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La natura organica della memoria genera l'opera - Andrea Mariconti a cura di Emanule Beluffi
Creato il 06 febbraio 2011 da Roberto MilaniGIOVEDI’ 24 FEBBRAIO ORE 18: INCONTRO CON L’ARTISTA E IL CURATORE
Alchimia e ritualismo della pittura. Andrea Mariconti, o della partenogenesi dell’opera pittorica a partire dalla natura organica della memoria_di Emanuele Beluffi
V.I.T.R.I.O.L. Visita Inferiora Terrae Rectificandoque Invenies Occultum Lapidem_ (Acronimo del motto dei Rosacroce)
Credo che si possa inquadrare l’opera di Andrea Mariconti secondo una prospettiva alternativa, ma non aliena da quella che disinvoltamente chiamiamo la verità. Quantomeno e ancora una volta, la verità della pittura.
I temi dominanti del suo lavoro - un lavoro che dialoga costantemente con la memoria e con il tempo, per l’uso di materiali carichi di storia organica come olio e cenere e per quel tributo non solo formale al tempo come “secondo pittore” - sono rappresentati dal paesaggio e dalla figura. Il soggetto raffigurato, rispetto al recente passato, è passato però ora in secondo piano, per far posto allo sviluppo di geometrie e concrezioni che assolvono a quella funzione di termine medio che visivamente collega la diade paesaggio/figura, facendole richiamare mutualmente sia a livello formale che materiale.
Mariconti lavora con materiali preesistenti all’intervento pittorico provvisti di una vera e propria storia biologica e pregni di umore simbolico: petrolio e cenere sono il fondamento della sua pittura, ne rappresentano il sostrato potremmo dire. Questi elementi ricevono un intervento di
trasformazione secondo un’ispirazione accostabile alla pratica alchemica, riferimento, questo alla disciplina ermetica, che trae spunto non solo dal processo lavorativo del Mariconti, ma anche da ciò che si qualifica come un interesse disciplinare collaterale alla pratica della pittura.
I pittori sono anche validissimi cuochi e promettenti spagiristi! Del resto, potremmo
tranquillamente distinguere la produzione di Andrea Mariconti in opere al nero e in opere al bianco, secondo una scansione accostabile alle tre fasi della trasformazione della materia durante l’opus alchemicum! (l’opera al nero, l’opera al bianco e l’opera al rosso, quando la materia si dissolve, si purifica e si ricompone).
Ma i suoi lavori, realizzati con materiali di origine naturale come cenere, olio, petrolio, muffe, occasionano altresì un confronto sulla pittura - colta da un punto di vista per dir così organico - nonchè sulla memoria, secondo una prospettiva che si richiama al rapporto fra tradizione ed eredità. Infatti, piuttosto che una ricerca della pietra filosofale, anche se ne condivide in certo modo l’attitudine disciplinare in quanto lavorazione e trasformazione della materia, la ricerca di Andrea Mariconti si qualifica come studio matto e tributo della tradizione pittorica: impasti e imprimiture delle tele sono fatti secondo tradizione, come tradizionale è l’attenzione votata al materiale, qualità che rende la sua pittura per certi rispetti accostabile alla scultura, non solo per un semplice effetto retinico, ma soprattutto per un valore plastico che promana come un afflato materico da queste immagini destrutturate e pregne d’umor organico. Mariconti è un materialista della pittura e, visti gli addentellati con l’Alchimia, non poteva non esserlo! C’è sempre la materia, sotto.
L’ossequio alla tradizione della pittura lo rende in certo senso idealmente accostabile ai classici, come dire, in maniera totipotente: Mariconti è certamente giovane, troppo giovanissimo per figurare tra i classici, ma il modo e il rispetto con i quali si relaziona alla disciplina lo rendono un artista in grado di dire senza tema di smentita che noi siamo nani cresciuti sulle spalle dei giganti, perchè il presente acquista valore solo dal passato (non è passatismo, come griderebbe un futurista redivivo, è saper fare buona pittura. E del resto, anche Aristotele è un classico, dovremmo per questo forse smettere di leggerlo?).
Ma c’è anche un elemento cristico in queste opere: una qualità che, straordinariamente giustapposta alle suggestioni della disciplina ermetica, gli deriva dal carattere ritualistico del dipingere con olio e cenere, elementi principi della religione (facendo del relativismo all’incontrario: la “nostra” religione, ‘chè col Croce non possiamo non dirci cristiani). Una sacralità che contrassegna direttamente gli elementi lavorati, in primis la cenere, materiale sacro per eccellenza. E materiale filosofico, anche: non era forse l’oscuro Eraclito di Efeso (sia detto una volta per tutte: si pronuncia Eraclìto, con l’accento sulla “i”) a individuare nel «fuoco sempre vivente» il principio primo del Tutto? E la cenere, con la sua origine dal fuoco, non assolve nell’opera del Mariconti al medesimo effetto del principium individuationis? Un’opera che in certo senso è una teoria del tutto, schermo plastico di ciò che vi è. E che rappresenta i tre regni vegetale (olio di lino e petrolio), minerale (gesso di Bologna) e animale (colla di coniglio) con i quattro elementi: la terra (il materiale di origine naturale), l’aria (le intemperie cui a volte il Mariconti sottopone il proprio lavoro, lasciandolo, appunto, all’aria aperta!), l’acqua (le muffe), il fuoco (la cenere).
Ancora una volta abbiamo a che fare con la verità della pittura, o meglio del fare pittura, in un senso che solo per apparente paradosso passa attraverso la natura non mimetica dell’opera d’arte. Del resto, la verità non è non nascondimento?
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