La narrazione del presente tra cronaca, politica e punti di vista

Creato il 02 maggio 2013 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Come potete leggere nell’apposita sezione, è partita la raccolta dei racconti del mese di maggio per un’altra puntata del Narrativo Presente .
Questa volta, per naturale imposizione degli eventi al momento di scegliere tema e frasi di ispirazione, abbiamo sposato la cronaca, optando per il confronto con un fatto preciso, circoscritto ma emblematico, anziché per una tematica di ampio respiro.
La differenza con le precedenti puntate appare, a un primo sguardo, molto significativa. Finora, infatti, ci eravamo concentrati sui grandi temi – la democrazia e la rappresentanza, la povertà materiale e spirituale, le attese delle generazioni, i consumi e il commercio – mentre qui tutto ruota attorno a un episodio ben delineato, al quale si riferiscono tanto il titolo quanto le frasi, che sono tutte riprese dai commenti e dalle reazioni immediate.
Credo si tratti di un buon banco di prova per i nostri narratori. Perché l’evento, in sé, appare come dicevo piuttosto circoscitto, connotato, suscettibile di interpretazioni e narrazioni a seconda del punto di vista, ma sembra in qualche misura dover seguire dei percorsi tracciati e segnalati. L’intento, in partenza, è però un po’ diverso. Perché credo che in realtà, prendendo il fatto nella sua interezza e dando a tutte le frasi citate il giusto peso, l’episodio cui si fa riferimento sia davvero emblematico, e in molte sfaccettature, della realtà dell’Italia contemporanea. Non sto certo qui a suggerirli, ma mi sembra che a partire dall’accaduto si possano intraprendere percorsi narrativi molto diversi, tutti suggestivi ma capaci di condurci in svariate direzioni, non sempre con esiti prevedibili.
Mi attendo, con estremo interesse, una dimostrazione di capacità di volare alto e di narrare fuori dagli stereotipi a partire da un fatto di cronaca di questa complessa portata.

Mi concedo, a margine, un paio di riflessioni, non letterarie, sui racconti inviati per il tema di aprile (Il negozio). Giusto perché, dopo l’esperienza fatta con i racconti sulla sovranità popolare che anticipavano il risultato elettorale, mi risulta divertente provare a trarre delle osservazioni sociologiche partendo dalle narrazioni dei nostri autori.
La prima riflessione, più generale, riguarda il quasi costante contrapporsi di un piccolo commercio “buono e a misura d’uomo” allo strapotere del grande centro commerciale invasivo e spersonalizzante. Mi aspettavo qualcosa del genere, anche se non in forma così plebiscitaria. È una percezione diffusa, oggi, quella che qui ho sintetizzato; ma non sarà inutile ricordare che essa contrasta con alcuni luoghi comuni molto diffusi fino a ieri. Sembra, d’incanto, che siano scomparsi, specie all’interno di una certa area politica e culturale, tutti coloro che fino a poco tempo fa trattavano i commercianti alla stregua di piccoli malfattori, dediti all’evasione fiscale, alla speculazione sui prezzi in seguito all’introduzione dell’euro, scarsamente attenti alle esigenze della popolazione meno abbiente (penso per esempio alle chiusura per ferie nelle città, durante il mese di agosto, senza alcun rispetto per una turnazione compatibile con i bisogni di chi restava a casa). Considerati dei piccoli egoisti poco sensibili alla comunità (e identificati come bacino di voti di una precisa area politica), oggi i piccoli commercianti sembrano di colpo diventati parte di quella opposizione antropologica che viene schiacciata dal moloch di un potere colossale e distante. Ed è, comunque la si pensi, un cambiamento percettivo piuttosto curioso.
La seconda riflessione riguarda più da vicino il nostro ambito, cioè il mondo dei libri. Nel senso che mi ha un po’ meravigliato ritrovare in un solo racconto una piccola libreria protagonista, mentre per il resto hanno fatto la parte del leone i cari vecchi alimentari, nelle loro varie declinazioni. Probabilmente è solo un fatto casuale, un’identificazione più semplice e più immediata. Oppure può darsi che, in un periodo di crisi economica molto forte, l’attenzione vada immediatamente verso chi soddisfa i bisogni più elementari e primari (ma questo già confermerebbe che la cultura non è percepita come tale: con la cultura non si mangia, e neppure la si mangia). Oppure, o in aggiunta, mi sono chiesto se nella visione dei nostri autori il libraio non sia un po’ meno “razza protetta” o, meglio ancora, se la grande distribuzione editoriale con le sue librerie di catena non venga percepita come un po’ meno aggressiva e spersonalizzante rispetto ai mega centri commerciali o agli ipermercati. Se fosse così, sarebbe già una valutazione più interessante, e molto discutibile. E mi piacerebbe capirne di più


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