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La lettura dei libri di Amélie Nothomb può provocare le reazioni più disparate da persona a persona. Avevo comprato questo libro, La nostalgia felice, sulla base di un passaparola che mi aveva riportato il giudizio di lettori rimasti affascinati dal racconto, letto tutto d’un fiato senza mai potersi staccare dalle sue pagine.
Ebbene, non posso dire che la mia reazione sia stata questa. Anzi, dirò di più, praticamente una situazione del genere non mi è mai capitata con i libri di questa scrittrice, nonostante abbia amato moltissimo alcuni di essi, in particolare Metafisica dei tubi e Sabotaggio d’amore. Non posso però dire che quella della Nothomb sia una scrittura giocata principalmente sulla componente emotiva, tanto forte è al loro interno l’analisi – diciamo così – intellettualistica e - per questo - a volte cinica degli avvenimenti.
Probabilmente in questo caso molto ha contato anche il fatto che La nostalgia felice racconta del ritorno di Amélie in Giappone dopo moltissimi anni, allo scopo di ripercorrere le tappe della sua infanzia e della sua giovinezza, quelle in buona parte raccontate nei suoi romanzi precedenti, in particolare in Metafisica dei tubi, Stupore e tremori e Né di Adamo né di Eva. A me mancano all’appello questi ultimi due che non ho ancora letto, e forse questo mi ha almeno parzialmente impedito di cogliere non solo alcuni riferimenti ma soprattutto di rievocare le sensazioni e le impressioni sollevate dalla lettura di questi romanzi.
Così, personaggi come Rinri (l’ex fidanzato giapponese di Amélie) e la stessa Nishio-San (la tata della scrittrice, pur presente in Metafisica dei tubi) mi sono risultati privi di alcune dimensioni che probabilmente sarebbe stato possibile completare solo ricollegandosi ai racconti precedenti.
Devo anche aggiungere una cosa: questo romanzo è molto centrato sul rapporto tra Amélie e il Giappone, un rapporto evidentemente complesso per effetto non solo dell’esperienza particolare che la scrittrice ne ha fatto, ma anche dell’unicità e per certi versi dell’incomprensibilità della cultura giapponese, totalmente lontana da quella occidentale.
Io non conosco il Giappone (per quanto ne sia affascinata e speri un giorno di poterci entrare in contatto), e dunque faccio fatica a comprendere alcune riflessioni che Amélie propone in questo romanzo. Inoltre, personalmente la Nothomb mi intriga molto di più quando i suoi racconti diventano un pretesto per l’autoanalisi o per l’indagine di dinamiche relazionali che in qualche modo prescindono dalla specificità del contesto geografico e culturale. In quei casi mi risulta molto più facile l’identificazione e riesco a seguire la scrittrice nei meandri tortuosi di una mente non certo lineare ma decisamente capace di guardare le cose e la nostra umanità da un punto di vista non convenzionale.
Voto: 3/5
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