21 agosto 2014 Lascia un commento
Viene fuori che Al Aprile e Luca Majer pubblicarono la prima edizione i primi anni ’80 e oggi vengono ristampati, percio’ il libro fu scritto a cadavere ancora caldo quindi con una visione dall’interno che avrebbe potuto fare la differenza rispetto l’ondata di nostalgici arrivata successivamente ed in effetti cosi’ e’. Scopro che gli autori a quel tempo erano poco piu’ che ventenni, suonavano e collaboravano con diverse riviste musicali, il che spiega probabilmente come mai i loro nomi non mi giungessero del tutto nuovi. Ad ogni modo, come viene sottolineato nella prefazione scritta da Majer, Aprile e’ scomparso da piu’ di 20 anni, e’ interessante notare come certi nomi oggi leggendari furono a suo tempo malamente liquidati o al contrario lunghe dissertazioni furono scritte su gruppi o singoli musicisti dei quali oggi a stento abbiamo memoria.
Certo la visione e’ molto personale e tutto sommato scritta con perentoria arroganza, per quanto e’ da dire, i due avevano argomentazioni per potersi permettere giudizi il piu’ delle volte drastici e taglienti. Si perche’ si puo’ accusare gli autori di tutto fuorche’ non sapere di cosa stiano parlando.
L’approccio non e’ troppo formale, quasi discorsivo dove un nome ne chiama un altro, un album evoca collegamenti e situazioni e un’intera discografia puo’ essere liquidata in poche parole o dopo intere pagine.
Lo stile libero porta con se’ il rischio di redigere un lungo e stancante elenco ma in realta’ se la cavano piuttosto bene attraverso un eloquio brillante e fantasioso, poco formale ma e’ il suo bello. V’e’ un macro raggruppamento per nazione, che in taluni casi coincide con un’analisi tematica. Viene da se’ che dire Germania significa parlare di krautrock cosi’ come l’Inghilterra praticamente sia sinonimo di Canterbury e quando della Francia ci si sofferma sui Magma e sugli Ange – lasciamo da parte i Gong – si chiude la pratica o quasi. L’Italia, sorprendentemente e aggiungo ingiustamente, viene relegata a poche pagine.
Storicamente e filologicamente la scelta e’ sbagliata ma come abbiamo detto, i due avevano le loro idee portate avanti con troppa convinzione per mettersi a disquisire piu’ di tanto sulle loro scelte.
La lettura resta comunque molto, molto interessante perche’ e’ un ritorno vero e proprio a quell’epoca senza il tempo ad attutire le informazioni e proprio quello scrivere senza alibi e senza senno del poi, rende oltremodo il testo significativo. C’e’ da aggiungere inoltre che la coppia ha saputo vedere lungo, specialmente nella propaggine inglese del punk e della neonata new wave che da li’ a breve avrebbe azzerato tutti i valori in campo.
Il difetto, se cosi’ si puo’ dire, e una tendenza a declinare il prog al jazz rock, trascurando il resto il che non e’ sbagliato, semmai eccessivamente parziale.
Comunque consigliato, non come primo approccio all’argomento ma neppure ad appannaggio esclusivo degli estimatori del genere che comunque sono certo, troveranno un buon ripasso all’argomento e perche’ no, qualche spunto per nuovi ascolti.