Gavino, figlio di Sardegna, piccolo e nervoso, sceglie una caffettiera napoletana: «sento l’aroma del caffè preparato da mia madre, allorché mi chiamava in cucina per fare colazione. Era proprio il profumo del caffè che al mattino mi svegliava … E’ un ricordo emozionante, ora che lei non c’è più». Rosa, che sta stretta nella diagnosi di schizofrenia grave, sceglie uno scrigno. «Nello scrigno – dice – c’è la vita di una persona, le sue cose più preziose. Uno scrigno ero anch’io, quando ero in attesa dei miei figli». Nazrul raccoglie un velo nero. «Da piccolo – racconta – sono stato molto malato. Nel mio paese in Bangladesh non c’era il medico e la nonna mi mise una benda bagnata sulla fronte per abbassarmi la febbre. Tutti dicevano che dovevo morire, ma io sono qua». Salvatore sceglie un barattolo, come quello nel quale la madre nascondeva i soldi in cucina. «Io mi arrampicavo per raggiungere lo stipetto e tiravo fuori i soldi per andare al cinema. Una volta però caddi e mi ruppi un sopracciglio; mia madre non mi punì. In seguito fui mandato in collegio». Infine Giovanni, alto e triste come un salice, il volto come quello di un campione di ciclismo degli anni d’oro, scova nel mucchio un piccolo ciondolo. «Mi ricorda un cuoricino d’argento, piccolo piccolo che mia madre mi aveva regalato (quante volte nella Terra di Mezzo riaffiora il rapporto con la madre …!) e che io tenevo nella tasca dei calzoni. Una sera in collegio frugai nelle tasche, ma non trovai nulla: me lo avevano rubato».
Teatro che fa emergere ricordi … e anche il desiderio di condividerli. Oggetti che esprimono una vita o un frammento di essa.