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«All’inizio
di ogni discussione –
ho scritto qualche settimana fa – andrebbe
preliminarmente trovato, fra quanti vi partecipano, un solido accordo
sul significato dei termini cui prevedibilmente si ricorrerà più di
frequente, cominciando dal trovare una definizione pienamente
condivisa dell’oggetto sul quale ci si appresta a discutere».
È per questo che, nel rispondere alle obiezioni che mi sono state
rivolte per l’essermi
dichiarato favorevole alla gravidanza
surrogata, ritengo indispensabile chiarire il
significato che annetto a termini come «natura»
e «diritto»,
rammentando che il «surrogare»
implica fin dall’etimo
la possibilità di un’opzione
alternativa a quella considerata «naturale»
Due,
infatti, sono i capi d’imputazione
che pendono su quanto ho scritto: non avrei preso in adeguata
considerazione il fatto che la pratica è contro «natura»,
né che
vi si ricorra per dare ristoro alla rivendicazione di un falso
«diritto».
In tal senso, non mi aspetto di poter trovare alcun accordo con
quanti siano affezionati alla vetusta
idea
della natura come realtà autonoma dalla visione che su di essa è
costruita da un’autorità
culturalmente egemone. Chi ha qualche consuetudine con queste pagine
saprà che spesso ho stretto questo assunto nell’affermazione
che «nulla
è più culturale del concetto di natura»,
denunciando il vizio che le assegna dimensione creaturale. Qui, col
preciso scopo di dichiarare impossibile ogni discussione con chi
intenda mantenere il punto sulla natura come ipostasi di un assoluto,
sarei tentato di tagliar corto dicendo che «la
natura non esiste».
Mi limiterò a dire, invece, che la natura intesa come ratio che
informa la dimensione del reale, come codice di leggi anteriori e
superiori all’uomo,
oppure – e peggio ancora – come regno in cui l’uomo
è chiamato a farsi vicario di chi l’ha
fondato,
è invenzione assai simile a quella dell’etere
luminifero, che tornò utile anche a sommi intelletti per dare
spiegazione della propagazione delle onde elettromagnetiche prima che
la teoria della relatività ristretta venisse a sovvertire la visione
che si era sempre avuta del tempo e dello spazio.
Se «la
natura non esiste»,
dunque, non esistono neppure «diritti
naturali»?
Non esistono, infatti. Non esistono, per lo meno, prima che siano
dichiarati tali da un’autorità
culturalmente egemone. Ogni epoca costruisce una
sua idea
di natura e un suo diritto naturale, ogni epoca si illude di aver
trovato la formula in cui si possa ragionevolmente racchiudere quanto
sarebbe eternamente «naturale»,
tenendo fuori quanto non lo è e non potrà mai esserlo. E questo è
possibile solo grazie all’ignoranza
e alla superstizione che ogni autorità culturalmente egemone può
consentirsi di elevare a sistema di valori. Nessuna discussione è
possibile sulla gravidanza surrogata assumendo a legge eterna il
sistema di valori attualmente vigente. Quindi mi scuso se lascio
cadere le obiezioni che mi sono state rivolte senza affrontarle nel
merito: le considero viziate in radice, cioè nella presunzione di
farsi interpreti di una liceità morale che troverebbe fondamento in
una «natura»
immobile,
dispensatrice di «diritti»
preesistenti
all’uomo
come prodotto della sua storia, e che la storia dovrebbe limitarsi a scoprire piuttosto che a creare.
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