La Notte di Ziggi

Da Bloggergeist

aceva un freddo fottuto quella notte. Ziggi andava in giro sempre di notte. E faceva un freddo fottuto quella notte. Andava in giro di notte perchè non voleva incontrare la gente normale. Non c’è niente di interessante nella gente normale. Ti guardano male. Ti cacciano fuori dai loro negozi quelli lì. Faceva un freddo fottuto quella notte. Ziggi entrò in un alimentari pakistano. Con quelle cazzo di porte con la campanella appesa. Puzzava come tutti i pakistani di fast-food indiano, anche le loro case puzzavano di fast-food indiano. Vedeva in tv un dvd di uno dei milioni di film musicali che ogni anno confezionano, impacchettano e inviano da quell’enorme stalattite in cui vivono, direttamente da Bombay. Era cordiale come tutti i pakistani. Aveva quegli anelloni d’oro tamarri al dito, sembrava felice.

Era felice. Ziggi prese la bottiglia che costava di meno. Un noioso Merlot del Friuli. Da 2 euro e 59. Al supermercato forse 1 e 20. Uno schifo insomma. Giusto per farsi male. 11,5 gradi… non era neanche granchè. Intanto era già uscito dal pakistano aveva pagato? Mah… Sapeva solo di aver in mano la statuetta di un elefante, una di quelle pacchianerie da pakistano che mettono sulla cassa, forse una divinità. A Ziggi non gliene fregava più di tanto. La rimise in tasca. Non gli piaceva la gente normale. Non gli rivolgevano mai la parola quelli lì. Mai. Gli altri riempiti di fiori e lui? Era come loro. Puzzava come loro. Ma a lui niente fiori. A lui solo la noia, l’oblio, inosservato come un verme. Prese in pieno la solita pozzanghera vicino al marciapiedi. Il solito coglione. Lo sapeva che ci finiva dentro. La calza zuppa. Che palle. Faceva un freddo fottuto quella notte. Come tutte le notti per uno come lui. Bottiglia alla mano si accese una sigaretta. Una Diana rossa. Una delle peggiori. O forse la migliore tra le peggiori. Chissà.

Eccoli lì. La tenera coppietta. L’allegro chirurgo e la biondissima rumena. Il nonno e la nipotina. Mano nella mano. Lei con la busta di una libreria fra le dita. Cosa gli aveva comprato? Le riviste di moda e i settimanali di gossip? Solite letture per occhi angosciati dalla solita futile esistenza, imbrattata da sprazzi di gioia, regalata dal sedile in pelle di una Bmw o dalla pelle liscia del culetto rumeno. Ziggi voleva vomitare. Avrebbe dovuto spaccargli la bottiglia in testa e fracassargli il cranio a quella spocchiosa palla di grasso. Mescolando il Merlot con il suo sangue da maiale appeso al gancio. Che si confondessero insieme colando inesorabilmente sull’asfalto, correndo verso il tombino. E poi prendere lei, sbattere tutta la sua dolcezza contro il muro e farglielo sentire. Sul serio. Alzandola da terra, aggrappato a quelle cosce di seta, infilandole tutta la mano in bocca per non farla urlare. Avrebbe proprio dovuto farlo. E mentre ci pensava e aveva preso la sua decisione, si accorse di non essersi fermato. Chissà dove cazzo erano. Vabbè la prossima notte pensò. Dove cazzo era la bottiglia? Cazzo! Come si fa a perdere una bottiglia di vino? Di vino! Proseguiva. D’altronde non poteva fermarsi. La notte è breve. Per lui ancora di più.

Quelle strade puzzavano di piscio. Piscio di cane e di essere umano. Tanto hanno la stessa puzza. I suoi pantaloni strusciavano lungo la strada, pestati dai suoi stessi piedi, chissà quanta merda raccoglievano ogni notte. Chilometri e chilometri di sfregature sotto ai talloni, ridotti in brandelli, lordi e cenci, raccogliendo ogni tipo di rifiuto. Se c’era qualcosa che stava peggio di lui erano i suoi pantaloni. Che cazzo di freddo quella notte. E quando il freddo e il piscio si mescolano danno veramente fastidio. Con l’alcol ancora di più. C’era uno di quegli stronzi punk-a-bestia per strada. Gli si parò davanti e gli chiese una sigaretta e qualche spiccio. Come se gli fossero dovuti. E poi in tasca hanno il bancomat di papà. Stronzi ipocriti. Imbottiti di droghe. Aveva gli occhi spalancati. MDMA? Forse. Sporco, con il suo cazzo di cane bavoso, che gli annusava i pantaloni lerci. Ziggi odiava i punk-a-bestia. Ma più di questi i loro cani. Puzzavano cagavano e pisciavano in giro. E poi quei cazzoni dei loro padroni si proclamavano amanti degli animali. Li facevano scagazzare ovunque e li portavano ai rave. Pensava a cosa può essere un rave per un cane. Una guerra. Merdosi figli di papà. Puzzolenti per giunta. Meriterebbero un bel destro sul setto nasale. Dritto. Sul naso. E qualche calcio in pancia. Pure al cane se cominciava a ringhiare. E proprio mentre ci pensava si sentì illuminato da una luce mai vista prima. O forse sì.

Come su un palcoscenico. Finalmente era il protagonista. L’attenzione era su di lui. Accerchiato da un aurea lucente che gli dava un potere che mai aveva ricevuto prima. Si sentiva un dio. O giù di lì. Poi le voci. Non dava importanza alle voci. Non questa volta. Si avvicinò alla luce, voleva il suo momento di gloria, non curante delle voci. Poi una fitta.
Un rumore. Un dolore lancinante allo stomaco. Cristo. Era una pallottola. Un cazzo di proiettile piantato nello stomaco. E faceva un gran male. E la luce che lo illuminava, una volante degli sbirri, il faro puntato sul corpo smilzo e alto. Adesso, finalmente, ricordava. Quel dolore, quel dolore lancinante solo perchè aveva voluto dare una lezione a quei cazzo di normali. A coloro che costeggiavano la vita, che la succhiavano trainandosi dietro le vite degli altri. Come se i lamenti di un pakistano per due schiaffi e una bottiglia rubata valessero più di una vita. Come se la testa fracassata di un chirurgo maniaco sessuale, che se la poteva ricucire da solo, avesse qualche importanza. Come se aver regalato amore ad una signorina fosse sbagliato. Come se far vomitare sangue ad uno sbandato figlio di papà del cazzo fosse più importante della vita di un uomo.

Si ritrovò lì. Anche questa volta. Era quasi mattina. Qualche vecchietta era già là, a salutare il marito o a piangere quel poveraccio del figlio morto. Ziggi tornò alla sua lapide. Riaffondò come ogni mattina, aspettando la notte. Come ogni notte. In cui, come quella volta, era uscito per rifarsi di quella vita dimenticata da tutti gli dei, di quell’esistenza ignorata, dall’indifferenza di quei normali che sono quasi un’elite, che anche adesso portava fiori a tutti, tranne che a lui.


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