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Io lo vidi attraverso la fessura, quella da cui paziente osservavo i movimenti del mio principe, attendevo seduta, immobile sullo sgabello basso, che egli terminasse il suo bagno, l’occhio vigile che attende a bisogni che non ci saranno. E’ alto il mio principe, il corpo è pieno di salute, forte, appena tanticchia morbido sui fianchi, i glutei beddi duri, di chi va a cavallo. Avevo ascoltato distrattamente il dialogo con Padre Pirrone, non m’interessavano i lamenti di quell’uomo buono solo a tendere la mano (per una ragione o per l’altra, il porco), che me lo raccontavano le povere criate. Avevo visto però come sì era squatrato il mio padrone quando era uscito dalla vasca, masculo e marmurutu che manco una statua sull’altare maggiore. L’accappatoio al suo chiodo e le vesti immacolate di ricambio, perché il principe niente deve desiderare, ogni cosa è dove deve essere. Ed io qua sono, come un pezzo di sapone, la crusca per strigliarlo a dovere, il pomello della porta, lo specchio appannato. E io lo guardo senza desiderio e senza vergogna. Invece quella tonaca nera se lo guardò che gli salì agli occhi il verde veleno della bile, li socchiuse e mormorò un Gesù e Maria, ipocrita e favusu. Invidioso.Ma che fa si spoglia? C’era mancato poco che io aprissi la porta del cammarino di comodo e mi scoprisse, mi tappai la bocca con la mano per soffocare lo stupore, il mio padrone era passato nella camera sua e lui? Si stava spugghiannu, ma quante sottane porta, carne morta non sente caldo, carne ferita da un cilicio, e chi lo avrebbe mai detto! Eh padre, ne abbiamo peccati da scontare, penitenze da rendere. Pirrone si spoglia, veloce, una sottana quasi l’affuca, poi si prende di coraggio e io lo vedo attraverso la stessa fessura, ma non è la stessa cosa di prima, la carne è bianca, molle, trema improvvisamente nuda e libera, alza una gamba, si appoggia alla vasca. Si ferma un istante prima di entrare, l’acqua lattiginosa, opalescente, ancora tiepida. L’aria odora di crusca e di una virilità che forse padre Pirrone vorrebbe appiccicarsi sulla pelle. Padre Pirrone, ahahaha, mi farà mordere le dita, mi troveranno assufficata dalle risate a gambe all’aria, morta in questo stanzino. L’acqua ora s’intorbida la patina in superficie addiventa grascia, l’anima però un si po’ puliziari.E guardalo come si accarezza, come sta annusando l’acqua. Eh no, il sapone no, non quello che il mio principe fa scivolare sul suo torace forte e ampio, sulla peluria dorata.Padre Pirrone, questo è un peccato mortale. Prega pure. Segnati e scarnificati.Mi ero alzata di scatto dallo sgabello, e il rumore improvviso fece sobbalzare il parrino, si sollevò e l’acqua andò da tutte le parti, poco ci mancò che non si allavancasse per terra, sulle sue robbe fituse e nivure. Uscì neanche che il demonio gli avesse morso il sedere, lo vidi infilarsi prima le scarpe con i piedi bagnati, affollarsi le vesti una sull’altra, pareva invasato, e allora mi misi a fare delle voci basse, così per scherzo a sussurrare, e vidi quei quattro peli radi e grigi sulla natura vecchia che gli si rizzarono, ma la natura morta restò. Si scantò buanu.E allora sussurrai più forte e lui scappò come un surci di fogna, bagnato e lordo. Si sarebbe beccato un malanno, pensai mentre cominciavo a pulire la vasca.
Adele Musso