Io e Ruben stavamo seduti su di una panchina del parco distante pochi metri dal chiosco. Agosto volgeva verso la fine e l’aria della sera era diventata piacevolmente tiepida.
Su quella panchina di legno consunta e scribacchiata si stava svolgendo, quella che avevamo battezzato come: la nostra festa privata.
Ruben alzò in aria il bicchiere di Negroni, serrò le labbra in una smorfia di disgusto:
"Questo è il peggiore Negroni che io abbia mai bevuto. Invece che stare dietro a servire da bere non potrebbero andare in giro A SUCCHIARE CAZZI QUELLE TROIE!?” Ruggì, riferendosi alle due ragazze dentro al chiosco. Una delle due si voltò nella nostra direzione e poi disse qualcosa all'orecchio dell'altra che, ci guardò di sfuggita e continuò a shakerare e stappare bottiglie per gli altri clienti come se quell'aggettivo non fosse stato appioppato a loro due.
Io non dissi nulla, a me il Negroni non dispiaceva.
“E così ti ha detto che è confusa... La troia...”
“Ha detto che è confusa e che non vuole farmi soffrire...” risposi, sapendo che si stava riferendo a Sonia e a ciò che gli avevo raccontato qualche minuto prima.
“Le fanno con lo stampino le fiche, sempre a dire le stesse identiche stronzate.”
“Non lo so se è come le altre, non lo so, davvero, sembra speciale, e sembra volermi bene sul serio, è solo confusa...”
“Io non so che cazzo ti è successo vecchio mio, ma ti senti?”
“Che c‘è?”
“Stai prendendo le sue difese, mi sa che ti sei innamorato.”
Aprii la bocca convinto di dire no, ma non mi uscì niente. Ruben abbassò leggermente la testa e mi guardò dritto in viso nel tentativo di trovare una risposta nel mio sguardo, poi abbassò la testa e la scosse in segno negativo, si accese una sigaretta e io nel vederlo feci altrettanto.
“Fidati di me Ruben, è davvero una ragazza speciale.” Dissi.
“Ci credo vecchio, ci credo, altrimenti non me ne parleresti così. Ma mi dispiace che tu soffra ancora, ti conosco da molti anni e so che non meriti di soffrire per amore un‘altra volta.”
“Non sto soffrendo poi così tanto, anni fa ho come capito che non avrò mai un lieto fine in quel senso, illusioni di una notte e niente di più.”
Ruben sbuffò fuori il fumo e disse semplicemente: “mi dispiace, davvero.”
“Non ti preoccupare, in fin dei conti ho tante altre cose.” Dissi, contornando la frase con un sorriso sardonico.
“Sì, è vero, ti lamenti del brodo grasso, tu stai bene: hai una bella casa, hai un buon lavoro, una bella macchina, sempre qualche soldo in tasca, il tuo problema è il troppo benessere.”
Brindammo e ci mandammo a fare in culo.
“Questo Negroni fa proprio schifo, penso che non lo pagherò.”
“Fai come credi, io il mio lo pago.”
Ci fu un breve silenzio, poi dissi: “diciassette”
“Diciassette?”
“Diciassette anni.”
“Chi? La troia che c‘ha fatto i Negroni?”
“No, noi. Ci conosciamo da diciassette anni!”
Ruben rimase in silenzio e pensò. Si grattò la punta del suo importante naso e chiese: “Ti ricordi il periodo delle scuole medie?”
“Certo che me lo ricordo!”
“Come eravamo spensierati cazzo! Che bei tempi.”
“Parla per te, io avevo già nasato la merda della vita a dodici anni...”
“Ricordo che in quel periodo cercavi di scrivere un romanzo e soffrivi per una tipa. Non è cambiata proprio per un cazzo a te la vita.”
“Già, sono rimasto lo stesso identico coglione.”
Brindammo ancora e svuotammo i bicchieri.
“Andiamo a bere da un‘altra parte” disse, e continuammo così la nostra festa in luoghi più distanti da casa.