Che sarà di noi in Brasile? Giunti al termine di questo 2013 premondiale, è il momento di tirare le prime somme azzurre, e non è facile, perché l'anno e mezzo post europeo, che doveva chiarire definitivamente le idee sulle effettive potenzialità della nostra Nazionale, ha invece ingarbugliato la matassa in una misura che non era facile prevedere. Ci si attendeva una crescita spontanea, una maturazione rigogliosa, dopo le succulente promesse fatte balenare fino alla medaglia d'argento continentale di Kiev, poi le cose sono andate diversamente. Cominciamo dal fondo, ossia da ciò che ci ha lasciato l'ultimo duplice impegno amichevole tedesco - nigeriano. DUE BEI SECONDI TEMPI - Di positivo, delle sfide di Milano e Londra, restano due secondi tempi di grana buona, seppur dalle caratteristiche diametralmente opposte. Con la Germania, la ripresa ha mostrato un'Italia più arcigna, determinata, "cattiva", brava a chiudere e a ripartire, dopo gli sbandamenti della prima frazione. Nel dettaglio dei singoli, segni di ripresa da parte di Marchisio, tornato a far sentire il suo peso negli inserimenti offensivi, e di Montolivo, benché il suo apporto si sia quasi esclusivamente limitato all'interdizione, mentre confortante, per la continuità nelle due fasi, è stato il rientro di Criscito dopo la lunga assenza, per certi versi inaccettabile (grave infortunio a parte). Con lui e col prossimo recupero di De Sciglio, il problema del terzino sinistro dovrebbe avviarsi a soluzione, con buona pace degli encomiabili Pasqual, Antonelli e del declinante Balzaretti. Viceversa, in terra inglese, dopo l'intervallo si è vista un'Azzurra arrembante, capace di costruire palle gol in serie ma, purtroppo, di sprecarne buona parte. Un altro gradito ritorno, quello di Parolo, ha avuto tante luci ma anche qualche ombra: onnipresente, continuo e inesauribile, utile in copertura e bravo a liberarsi al tiro, ha mostrato però scarsissima lucidità nelle conclusioni, fallendo, palo a parte, un paio di banalissime occasioni da distanza ravvicinata. CANDREVA E GIACCHERINI VERSO IL BRASILE - Dal canto loro, Candreva e Giaccherini, le due sorprese della Confederations, stanno continuando ad esprimersi su livelli notevoli e ben difficilmente Prandelli negherà loro un posto fra i 23, nonostante il laziale perseveri nel manifestare una idiosincrasia al tiro a rete che risulta incomprensibile, avendo nei piedi il potenziale per fare malissimo (emblematica un'azione del primo tempo con la Nigeria, quando si è venuto a trovare con un ampio spazio per fare esplodere il destro e invece ha continuato a tenere palla e a cincischiare, consentendo infine ai nigeriani di neutralizzare la pericolosità dell'azione). L'intesa Rossi - Balotelli, sulla quale si appuntavano gli interessi del cittì, è migliorabile ma già buona: l'azione che ha portato al vantaggio a Londra, costruita sull'asse fra il milanista e il viola, ha fatto risplendere tutte le doti del duo: potenza fisica, controllo di palla, capacità di far salire la squadra e ispirare il gioco offensivo da parte di Mario; tempismo, velocità e precisione sotto rete per Pepito. A tutto ciò occorre dare continuità, ma al momento, nell'opzione tattica con l'attacco a due punte, questa coppia rappresenta l'unica soluzione plausibile: fino a pochi mesi fa avrei scommesso sul fatto che il posto di Rossi sarebbe toccato al El Shaarawy, ma l'involuzione del Faraone è stata colossale, pur se i mezzi non gli mancano per uscire dal limbo in cui è stato cacciato anche dalla difficile situazione del Milan. INVOLUZIONE POST EUROPEA - Tutto questo per quel riguarda la stretta attualità, Poi, come detto, c'è da tracciare un primo bilancio della fase premondiale, che però ha già molto di definitivo, in quanto prima delle convocazioni per il torneo iridato resta una sola amichevole (a marzo, in casa della Spagna per un altro tentativo di rivincita): è vero, ci sono ancora partite in abbondanza di campionato e coppe europee, ma serviranno solo a chiarire le idee sulle ultime sei - sette maglie da assegnare per il Brasile, mentre al momento non è sorto nessun nuovo astro in grado di far saltare il banco con una stagione sopra le righe. E 'stato dunque, come si diceva, un anno e mezzo contraddittorio, che non ha aiutato granché Prandelli. La bella Italia del suo primo biennio di gestione, frizzante, propositiva, senza paura, capace di tenere pallino, di creare gioco ed occasioni, si è via via annacquata e intristita. Ha vivacchiato sulle posizioni acquisite, ha forse tentato di diventare grande percorrendo la strada del pragmatismo, del fare risultato con pochi fronzoli e molta concretezza, ma vi è riuscita solo in parte. DIFESA IN AMBASCE - Il pragmatismo desiderato si è spesso rivelato, alla prova del campo, un affannoso aggrapparsi al golletto di vantaggio (vedi match decisivo con la Bulgaria) o un arroccarsi attorno alla difesa per evitare il tracollo (vedi la gara di Praga con la Repubblica Ceca). Non è certo questo che intendiamo per "squadra concreta": oltretutto, la nostra è una compagine che, in questa fase storica, non può pensare di impostare il suo gioco su un atteggiamento attendista, sulla copertura, in quanto la sua terza linea sta attraversando un prolungato momento di difficoltà. A far data dalla sciagurata amichevole con Haiti, lo score, inquietante, racconta di 22 reti subite in 13 gare, cifre che non sono certo da Nazionale di prima fascia. Blindate le corsie laterali (i citati Criscito e De Sciglio a sinistra, Maggio e Abate dall'altra parte), i problemi sono al centro: Barzagli e Bonucci sono di alto livello, il problema è la continuità che li ha fatti incorrere, dalla Confederations in poi, in alcuni svarioni non degni della loro fama. Ranocchia sta recuperando le posizioni perdute, Ogbonna non pare ancora pronto, Chiellini ha ampia esperienza, coraggio e personalità ma anche una certa ruvidezza che fuori dei confini italiani non sempre viene perdonata (come accaduto nell'ultimo Real - Juve al Bernabeu).
Visto che gli uomini della retroguardia sono grosso modo gli stessi del primo biennio prandelliano, caratterizzato invece da una soddisfacente impermeabilità, è chiaro che il problema non stia tanto nella qualità degli uomini, né in un improvviso imbrocchimento degli stessi, quanto in sbalzi di rendimento eccessivi imputabili anche alla diminuita solidità complessiva della squadra, che da troppo tempo, lo ripeto, balbetta football con poche luci e molte ombre. Se il centrocampo torna a fare ciò che ha fatto egregiamente fino alla finale europea con la Spagna, cioè far girare palla, tessere trame, produrre gioco e tenere il controllo della gara, la retroguardia risulterà più protetta e, giocoforza, recupererà sicurezza; se invece continuerà a funzionare a singhiozzo e a lasciare troppo campo ad avversari anche modesti, le sofferenze dietro rimarranno, e nel contesto iridato verranno pagate a caro prezzo.
CENTROCAMPO DA RIDISEGNARE - Ferma restando l'imprescindibilità di De Rossi, uomo ovunque in grado di dare equilibrio a tutto il complesso, la sensazione è che il ritorno alla formula di Euro 2012, con Thiago Motta di nuovo titolare, non sia stata un gran trovata: nell'attesa di un pieno recupero di Montolivo, uomo chiave della gestione Prandelli non sempre esaltato come avrebbe meritato, la zona nevralgica ha bisogno della linfa giovanile, della vitalità, della corsa e dell'eclettismo dell'ottimo Florenzi di questa splendida stagione romanista, così come, qualche metro più avanti, bisognerà cercare di ritagliare uno spazio per Insigne, il quale, Rossi a parte, rappresenterebbe una variabile importante per una manovra offensiva ancora troppo legata agli estri di Supermario. Si è preso atto, come da secoli sottolineato su questo blog, che lo schieramento a quattro dietro è il più congeniale a questa squadra, dopodiché è giusto avere a disposizione più opzioni tattiche, ma sarebbe anche opportuno virare con decisione su una, massimo due formule, perché anche la continua sperimentazione di strategie ha fatto forse perdere un po' la bussola al team azzurro.
PROSPETTIVE MONDIALI - Dopo un avvio di stagione poco entusiasmante, e la perdita (grave e sottovalutata dai grandi media) della testa di serie, l'Italia è scivolata nelle gerarchie planetarie. Al momento è da quarto di finale, non di più, il che vuol dire poco o nulla, perché la Coppa del mondo spesso cambia le carte in tavola. Bisognerà presentarsi al top in quel mese, curare la preparazione in maniera più efficace di quanto sia stato fatto per la Confederations, azzeccare le convocazioni, creare l'atmosfera giusta nel gruppo, un calibrato mix fra serenità e voglia di stupire. Realismo, ci vuole, ma non pessimismo: preso atto di questa involuzione registrata a partire dalla seconda metà del 2012, ci son però tante sicurezze: c'è un'Italia che nei due appuntamenti più importanti fra quelli finora affrontati (Europeo e torneo premondiale l'estate scorsa) ha mostrato mentalità vincente, arrivando fino in fondo; c'è un gruppo non fenomenale ma di buon livello, che ha centrato quasi tutti gli obiettivi (a parte la citata testa di serie Mundial), a volte andando anche oltre le aspettative: un gruppo fatto di tanti buoni giocatori (e una rosa ampia in cui pescare, non poco in questi tempi di esterofilia spinta), di due - tre giovani interessanti e di altrettanti fuoriclasse di statura mondiale, i "vecchi" De Rossi e Pirlo e l'ultimo grido Balotelli. I citati secondi tempi con Germania e Nigeria, il ritrovato gusto del gioco e alcune scintillanti manovre di prima in velocità viste in entrambe le gare, fanno capire che le basi ci sono, non sono andate perdute, si tratta solo di rimettere a punto tutto il meccanismo. Forza e coraggio!