"La Natura della Realtà: Lila e la Tecnica del Velo di Maya"
Da Risveglioedizioni
Lila, che in sanscrito significa gioco, è un concetto induista che identifica la natura dell'intera realtà con il prodotto del gioco divino; in altre parole, tutto quello che possiamo vedere, sentire o percepire è frutto del gioco cosmico di Brahman, essenza di tutto ciò che esiste. Questo modo di vedere le cose prevede che l'Universo sia la forma fisica assunta da Dio al fine di sperimentare ogni punto di vista, nonché le infinite possibilità che racchiude intrinsecamente. Nella mitologia indù la creazione del mondo avviene per mezzo del sacrificio (dal significato di “rendere sacro”) di Dio: quest’ultimo da vita al mondo attraverso sé stesso, diventando essenza di tutte le cose, ed alla fine, attraverso l’uomo, riscopre se stesso com’è nella realtà, al di fuori del gioco cosmico. Dio si trasforma nel mondo ed alla fine del ciclo la sua forma verrà distrutta e tornerà ad essere pura essenza, per cui il mondo stesso viene considerato come una semplice fase del gioco . Questo mito è molto affine al nostro sentire e crediamo che, se riuscissimo a vivere realmente la vita come se tutto questo fosse un gioco, smetteremmo di arrabbiarci inutilmente e ci godremmo di più ogni attimo senza pensieri né preoccupazioni. Questa affascinante leggenda descrive il significato originale della maya nel Rig Veda. Il termine māyā, infatti, ha il significato originario di "creazione", ma ha poi assunto nel corso dei secoli l’accezione di "illusione". Derivante da un verbo sanscrito, traducibile letteralmente come "ordinare" o "costruire", tale termine è utilizzato nei Veda per indicare il potere da cui si è originato il mondo della materia, lo stesso utilizzato dagli Dei (i Deva) e dai demoni (gli Asura) per plasmare la materia nelle forme desiderate. Poiché il mondo fenomenico prodotto da māyā è sostanzialmente impermanente, ossia in continuo mutamento, viene considerato una mera illusione e così anche la māyā stessa viene intesa come illusione del mondo fenomenico, una realtà puramente soggettiva e dipendente dall’interpretazione dei nostri sensi, che esattamente come un velo frapposto tra noi e la realtà assoluta ce ne preclude la corretta percezione. L'espressione Velo di Maya è stata coniata da Arthur Schopenhauer ed esprime diversi concetti molto importanti nella religione e della cultura induista, ripresi in tempi moderni anche da alcuni filosofi occidentali. Nella propria filosofia, Schopenhauer sostiene che la vita è un sogno ed il metafisico velo di Maya è ciò che trattiene le persone in questo stato di sonno, perché separandole dalla pura realtà impedisce loro di ottenere la liberazione spirituale, tenendole così imprigionate nella dimensione materiale, costrette a reincarnarsi dopo ogni decesso. Per aver chiare queste dinamiche, simili al mito della “Caverna Platonica”, si può considerare ogni individuo nato con un velo sugli occhi, il quale gli impedisce la corretta visione, quella obbiettiva, libera dalle soggettive prospettive e per questo eterna. Dal momento che si riesce ad abbattere il velo, l'anima si risveglia dal suo letargico sonno e l’uomo può finalmente vedere le cose in modo totalmente diverso, svincolato da ogni limite. Su quali siano le reali dinamiche nascoste dietro alla metafora, ogni corrente induista dice la sua: secondo alcune il velo rappresenta l’individualità dell’essere umano, quindi la prospettiva soggettiva da cui guardiamo la realtà, l’ego, mentre altre lo intendono come l’identificazione dell’uomo con la mente, il corpo, l’intelletto e lo stesso senso di un “io” separato dalla coscienza universale. Queste diverse interpretazioni non sono opposte, ma a nostro avviso complementari, in quanto ciò che ci separa da una visione oggettiva è sicuramente una prospettiva limitata, ma composta ed alimentata da tutto un insieme di cose: le aspettative, il giudizio (quello che non accettiamo di noi e degli altri, del nostro passato etc..), i condizionamenti e le convinzioni limitanti, le identificazioni con le singole parti che compongono il nostro essere, strumenti che utilizziamo per giocare e che sono anch’essi soggetti al mutamento. Sulla base di questa metafora abbiamo creato la seguente tecnica introspettiva comporta di sei fasi, le quali sono strutturate in modo da permetterci di entrare in noi stessi e, dopo il rilassamento iniziale, individuare ed eliminare tutte le cose metaforicamente rappresentabili come “veli di Maya”, zavorra che impedisce alla nostra consapevolezza di espandersi libera da ogni confine e sperimentare la Verità Eterna.1) Come prima cosa è necessario ritirarci in un area della casa dove è possibile meditare senza essere disturbati, al fine di compiere un viaggio interiore alla scoperta dei propri schemi, in modo da liberarcene. Regoliamo la luce dell’ambiente così che risulti avvolto da una rilassante penombra, dopodiché sediamoci su una sedia o per terra, nella posizione che riteniamo maggiormente comoda, avendo cura di mantenere ben dritta la colonna vertebrale. Come ripetiamo spesso, è importante avvicinarsi a queste pratiche senza aspettative, pregiudizi o troppa serietà, ma semplicemente con l’entusiasmo con cui un bambino inizia una nuova avventura, un gioco; è altresì importante che la pratica avvenga lontano dai pasti, poiché i flussi mentali ed i processi digestivi tendono a disturbarsi a vicenda. Detto questo possiamo procedere ad assumere la posizione a noi più consona e portare l’attenzione al proprio respiro, senza interferire in alcun modo con esso, lasciando che diventi naturalmente sempre più profondo per effetto del rilassamento. Cerchiamo di non pensare volontariamente e se i pensieri o le emozioni si presentano alla luce della nostra consapevolezza lasciamo che ci attraversino, senza aggrapparci ad essi o cercare di scacciarli. Restiamo semplicemente testimoni di quello che accade, quieti ed impassibili. Ad ogni respiro ci rilassiamo sempre più profondamente e portando l’attenzione al corpo possiamo osservare come le tensioni muscolari cessino di esistere, lasciando il posto ad una sensazione di abbandono che risulta molto confortevole.2) Quando ci sentiamo totalmente rilassati possiamo passare alla seconda fase, quindi procediamo visualizzando noi stessi nella posizione in cui siamo, con tutti i dettagli del nostro aspetto, i vestiti, circondati da un velo che ci avvolge circolarmente, impedendoci di vedere oltre di esso. Questo velo rappresenta le nostre ansie, le aspettative che nutriamo verso noi stessi, gli altri ed il mondo, le stesse che ci impediscono di accettare ed apprezzare le cose esattamente come sono, di vederne la perfezione. Questa condizione nasce dalla limitante prospettiva dell’ego, il quale, pensando di essere un elemento separato da tutto ciò che esiste, vuole imporre il suo volere alla vita, la sua “musica” al “coro”, senza rendersi conto che tutto è perfetto così, oppure si tratta della conseguenza di particolari dinamiche ed è perciò impossibile cambiare gli effetti senza comprendere e mutare ciò che li ha causati. A tal proposito è utile riflettere su quali sono le nostre personali aspettative, quelle cose che ci rendono ansiosi o potrebbero tradursi in un sentimento di delusione. Che cosa ci aspettiamo da noi stessi? Che cosa ci aspettiamo dagli altri? E dalla vita? Quali sono i “dovrei” (dovrei essere più bella, più intelligente etc.) che ci impediscono di accettarci come siamo? Ed i “dovrebbe” che ci impediscono di accettare gli altri e le situazioni esterne? Quando abbiamo trovato le risposte a queste nostre domande, quindi dato delle forme ben precise a questo Velo che ci impedisce di vedere, dobbiamo semplicemente proiettarle sul Velo stesso, sentendo che da noi si stanno trasferendo su di esso, oppure immaginandoli come disegni che vi si imprimono, diventando sempre più nitidi. Adesso possiamo concludere questo primo passo eliminando il velo e tutto ciò che rappresenta; quindi osserviamo il velo che, per mezzo del fuoco alchemico della nostra consapevolezza, viene avvolto dalle fiamme e purificato, smettendo di esistere per come fino a ora è stato.3) Dopo aver eliminato il primo Velo possiamo vedere che oltre a quello ve n’è un altro, sempre di forma circolare ma questa volta più ampio, rispetto al quale noi ci troviamo al centro. Questo limite alla visione della realtà rappresenta il giudizio in tutte le sue forme, sia esso espresso nei confronti di noi stessi, degli altri, oppure di situazioni passate, poiché in realtà sono tutti legati tra loro, infatti ogni volta che puntiamo il dito verso l’esterno stiamo proiettando fuori da noi qualche aspetto indesiderato, legato al nostro stesso comportamento, a paure, aspettative o vecchie ferite. Giudicare è sempre un limite perché implica un’interpretazione soggettiva, una divisione dall’oggetto del giudizio che è puramente virtuale, quindi alimenta implicitamente l’idea di separazione e dualità, impedendoci di trascendere queste illusioni attraverso l’integrazione dei “frammenti”, degli opposti , che visti da un’ampia prospettiva risultano complementari. Osserviamo dentro di noi quali sono i giudizi che esprimiamo più spesso, siano essi positivi o negativi, e trasferiamoli nel Velo scaricando su di esso i nostri sentimenti, sentendoli mentre ci abbandonano oppure, se ci risulta più semplice, immaginandoli in forma di disegni sul Velo stesso. Dal momento che ci sentiamo privi di giudizi, dopo averli impressi tutti nel Velo che li rappresenta, procediamo alla loro purificazione con le stesse modalità della fase precedente, ossia attraverso il fuoco della consapevolezza.4) A seguito dell’eliminazione del Velo precedente, ancora una volta, possiamo notare che ne esiste un altro, questa volta rappresentante i condizionamenti che ci sono stati instillati, alcuni sin dall’infanzia, e che ci portiamo dietro da anni sotto forma di convinzioni limitanti e pregiudizi, che ci impediscono di vedere la realtà per come oggettivamente è. Infatti, grazie alla dinamica metafisica chiamata “proiezione”, le nostre idee interne tendono a frapporsi tra noi e l’osservato, filtrando la realtà e modificando la nostra percezione di essa. Queste convinzioni sono tra i più grandi limiti all’evoluzione che l’umanità abbia conosciuto, in quanto generano una chiusura mentale che tende ad essere tramandata, insieme ai condizionamenti stessi, di generazione in generazione. Dopo aver eliminato questi limiti attraverso il seguente esercizio, risulta utile tenere un atteggiamento che ci consenta di non assumerne di nuovi. A questo scopo l’atteggiamento più costruttivo prevede di prendere tutto come ipotesi, senza credere ciecamente o rifiutare a priori un idea, semplicemente ricercandone un’ esperienza personale che ci consenta di verificarne in prima persona la veridicità. Con la premessa appena fatta possiamo passare alla ricerca introspettiva dei dogmi che governano la nostra vita; quali convinzioni e/o conoscenze si basano su qualcosa di “preso in prestito”, ovvero non sperimentato personalmente? Cerchiamo bene dentro di noi tutti i condizionamenti ed incanaliamoli all’interno del Velo di Maya che abbiamo di fronte, attraverso la percezione di queste idee che si allontanano da noi lasciandoci innocenti come bambini, oppure visualizzandoli tramite archetipi disegnati sul Velo stesso. In seguito eliminiamo anche questo metafisico limite, sempre attraverso la nostra consapevolezza sprigionata dall’osservazione distaccata, visualizzabile come un fuoco che brucia e dissolve tutti questi schemi che da tempo ci portavamo dietro.5) Arrivati a questo punto ci troviamo di fronte all’ultimo velo, sempre di forma circolare, il più esterno di tutti e di conseguenza il più ampio, rappresentante le molte cose con cui ci identifichiamo, immedesimiamo o che sentiamo talmente vicine a noi da prendere sul personale ogni offesa o critica fatta nei loro confronti. Questi fenomeni appaiono molto limitanti perché si basano esclusivamente su aspetti superficiali, materiali, e come tutte le illusioni sono soggetti al costante mutamento, per questo sono spesso causa di sofferenze, rasentando altresì un ostacolo alla visione obbiettiva, dato che quando siamo identificati con qualcosa non riusciamo ad osservarlo in maniera imparziale. Ci si identifica spesso con la nostra mente, credendo di essere quella voce che ci parla nella testa, con i sentimenti che ci attraversano la sfera emotiva, oppure con il proprio corpo fisico, condizione molto frequente dalla quale deriva la paura della morte. Anche in questo caso, per mantenerci privi di identificazioni, è necessario un lavoro su base quotidiana, fondato sull’osservazione delle identificazioni stesse e sulla volontà di lasciarle andare, comprendendo che noi esistiamo indipendentemente da ciò che crediamo di essere. Per individuare tutte le nostre identificazioni risulta utile chiederci: quali sono gli aspetti che conosciamo della nostra personalità? Con quali “etichette” o classificazioni amiamo descriverci? Se ci domandano “Chi Sei?” che cosa rispondiamo? Ci sono cose (ad esempio una nazione, una squadra di calcio, marca di abiti o partito politico etc…) a cui, se vengono rivolte delle critiche, scopriamo di tener a tal punto da offenderci personalmente? Che cosa crediamo di essere? Riversiamo tutte le risposte a queste domande nel Velo che le rappresenta e quando ci sentiamo totalmente privi di identificazioni procediamo bruciando, per mezzo della consapevolezza derivante dall’osservazione, anche quest’ultimo velo.6) Finalmente abbiamo eliminato tutto ciò che limitava la nostra visione della realtà ed a questo punto siamo liberi di vedere con occhi diversi, freschi e nuovi, la verità che si trova oltre le illusioni. Quindi possiamo visualizzare che cosa si trova realmente intorno a noi, forse un mondo fatto di luci, di colori, o altre “forme” che prima non riuscivamo a vedere a causa dei Veli di Maya. Non appena ci sentiamo pronti possiamo decidere di tornare lentamente al mondo, portando con noi la purezza ottenuta liberandoci da tutti gli schemi limitanti. Concediamoci ancora qualche secondo di rilassamento, poi iniziamo a muovere lentamente le mani, le gambe, ed infine apriamo gli occhi, adesso pienamente in grado di vedere la realtà.Autori: Ambra Guerrucci e Federico BelliniTitolo: "La Via delle Filosofie Indiane"Editore: Risveglio EdizioniData pubblicazione: 2015Formato: Libro 14,80x21Pagine: 300Prezzo: n/pInfo: [email protected]
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