La comprensione di un fenomeno può iniziare dalle parole. E’ un metodo che può servire sia ai lettori di queste note, sia agli investigatori, come richiama la dr.essa Bompieri, quando afferma “esplorare il materiale investigativo… superando il significato apparente delle parole”.
La parola che analizzeremo oggi è particolarmente inflazionata in Vda, sopratutto in periodo elettorale : si tratta del termine “amicizia”. Ma veniamo alla parte della sentenza che parla delle peculiari caratteristiche mafiose delle estorsioni avvenute. Così recita la sentenza:
“E’ poi oltremodo significativo quanto dichiarato proprio da Michele Raso nel corso dell’interrogatorio reso al Pm il 23 gennaio 2012 (ossia tre mesi dopo che Salvatore, fratello di Michele, era a stato ammazzato a San Giorgio Morgeto, ndr). Alla domanda circa le modalità attraverso le quali egli pensava di poter convincere gli estorsori a “lasciare in pace” i Tropiano, Raso ha risposto che li avrebbe persuasi “con la forza dell’amicizia (…) dicendo che erano miei amici”. Il linguaggio utilizzato da Raso nella risposta data al magistrato è davvero eloquente ed è, per così dire, una sorta di vera e propria “confessione” dell’aggravante (della modalità mafiosa dell’estorsione, ndr).
Raso ha spiegato a parole il metodo tipico dell’ambiente mafioso e che ha caratterizzato anche l’intervento suo e di suo fratello nell’episodio estorsivo, modalità comune e condivisa dagli estorsori, dagli intermediari, dagli estorti: è chiaro che pensare di fare fruttuosamente ricorso, trattando con l’estorsore, al rapporto di “amicizia” con le vittime, al fine di ottenere l’interruzione di un’azione estorsiva attuata con gravi minacce di morte, invio di bossoli, sparatorie in casa, sarebbe semplicemente ridicolo. A meno che parlare di “amicizia” non significhi, in realtà, fare riferimento a una certa “sensibilità” nella percezione del rapporto. Quindi a un codice di comportamento, comune sia ai Raso, che all’amicizia avrebbero fatto appello, sia a Facchinieri e ai suoi complici, che tale appello avrebbero sentito.
La dr.essa Bompieri analizza ora il termine lessicale:
“Appellarsi alla “amicizia” significa in realtà rivendicare una sorta di “esclusiva” nel rapporto con alcuni soggetti, quasi si trattasse di “segnare il territorio”, garantendo, così, una sorta di “impermeabilità” dei protetti rispetto ad iniziative latamente aggressive provenienti da terzi; proprio il motivo per cui i Tropiano si erano immediatamente rivolti ai Raso. Il riferimento al concetto di “amicizia” con i Tropiano avrebbe così identificato, nel rapporto con Facchinieri, l’ambito entro il quale i Raso si riservavano una sfera di potere: esplicitazione “da manuale” della mentalità mafiosa. Da ultimo, non può sottovalutarsi il comportamento stesso dei fratelli Tropiano: sin dalla prima manifestazione della richiesta estorsiva, le vittime si rivolgono innanzitutto (non alla polizia, bensì) ai fratelli Raso.
Cioè a soggetti che, storicamente, avevano svolto nei loro confronti il ruolo di intermediari nella gestione di questioni relative a rapporti che presentavano aspetti di criticità.
Conclusione.
“Alla luce delle conversazioni registrate, è certo che i Tropiano ritenevano l’intervento dei Raso più idoneo e incisivo di quello delle forze dell’ordine: così, nonostante l’estorsore li avesse esplicitamente ammoniti a non fare ricorso a “mammasantissima”, i Tropiano interessavano della questione i Raso ancor prima della polizia. Addirittura, comunicavano ai primi particolari della vicenda (la ricezione di lettere e bossoli) che non comunicavano alla seconda; vieppiù, facevano portare avanti la trattativa dai Raso anche quando la polizia era stata, prima informalmente (conversazione con ispettore Giovanardi) e poi formalmente (denuncia a commissario Martina), investita dell’indagine. La volontà dei Tropiano, quale emerge più volte dalle conversazioni registrate, di sapere chi avanzava richieste nei loro confronti e con chi avrebbero dovuto trattare, vedendolo in faccia, seduti attorno a un tavolo, evidenzia oltremodo l’assoluta particolarità della vicenda estorsiva, che segue gli stilemi tipici dell’ambiente mafioso, dove anche per la vittima, se “protetta”, si impongono innanzitutto interessi diversi da quello dell’arresto degli estorsori, che diventa del tutto secondario, sicché la vicenda estorsiva inizia a seguire dinamiche del tutto estranee a quelle tipiche di una ordinaria estorsione.” (roberto mancini)