Non posso farci proprio niente.
Se mi capita di arrivare alla Stazione Centrale di Milano in pieno Agosto e alzo gli occhi per guardare il Grattacielo Pirelli, a me partono in automatico i titoli di testa della Notte di Antonioni:
Film del 1961, capitolo centrale della "Trilogia esistenziale" (o dell'incomunicabilità) insieme a L'Avventura e L'Eclisse (hai detto niente!), La Notte rappresenta per me il punto più alto della cinematografia di Antonioni, e il punto più alto della cinematografia italiana tout court. Ebbene sì, se in una ipotetica classifica dei migliori film di tutti i tempi io dovessi citare un solo film italiano, dubbi non ne avrei, il mio titolo sarebbe questo.
Antonioni sul set con Jeanne Moreau e Marcello Mastroianni
La Notte è la cronaca di 24 ore (dal mattino all'alba successiva) nella vita di una coppia, quella composta da Giovanni, uno scrittore di successo, e sua moglie Lidia. A Milano è estate, fa caldo e le strade sono semi deserte. Giovanni e Lidia vanno a trovare in ospedale Tommaso, un amico gravemente ammalato, e poi partecipano in una libreria al lancio dell'ultimo romanzo di Giovanni. Fin da subito, risulta chiaro che il rapporto tra i due è in crisi. Lidia, lievemente disgustata dall'atmosfera e dalla gente, abbandona la presentazione e si mette a vagare senza meta, finendo in una periferia deserta e abbandonata. La sera, dopo essere stati in un night club, i due decidono di partecipare ad una festa nella villa fuori città dell'industriale Gherardini. Nel corso della serata, Lidia accetta la corte di uno sconosciuto, mentre Giovanni rimane affascinato dalla giovane figlia dell'industriale, Valentina. Chiamando in ospedale, Lidia scopre che Tommaso è morto. La notte è ormai alla fine, sta spuntando l'alba, e Giovanni e Lidia si ritrovano, soli, nel parco deserto della villa. La donna inizia a leggere al marito una lettera d'amore. Lui l'ascolta, affascinato. Quando le chiede chi le ha scritto quella lettera e quando, la risposta di Lidia lo lascia senza parole: quella lettera è sua. L'ha scritta per Lidia all'inizio del loro amore.
Marcello Mastroianni - Giovanni
Jeanne Moreau - Lidia
Monica Vitta - Valentina
Ho sempre pensato una cosa: che nessun regista al mondo è stato capace di comunicare l'incomunicabilità come Antonioni. Nessuno è mai stato capace quanto lui, in maniera tanto elegante, precisa e spietata, di rappresentare la disperazione, il vuoto, l'alienazione. Antonioni è stato anche estremamente moderno, talmente avanti sui tempi che la gente faceva fatica a capirlo (penso a tutti i fischi che si era beccato con L'Avventura le prime volte che veniva proiettato... un film che ha praticamente rivoluzionato il modo e il senso di fare cinema, e che ha influenzato generazioni intere di giovani registi). Anche su certe insensatezze della vita moderna e del progresso, Antonioni era stato di una lungimiranza estrema. Se un regista come Jacques Tati aveva scelto la strada dell'ironia e dell'assurdo per mettere in ridicolo le aberrazioni del mondo moderno, Antonioni aveva scelto quella del rigore e del silenzio, rappresentando il deserto di valori e sentimenti con un deserto fisico (a volte rosso e a volte in bianco e nero) di paesaggi, di orizzonti, di strade. Il mondo di Antonioni è vuoto, fuori e dentro. Le città sono palazzi moderni dalle forme geometriche spigolose e crudeli, in cui le persone sembrano muoversi sperdute, solitarie, abbandonate. Antonioni si interroga costantamente sul perché della nostra esistenza senza riuscire a trovare una sola risposta decente. Cosa ci può salvare dall'assenza di senso e di riferimenti? La Notte, sotto questo profilo, è il suo film più spietato: la malattia e la morte (Tommaso), l'ignoranza e la miseria umana dei ricchi (l'imprenditore Gherardini, il classico cumenda milanese), la noia moraviana dei giovani che hanno avuto tutto e non desiderano niente (Valentina), lo scrittore-artista più interessato alle mondanità e al successo che a quello che scrive nei libri (Giovanni), la moglie che non ha saputo dare un senso alla sua vita al di là dell'amore, ormai morto, per il marito (Lidia). C'è tutto, non manca niente, salvo (forse) un po' di speranza.
Aiutato in questa mirabile impresa dalla penna di Ennio Flaiano e Tonino Guerra, che hanno scritto con lui la sceneggiatura, Antonioni ha scelto un trio di attori straordinari per esprimere al meglio il buio di questa notte. Mastroianni, lontano dai gigioneggiamenti delle prove felliniane, è febbrile, sperduto e fragilissimo. Jeanne Moreau, con la sua aria triste e corrucciata, è il ritratto di un disagio profondo ed immobile, mentre Monica Vitti, in quel suo modo leggero e falsamente spensierato, fa intravedere abissi di vuoto esistenziale. Ma uno dei motivi per cui amo da morire questo film, è per come Antonioni ha filmato Milano. Mi pare che lui ne abbia catturato la vera essenza, fatta di cose davvero impalpabili eppure riconoscibilissime. Il mondo di ciascuno è gli occhi che ha, ha scritto una volta José Saramago. Ma il mondo di ciascuno è anche i film che ha visto, e a me sembra di avere sempre osservato Milano con gli occhi di Antonioni.
In uno degli episodi di Die Zweite Heimat di Edgar Reitz, alcuni dei protagonisti vanno al cinema a vedere La Notte e al rientro uno di loro annuncia agli amici, estasiato: "Questo film è straordinario. Lo vedi, e poi hai voglia di spararti un colpo."
Devo essere l'unica al mondo a cui La Notte fa tornare la voglia di vivere.