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La natura umana

Creato il 01 giugno 2010 da Renzomazzetti

LA NATURA UMANALa natura umana è uno statico complesso di proprietà fiosiopsichiche inerenti nelle persone in quanto tali? E’ una specie di carattere innato e universale proprio dell’intera umanità, che sussiste, identico a sé stessa, sfidando tempi, eventi, istituzioni e che sostanzialmente non muta? Se c’è povertà nel mondo è perché le personei sono per natura imprevidenti e oziose. Se ci sono le guerre è perché le persone portano nell’istinto più profondo la libidine dell’ammazzamento. Se le persone si frodano, si danneggiano, si scavalcano, si schiacciano nella gara tumultuosa della vita è perché sono egoiste per natura. Se alcune persone sono padrone, mentre le più sono semplici venditrici di forza-lavoro è perché c’è chi è nato per sovrastare e chi per sottostare, chi per percepire salario o stipendio, e chi per tagliare cedole azionarie. Ci sono grandi masse di ignoranti e di gente mentalmente arretrata? E’ perché le persone, salvo poche, nascono imbecilli o giù di lì. Ci sono contrasti e differenze di razza? E’ perché il colore della pelle e la diversità del sangue confutano ogni idea di eguaglianza razziale. E a chi vuole cambiare un insoddisfacente stato di cose, puntando l’indice presuntuosamente ammonitore, si dice che la natura umana non si cambia. Nelle persone qualcosa non cambia, indubbiamente non cambia nei bisogni elementari, venendo meno i quali le persone cesserebbero di essere tali. Una società in cui non si mangiasse, non si bevesse, non si dormisse, non si facesse all’amore, eccetera, è evidentemente inimmaginabile. Ma, avendo riconosciuto questo, si cade poi in un madornale errore supponendo che le manifestazioni di questi bisogni siano inalterabili, che le manifestazioni, a cui siamo abituati, siano altrettanto naturali e inalterabili quanto lo sono i bisogni da cui nascono e che in esse trovano espressione. Il bisogno di cibo è stato, è, sarà sempre imperioso, ma i tipi di cibo di cui abbiamo bisogno e di cui usiamo, sono l’effetto di abitudini acquisite sotto l’influenza e dell’ambiente fisico e del costume sociale. Per le persone civili di oggi il mangiare carne umana è cosa assolutamente contro natura: eppure ci sono stati popoli a cui sembrava naturale, perché era permesso ed anzi altamente stimato dalla società. Un altro esempio: il lavoro, in senso generale, è fondamento costante della attività umana, ma storiche, transeunti sono le condizioni tecniche e le forme sociali in cui esso si esplica. Aristotele, che affermava la schiavitù esistere per natura, avrebbe considerato gli sforzi per eliminare tale istituzione come fatica inutile e utopistica volta a mutare la natura umana là dove essa era immutabile. Ma evidentemente egli si ingannava. Come si ingannano coloro che suppongono che l’attuale assetto culturale-sociale-economico del sistema capitalistico sia immutabile. Prendiamo un altro esempio: quello della guerra. Gli sforzi per una pace durevole sono spesso combattuti con l’affermazione che la persona è per natura un animale combattivo e che questo aspetto della sua natura è inalterabile; oppure che altro mezzo non esiste per combattere il terrorismo. Di fatto però la guerra è altrettanto una creazione sociale quanto la schiavitù che gli antichi credevano un fatto immutabile. La guerra esiste non perché le persone hanno istinti agonistici, ma perché le condizioni e le forze sociali hanno sospinto e quasi costretto tali istinti in questa direzione. C’è un gran numero di altre direzioni in cui essi potrebbero essere incanalati. La guerra contro la malattia, contro la miseria, contro l’ingiustizia; certamente la vita sarebbe migliore. Per quanto riguarda le così dette doti naturali, la forma concreta in cui la loro astratta potenzialità si realizza, è squisitamente storica, geografica e sociale. Se Beethoven fosse nato in una tribù selvaggia, sarebbe stato un ottimo suonatore di Tam-tam; ma non certo il maestro che ha composto la Nona sinfonia. Il Dewey afferma: La teoria secondo cui la natura umana è immutabile è la più deprimente e la più pessimistica di tutte le dottrine possibili…; l’affermazione che un dato mutamento proposto è impossibile a causa della costituzione fissa della natura umana, distrae l’attenzione dal problema se il cambiamento sia o no desiderabile, e dall’altro problema, di come esso si possa realizzare. Le considerazione svolte, oltre ad averci portato ad identificare la funzione di clesse del mito della immutabilità della natura umana, ci permettono dunque di affermare che una natura umana, considerata come esistente in sé con determinate caratteristiche eterne, e indipendente dallo sviluppo storico nel quale le persone trasformando l’ambiente che le circonda trasformano sé stesse è nulla più che un ente metafisico e astratto. Il problema della ricerca, della individuazione delle persone in generale, con determinati attributi extra temporali, definiti una volta per tutte, è un problema ozioso perché queste persone in generale non esistono. Esistono le persone storiche concrete, che realizzano la propria naturalità in determinate forme corrispondenti ai tempi e alla società in cui vivono e la cui psicologia, la cui morale, si modellano proprio secondo tali tempi e tale società. Che la natura umana sia il complesso dei rapporti sociali – ha scritto Gramsci – è la risposta più soddisfacente perché include l’idea del divenire ( l’uomo diviene, si muta continuamente col mutare dei rapporti sociali ) e perché nega l’uomo in generale.

INVOCAZIONE AL SONNO

Per quale colpa, o giovane tra gli dèi il più placido,

o per quale errore, o Sonno, io infelice ho meritato di essere il solo

privato dai tuoi doni? Tace tutto il gregge, gli uccelli,

le fiere e le cime degli alberi, curvate, fingono sonni esausti,

non s’alza tra i fiumi impetuosi lo stesso fragore, si perde

il moto dell’onda e riposa il mare addossato alle terre.

Già sette volte Febe, tornando, guarda le mie guarce malate

e immobili, altrettante volte le stelle dell’Eta e di Pafo tornano

a vedermi, altrettante Tania passa sui miei lamenti

e pietosa li asperge con la sua gelida sferza.

Come potrei resistere? Neppure se avessi i mille occhi

che l’esecrando Argo teneva alternamente aperti

mai vigilando con tutto il corpo desto.

Ma ora, se qualcuno nella lunga notte stringendo le braccia

a cingere la sua fanciulla, spontaneamente ti scaccia, o Sonno,

di là qui vieni, io non ti obbligo a stendere tutte le tue ali

sui miei occhi – questo lo invoca la gente più felice - :

toccami con la punta estrema della tua bacchetta,

mi basta, oppure passa lieve col tuo garretto sospeso.

-SILVAE-


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