella stessa macchina che può svegliarci dal sogno - o spingerci in un incubo.
Il secondo corto, invece, si accontenta di contemplare il silenzio di una città vuota, quando tutti sono andati a dormire e solo i gorgheggi di un neonato inseguono i suoni della notte. Un concerto metafisico che fa del silenzio il suo - fisico - direttore d'orchestra.