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La Nave di Baricco: il Non Abbandono che Salva la Vita

Creato il 20 febbraio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il febbraio 20, 2012 | LETTERATURA | Autore: Manuela Marascio

La Nave di Baricco: il Non Abbandono che Salva la VitaLe tragedie alimentano sempre la voglia di rifugiarsi in uno spazio ristretto e rassicurante. Le tragedie distruggono le speranze, ma inducono a cercare una minuscola luce in fondo al buio, per trovare, nel punto più lontano, la possibilità di un lieto fine. In questi giorni, l’indignazione si è mescolata alla compassione davanti alle immagini di un’imponente nave da crociera ridotta a relitto, messa in ginocchio dall’errore di un uomo. Il viaggio più affascinante che sia stato mai compiuto, quello attraverso la misteriosa distesa blu del mare, ha trovato la conclusione più misera. Si racconteranno molte storie su questo episodio, e i racconti assumeranno le tinte più variegate. Ma c’è una storia che, adesso, potrebbe creare un effetto di straniamento, come unica liberazione dal senso di fatalità che avvolge questa triste vicenda. Riprendere in mano un testo come Novecento (Feltrinelli, 1994), opera di cui è protagonista un uomo che non ha mai abbandonato la sua nave, suscita un’ironia un po’ amara, ma ricca di suggestioni. La voce narrante è quella di Tim Tooney, trombettista della “Atlantic Jazz Band” che si esibiva sul piroscafo Virginian, negli anni tra le due guerre: «Suonavamo perché l’oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov’era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio». Le sue parole sono un flusso continuo di ricordi, tenuti insieme dal filo di una melodia che ha un’eco lontana nella memoria: è impossibile parlare di musica senza ricorrere a parole musicali, così come è impossibile raccontare la storia di un uomo leggendario senza lasciarsi cullare da un lirismo evocativo. Ma, allo stesso tempo, questa è la vicenda di un uomo che non ha bisogno di tante parole di presentazione: «Lui era Novecento, e basta. Non ti veniva da pensare che c’entrasse qualcosa con la felicità, o col dolore. Sembrava al di là di tutto, sembrava intoccabile. Lui e la sua musica: il resto, non contava». Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento è un nome che reca in sé la bizzarra commistione tra la casualità del ritrovamento di un neonato e il maestoso avvento del secolo più memorabile della storia. La sua vita ha inizio, per caso, sul piroscafo, ma la sua leggenda comincia nell’istante in cui, per la prima volta, entra in contatto con gli ottantotto tasti di quel pianoforte su cui era stato abbandonato.

La Nave di Baricco: il Non Abbandono che Salva la Vita

Cresce, viaggiando continuamente tra Europa e America, e acquisendo un orizzonte di vedute ben più vasto di quello dei passeggeri che continuamente transitano sulla nave. Vede, negli occhi della gente, luoghi che poi ricostruisce nella sua mente, assaporandoli nell’intimità più segreta. Per anni accumula, in questo modo, una sua ricchezza personale, senza sentire la necessità di verificare, fisicamente, l’esistenza di quei posti. Gli basta riversare sui tasti del pianoforte quell’infinità che il contatto umano gli ha trasmesso, generando una musica non riconducibile ad alcuno schema, ad alcuna regola. È il grande paradosso tra il limite materiale che uno strumento pone, e l’inesauribile creatività dell’artista, che può spaziare liberamente, facendo viaggi intercontinentali, o, addirittura, in un’altra dimensione, per ritornare, quando lo vorrà, nel mondo reale. È l’isolamento quasi aristocratico di chi può permettersi questo privilegio: dare un senso concreto alla vita attraverso l’astrazione più totale. Novecento non riuscirà mai a mettere piede sulla terraferma perché si sente perso all’interno di un mondo che non si è creato lui, un mondo confuso e intricato, spaventosamente infinito. Quando sta per fare il grande passo, improvvisamente, si blocca, risale i gradini e torna indietro. Ma la sua non è una sconfitta: dentro di sé, ha la sensazione che il suo destino si compirà proprio lì, sulla nave in cui è cresciuto. Morirà l’uomo, ma la sua fama, quella del più grande pianista che abbia mai suonato sull’oceano, riecheggerà per tutti quei luoghi di cui lui ha fruito attraverso le persone incontrate, che andranno in giro raccontando di uno straordinario musicista in grado di suonare note mai sentite prima. Eppure non è questa la sua aspirazione, non ha interesse per la gloria e il successo. Novecento, quelle note le suona per sé, perché rappresentano la sua storia: per tutta la vita ha conservato le immagini di persone sconosciute, vedendo in loro pezzi dell’esistenza sulla terra a cui si è sottratto. Per paura, certo, ma come non ritrovare, in lui, quello sgomento che ci coglie di fronte a una bellezza di cui non riusciamo a percepire i confini? E come non avvertire la fortissima e opposta tensione verso la voglia di soddisfare un desiderio? È lui stesso a chiedercelo: «Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi, solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla…». Novecento si salva perché non si lascia sopraffare da questa dilaniante dialettica: realizza tutto se stesso, quello che è stato, quello che è e quello che non sarà mai, con il semplice gesto del dito che si posa su un tasto, mentre tutto il suo universo viene racchiuso in una nota, nella completezza della perfezione che dura un attimo e poi svanisce. Baricco ci accompagna fra le onde, delicatamente, con una scrittura che toglie il fiato, pagina dopo pagina, così come la melodia di un pianoforte rapisce nota dopo nota. L’ammonimento finale è rivolto a noi estranei che osserviamo, per l’ultima volta, Novecento, raccolto nell’intimità della sua nave, prima di morire: questa volta è veramente la fine, e dobbiamo andarcene. Tim Tooney, all’inizio, ricordava una frase del suo grande amico: «Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla». E questa è davvero una buona storia, che merita comunque, in ogni circostanza, di essere raccontata.



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