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Non appena mi sono imbattuto in questo testo fresco di stampa (aprile 2015), la copertina ed il titolo mi hanno subito impressionato favorevolmente e mi hanno indotto a comprarlo. Sicuramente l’argomento trattato mi interessa da sempre, ma bisogna pur dire che diversi storici italiani e stranieri, almeno da un trentennio, si sono soffermati sulla proposita quaestio con grande dispendio di energie ed avendo prodotto un numero rilevante di articoli e pubblicazioni.
Lo scrittore Gigi Di Fiore, autore di trattati storici e giornalista (dapprima al Giornale e successivamente al Mattino di Napoli), ha ottenuto il Premio Saint-Vincent nel 2001 per l’attività connessa alla pubblicazione di un quotidiano, il Premio Pedio per l’indagine storica ed il Premio Guido Dorso per gli studi sull’Italia meridionale. Ha pubblicato diversi volumi riguardanti il fenomeno sociale di diffusione dell'illegalità e del reato e anche sul periodo della storia d'Italia compreso tra gli inizi del sec. XIX ed il 1870 con riferimento alla questione del Meridione d’Italia. Tra i suoi scritti meritano una particolare menzione: 1861 Pontelandolfo e Casalduni: un massacro dimenticato (1998), La camorra e le sue storie. La criminalità organizzata a Napoli dalle origini alle ultime “guerre” (2005), I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli (2005, 2014), L’impero. Traffici, storie e segreti dell’occulta e potente mafia dei Casalesi (2008), Gli ultimi giorni di Gaeta. L’assedio che condannò l’Italia all’unità (2010), Controstoria dell’unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento (2010) e Controstoria della Liberazione. Le stragi e i crimini dimenticati degli Alleati nell’Italia del Sud (2012).
Sembra opportuno e allo stesso tempo necessario partire dall’Introduzione (Storie borboniche e identità suddista) del saggio sopramenzionato per meglio comprenderne il filo conduttore e la finalità. Gigi Di Fiore sottolinea come, a partire dai festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia, i meridionali hanno sentito l’esigenza di: «riscoprire le proprie radici e l’identità che accomuna un certo modo di parlare, agire, interpretare la realtà….». Pertanto afferma: «le radici meridionali non sono più vergogna da coprire, ma medaglia da esibire». Sono nate moltissime associazioni e siti web con lo scopo di fornire una nuova interpretazione del Risorgimento italiano e di capire quale fosse realmente la condizione economico-sociale del Regno delle Due Sicilie. Infatti evidenzia il giornalista che: «le Due Sicilie erano nazione autonoma e indipendente…..con sette secoli di vita». Inoltre esisteva un canto dedicato alla Nazione e patria napoletana composto dal musicista tarantino Giovanni Paisiello (1740-1816). Certamente sostiene che: «negli ultimi mesi del Regno delle due Sicilie ci furono i furbi….i Gattopardi, che vedevano nei Savoia, nell’unità, nel liberalismo l’unica possibilità di perpetuare, negli scenari internazionali e interni di allora, il proprio potere in ascesa, evitando sconvolgimenti da rivoluzioni sociali: i latifondisti, la borghesia terriera, burocrati, ufficiali con poco coraggio e tanto desiderio di godersi gli ultimi anni di vita con una tranquilla pensione riconosciuta dal nuovo regno. Poi c’erano gli indifferenti in attesa, quelli che aspettavano gli eventi…..nel sud, gli indifferenti furono in quel periodo la maggioranza». Infine vi erano pure coloro che rimasero fedeli a Francesco II di Borbone, andando consapevolmente incontro a procedimenti giudiziari, a carcerazioni per motivi politici e ad umiliazioni. Ufficiali e soldati che vollero difendere il proprio Paese. Lottarono per far sì che la loro patria continuasse ad esistere. Dichiara l’autore: «combatterono una guerra civile di italiani contro italiani. Già, perché comunque la si voglia nobilitare, quella tra il maggio 1860 e il marzo 1861 fu nel Mezzogiorno d’Italia una guerra civile. Non rivoluzione interna, non sollevazione autonoma e di massa contro un governo e un sovrano legittimi. Fu guerra pilotata dall’esterno, con l’appoggio diplomatico e politico-militare di Inghilterra e Francia». Francesco II decise di approntare le disperate opere volte a respingere le azioni ostili e dannose contro la Nazione Napoletana fra le fortificazioni di Capua e Gaeta, nei pressi dei fiumi Volturno e Garigliano. Pertanto non si può parlare di abbandono precipitoso e segreto, come quello messo in atto da Vittorio Emanuele III di Savoia ottantatré anni più tardi (raggiunse Brindisi, lasciando frettolosamente Roma nel 1943). Nondimeno la storiografia ufficiale non si è mai interessata di quei militari duo siciliani che rimasero fedeli al sovrano borbone, anzi vennero presentati come fortemente conservatori, zotici ed ignoranti. Lo scrittore continua asserendo: «il nuovo era uno Stato (Italia) che partiva con 300 milioni di passivo, costretto a lanciare sul mercato titoli per 500 milioni di prestiti bancari. Passività in cui facevano la parte del leone le spese di guerra. Chi perde un conflitto, dopo la pace deve pagare i danni al vincitore. Indirettamente, nel Sud, senza una guerra dichiarata, con un apparente processo di unificazione voluto da “tutti”, il pegno pagato al vincitore del Nord furono i depositi bancari in attivo, che alimentarono i conti della Nazione unificata. Tante spese erano il risultato delle guerre che il Piemonte aveva combattuto nei precedenti sei anni, a partire dalla spedizione di Crimea. Come se al Sud si fosse stati costretti a finanziare l’invasione delle proprie terre, versando denaro a chi aveva sconfitto il proprio esercito. Esasperando e semplificando, al netto degli ideali e del valore-unità bagaglio di pochi, avvenne proprio questo». I militari meridionali, deceduti per difendere il regno, ammontarono approssimativamente a 4.200. Defunti per i quali non esiste un luogo in cui deporre i loro resti, cimeli e ricordi. Non vi sono statue per quei reazionari. Invece negli Stati Uniti è possibile visitare un museo, nella città di New Orleans, interamente dedicato ai confederati e alle forze armate unioniste, da sempre trattate con stima e considerazione dagli Americani. Al contrario in Italia si è imposta la damnatio memoriae. Non vi è mai stato un milite ignoto delle Due Sicilie, per coloro che persero la vita a Milazzo, Palermo, Mola e Gaeta. Furono gli sconfitti, oltraggiati e trascurati dalla storiografia ufficiale. All’opposto ben si conoscono personaggi come Garibaldi, Cavour, La Marmora, Raffaele Cadorna, ecc. Conclude Gigi Di Fiore, sostenendo apertamente che: «forse, in una Spoon River dei vinti del Risorgimento, raccontare in maniera ampia qualcuna delle loro storie individuali, i loro ideali, i loro sacrifici, le loro sofferenze, può portare nuova luce sulla considerazione che si ha nei loro confronti. Attraverso il percorso delle loro esistenze, si ricostruiscono anche i fili e le tracce cronologiche di quel momento fondamentale nella storia del Sud e dell’Italia. Sono storie di uomini, come quelle dei loro vincitori. E gli uomini hanno passioni e impulsi. Chi non conosce si trincera dietro giudizi frettolosi e superficiali. Ecco, mi piacerebbe che, dopo aver letto queste storie, si possa pensare che, anche se sconfitti dagli eventi, gli uomini delle Due Sicilie, i “borbonici”, furono italiani perdenti. Da ricordare con rispetto, senza più esagerazioni di parte.
Da queste premesse, nasce il mio libro. È un viaggio in tre tappe. Un viaggio che parte da singole storie di uomini del Sud vissuti nel Regno delle Due Sicilie (Parte Prima - Lacrime e Sangue) e si allarga alla storia, prima e subito dopo l’unità d’Italia, del Mezzogiorno (Parte Seconda – La Difesa della Memoria). Storie di uomini eroici come Matteo Negri, il generale che fu colpito tre volte a cavallo mentre guidava i soldati nella battaglia del Garigliano contro l’esercito regolare piemontese, ma non volle abbandonare i suoi uomini. O come Francesco Traversa, comandante del Genio nell’assedio di Gaeta, guardato con diffidenza per le sue idee liberali, rimasto fedele alla sua patria tanto da morire sotto le bombe. O ancora, i fratelli Quandel: Ludovico, Pietro e Giuseppe, che, pur vivendo esperienze diverse dopo la caduta delle Due Sicilie, furono sempre accomunati dal ricordo commosso della loro Nazione napoletana.
Un viaggio nel passato che, per molti aspetti, appare ancora presente. Un viaggio che, alla fine, come sbocco quasi inevitabile arriva all’attualità e alle difficoltà del Sud (Parte Terza – Ieri e Oggi). Questo viaggio non nasce da un’ansia di separazione tra Nord e Sud, ma invece dalla ricerca delle ragioni culturali e politiche che tengono ancora insieme l’Italia in un’unica Nazione».
In ultima analisi il giudizio non può che essere assai positivo sul testo sul quale si è discettato fino a questo momento. Il linguaggio è semplice, scorrevole e comprensibile non solo da persone ferrate sull’argomento proposto. Il rigore storico del giornalista non viene mai meno. Inoltre appaiono interessanti e ben costruite l’Appendice alla parte prima, le Appendici alla parte seconda e l’Appendice alla parte terza, che approfondiscono temi già trattati nel volume. Un libro meritevole di attenzione che consiglio di regalare a coloro che sono interessati a … (desidero terminare con le ultime parole dello scrittore presenti nell’Introduzione): «un viaggio nella conoscenza, nei fatti, nei numeri, nei documenti, nelle testimonianze antiche e recenti. Una bussola d’orientamento, istruzioni per l’uso di chi del Mezzogiorno e della Nazione napoletana poco sa e quello che sa lo colora spesso di pregiudizio».
Giampiero LovelliTitolo: La Nazione Napoletana Autore: Gigi Di FioreEditore: UTETPagine:357Link