A partire dalla riattualizzazione delle analisi della Scuola di Francoforte e della critica dell'industria culturale - laddove Adorno ed Horkheimer attaccano la mercificazione del tempo libero e della cultura, che impone un'uniformità ed una standardizzazione del modo di pensare e di vivere - il n° 12-13 della rivista Illusio tratta della dimensione culturale della crisi.
La forma merce si estende a tutte le relazioni umane, diventando un feticcio. Tutto diventa una cosa ed ogni cosa diventa una merce; un oggetto viene preso in considerazione solo quando può essere scambiato attraverso il denaro. Adorno applica quest'analisi all'oggetto artistico che si trasforma ineluttabilmente in una merce. L'industria culturale deve vendere l'arte ai suoi consumatori passivi, la cultura diventa un prodotto confezionato il cui unico obiettivo è quello di essere venduto, nel quadro della circolazione della merce dove non si tiene in nessun conto la qualità propria del prodotto.
E' Robert Kurz, in "L’industrie culturelle au XXIe siècle. De l’actualité du concept d’Adorno et Horkheimer", a sottolineare l'attualità della critica dell'industria culturale, in una situazione nella quale la borghesia colta valorizza il postmodernismo e la cultura pop che si accontentano di una trasgressione formale e di una superficialità assai spesso noiosa, e dove il sinistrismo postmoderno considera sempre positivi i movimenti di massa, anche quando essi abbracciano la merce ed il capitale. L'industria culturale, quindi, dovrebbe permettere dei momenti di liberazione all'interno del capitalismo!
Ma la Teoria Critica deve rinnovarsi per poter analizzare fenomeni come l'effetto di Internet e l'importanza della tecnologia nell'emergere di una nuova industria culturale. Internet e i network sociali intensificano la virilizzazione della vita quotidiana. Gli individui connessi appaiono tagliati fuori dalla realtà sociale e materiale. Dibattito e critica spariscono a vantaggio di un'interattività che non fa altro che relazionare artificialmente gli individui atomizzati. Ciascuno gestisce il suo blog ed il suo profilo facebook al fine di divenire così il suo proprio capitalista, credendo anche di divenire la sua propria star, il suo proprio eroe ma, soprattutto, il suo proprio unico fan. "Si potrebbe dire: ciascuno è la sua propria industria culturale fatta in casa, e la più parte dei prodotti sono, di conseguenza, deprecabili" - ironizza Kurz.
Tuttavia, le proposte dei teorici sembrano esprimere anche la riluttanza degli intellettuali di fronte alle nuove possibilità di espressione: grazie alle nuove tecnologie, il pensiero critico non è più monopolio di una piccola élite di intellettuali auto-proclamati, anche se i nuovi media rafforzano ulteriormente la separazione, piuttosto che l'incontro ed il confronto critico.
La controcultura tenta di attaccare l'industria culturale, dei movimenti si oppongono al capitalismo esprimendo una forma intellettuale ed artistica delle esistenze marginalizzate e dei modi di vita non-conformisti. Queste culture protestatarie rifiutano ogni dimensione "commerciale", ma queste controculture appaiono troppo marginali per poter inquietare la cultura di mercato, "soprattutto perché la loro critica rimane fenomenologicamente limitata, socialmente particolarista ed acritica riguardo le forme capitaliste, e quindi incapace di cogliere la vita sociale nella sua interezza", sottolinea Kurz. I movimenti di protesta e le loro rivendicazioni limitate vengono recuperate dallo statalismo capitalista, mentre la controcultura diventa una nuova risorsa per l'industria culturale. La trasformazione dei comportamenti e degli stili di vita deve accompagnarsi ad una rivoluzione sociale se non vuole ridursi a diventare una nuova moda.
Jordi Maiso, in "Vaine répétition? L’industrie culturelle, hier et aujourd’hui", discute dell'importanza dell'analisi dell'industria culturale che permette una critica della cultura, ma anche della società: il capitalismo non si riduce più al lavoro ed allo sfruttamento, la merce colonizza tutti i momenti della vita sociale, secondo Guy Debord. Oramai, anche il tempo libero deve sottomettersi alla logica della merce. La cultura, lo svago, il divertimento, lo sport, la televisione partecipano all'alienazione della vita quotidiana e rafforzano le forme di separazione. Il consumo ed i prodotti dell'industria culturale "s'impongono sul mercato come impiego di tempi socialmente organizzati". Il consumo diviene un criterio maggiore di identificazione individuale. Su facebook, la persona si descrive per mezzo dei libri, della musica, dei film e delle serie tv che consuma, la cultura diventa "sia il risultato che il progetto del modo di vita esistente". L'industria culturale risponde ad un bisogno sostanziale che nasce dalla frustrazione nella nostra società. "Essa pianifica e sfrutta il bisogno di felicità". La cultura permette ai desideri individuali di conformarsi alle norme e all'ordine sociale. Oggi, per mezzo della moltiplicazione degli schermi, il consumo e l'industria culturale sembrano onnipresenti; un video può essere visto istantaneamente, per mezzo di un semplice click, i contenuti si degradano a semplici stimoli, eccitanti, volti ad esprimere uno stato d'animo. Una clip viene condivisa sulla bacheca di facebook, non tanto per la qualità musicale, ma semplicemente per esprimere l'umore del momento. Il consumatore non è più passivo, egli deve partecipare attivamente alla propria alienazione e al suo abbrutimento. I nuovi media comportano anche dipendenza, dal momento che in ogni momento libero gli individui non possono fare a meno di controllare le loro mail o il loro profilo facebook. Nel contesto quotidiano di una vita mutilata e di un'individualità negata ed umiliata, i media sociali permettono di inventarsi un'esistenza propria e di affermare la propria personalità. L'industria culturale si appoggia sulle paure e sui desideri al fine di poter fondare delle nuove forme di socializzazione, il divertimento diventa un prolungamento del lavoro, la festa, il gioco devono essere messi in scena con l'obiettivo di una valorizzazione professionale. "Il più piccolo gioco, il più piccolo momento di rilassamento, il più piccolo scambio si fondono con il networking strategico e con l'autopromozione; tutto viene sottomesso all'imperativo di mantenere le proprie possibilità sul mercato del lavoro e dal momento che la situazione non è mai abbastanza sicura o soddisfacente, bisogna concorrere, migliorarsi in continuazione, e la minima competenza in materia di saper-essere o di vita sociale può rivelarsi utile" - osserva Jordi Maiso. Ciascuno diventa il proprio capitalista ed il proprio operaio.
Ne "La nuit industrielle. Essai sur la fête contemporaine", il trio formato da Martin Benoist, Ronan David e Fabien Lebrun osserva quella che è la "festa contemporanea" al fine di analizzare la società nel suo insieme. La festa impone dei comportamenti nei numerosi piani della vita quotidiana. La festa fa parte dell'industria culturale e dell'intrattenimento, anche se la Scuola di Francoforte parla assai poco di questo fenomeno. La critica della festa presuppone una critica del lavoro. Il divertimento "viene ricercato da coloro che vogliono sfuggire al processo del lavoro automatizzato per poi poter essere di nuovo in grado di affrontarlo", osservano Adorno ed Horkheimer, ma la festa e gli svaghi riproducono una tale automatizzazione e si imparentano al lavoro. Così, allo stesso tempo, è la razionalità strumentale che guida la vita notturna: club, dancing, bar e discoteche impongono una successione automatica di operazioni standardizzate. Il divertimento ed il ludico permettono un adattamento dei comportamenti e possono perfino partecipare al lavoro per mezzo dello sviluppo delle tecnologie e della vita robotizzata. Il capitalismo colonizza le coscienze ed il lavoro può essere osservato dappertutto: il lavoro ludico fianco a fianco col divertimento laborioso!
La festa non è più sovversiva e distruttrice ma, al contrario, permette di pacificare l'ordine sociale per mezzo del divertimento, l'intrattenimento ed altri anestetici. I media digitali ed i network sociali impongono l'intrattenimento e l'immediatezza permanente per mezzo dell'impero degli schermi. I selfie, che accompagnano ormai tutte le feste, incarnano il narcisismo con la sua auto-rappresentazione e la sua infantilizzazione. Qualsiasi avvenimento festivo impone di esserci, di esserci stati, ma non di essere. Le feste moderne, come gli "aperitivi facebook", non permettono di rompere con l'isolamento e con la routine della vita quotidiana, durante questo genere di avvenimenti, "non si esce dalla solitudine o dalla noia; ma un momento della noia viene supposto come divertente", secondo la formula di Guy Deord. I siti di incontri impongono una comunicazione per interposto schermo e partecipano alla stessa distruzione delle relazioni umane, amorose e sensuali. L'intrattenimento e lo pseudo-divertimento colonizzano tutti gli aspetti della vita quotidiana, ivi compreso il lavoro. Se la Scuola di Francoforte osserva che il divertimento è un'estensione del lavoro, ormai il lavoro è anche un'estensione del divertimento, nel senso che il divertimento diventa un mezzo produttivo. Peggio ancora, i lavoratori salariati sono obbligati a sorridere in continuazione e a far finta di divertirsi. Più il lavoro è insopportabile, più bisogna apparire conviviali. Il rendimento, la competizione, la guerra di tutti contro tutti, oramai passano per essere divertimento e gioco.
La festa, la notte industriale, adotta i principi capitalistici di efficienza e di razionalizzazione dei corpi, principi che gravano sugli individui durante il loro tempo di lavoro. Il mondo della nottee permette agli individui di liberare, in maniera particolarmente violenta, le pulsioni sessuali represse e disprezzate. Un tale fenomeno sfocia nello "sballo", per mezzo di droghe ed alcool, ed altre pratiche mortifere. Le bevande energetiche, come la Red Bull, diventano comuni sia alla festa che al lavoro al fine di imporre il regno della performance permanente. "La notte industriale non è così il tempo della creazione, della magia, del mistero e dell'erotismo ma viene ad essere il tempo della scarica brutale di un Eros addomesticato e condannato a manifestarsi in un universo erotico limitato, localizzato e funzionalizzato". I manifesti delle feste studentesche si conformano ai codici estetici più banali, la sessualità viene associata alla performance ed al consumo, senza erotismo né sensualità.
fonte: : Revue Illusio n° 12-13, Théorie critique de la crise (Volume II). Du crépuscule de la pensée à la catastrophe, Le Bord de l’eau, 2014