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La musica in cassaforte

Creato il 22 luglio 2014 da Cristiano Porqueddu @Cristiano195

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AI musicisti o presunti tali che tengono nascoste pagine di musica divenute letteralmente introvabili anche presso le biblioteche nazionali o gli archivi storici – magari perché la casa editrice che le ha pubblicate originariamente ha chiuso i battenti – rivolgo una semplice domanda: prima artisticamente poi umanamente pensate di avere una qualche speranza?
L’immaginaria esclusiva che vi siete ritagliati addosso è propria di chi non ha altro di cui vantarsi.

Avevo poco più di 14 anni quando sono andato a cozzare per la prima volta contro questo atteggiamento.
Lo ricordo come se fosse ieri.
Internet era un concetto fantascientifico e avere uno spartito musicale era frutto di ricerche che duravano mesi (quando queste andavano a buon fine). Con mio padre ci recavamo alla Stanza della Musica, a Roma, per fare incetta di musica per chitarra o si faceva affidamento sul negozio di musica del capoluogo che avrebbe dovuto “ordinare” la copia (i tempi erano biblici).

Durante uno dei tantissimi corsi frequentati in quegli anni, un chitarrista suonava la trascrizione per chitarra della Sonata di Scarlatti K208 (l’unica per cui ho una forte quanto inspiegabile attrazione).
L’avevo ascoltata solo da Segovia.
Dopo l’esecuzione durante la lezione, il chitarrista – molto più avanti con l’età rispetto a me – parlottava e rideva con i suoi coetanei e, io, candidamente, mi avvicinai al gruppo di “adulti” e chiesi: “E’ meravigliosa la Sonata che hai appena interpretato a lezione puoi prestarmi la musica così posso leggerla?”
Lui mi guardò come se gli avessi chiesto la moglie a noleggio e, facente parte di una cricca di eletti e favoriti del “maestro” che governava il corso, alzò un sopracciglio si rivolse agli altri coetanei e rise.
“Te piace eh? Ma nun te la posso dà.”
“Perché?” chiesi io
Altre risa da parte del gruppo di “adulti”
“Eh.. Perché mo’… Perché c’ho le paggine in disordine.”

Ricordo perfettamente la frase delle “pagine in disordine” e capii chiaramente che mi prendeva in giro: non mi avrebbe mai fatto leggere quelle pagine per un motivo che non riuscivo a comprendere.
Impiegai diverso tempo, successivamente, a capire che le mezze tacche tendono (tendevano, oggi non possono più fare nemmeno quello) a tenere per sé la musica che suonano come se l’autore in persona li avesse investiti di una qualche autorità.

Aggiungo: avere un atteggiamento simile in quegli anni poteva persino dare dei miseri risultati in termini di esclusività (parliamo di livelli provinciali, anzi, provincialotti) ma, francamente, tenerlo oggi, con il mondo a portata di mano è da emeriti imbecilli.


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