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La nuova era delle relazioni interamericane con un protagonista d’eccezione: la Cina di Xi

Creato il 07 luglio 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La nuova era delle relazioni interamericane con un protagonista d’eccezione: la Cina di Xi

Gli Stati Uniti ci riprovano. L’amministrazione di Barack Obama cerca di rientrare nell’ex “Washington’s backyard” questa volta non per riaffermare questioni di natura geopolitica legate alla “sicurezza emisferica”, vero e proprio cruccio statunitense nel periodo del conflitto bipolare e non solo, ma piuttosto per sottolineare l’esistenza di forti interessi economici che il “gigante del nord” condivide con diversi paesi latinoamericani, Brasile e Messico in primis. Se da una parte c’è chi ritiene che questa nuova era nelle relazioni tra Stati Uniti e America Latina sia possibile soprattutto in seguito alla morte di Chavez, che aveva fatto dell’anti(nord)americanismo il proprio cavallo di battaglia, dall’altra c’è invece chi sostiene che Washington abbia deciso di riaffacciarsi nel suo cortile di casa per approfittare della crescita esponenziale delle economie sudamericane e approfondire un discorso economico che dura da diversi anni e dal quale gli Stati Uniti traggono un notevole beneficio.

Le visite presidenziali in America centrale e meridionale sono state inaugurate dal viaggio di Obama in Messico il 2 maggio scorso. Lo scopo delle visite, secondo quanto ha riferito la Casa Bianca, è stato quello di rinsaldare i legami culturali ed economici che legano gli USA allo Stato centroamericano1. Nel corso dei due giorni durante i quali Obama è stato ospite in Messico, il Presidente nordamericano ha avuto modo di incontrare Enrique Peña Nieto, eletto capo di stato nel dicembre 2012, il quale ha avviato un vasto programma di riforme economiche e non solo che interessano particolarmente all’inquilino della Casa Bianca. Il Presidente messicano ha infatti varato una serie di riforme di stampo liberale che hanno ottenuto la rimozione di monopoli e di colli di bottiglia che stavano di fatto frenando l’economia messicana, consentendo al paese di raggiungere un’economia vigorosa che si avvicina, oggi, al livello di crescita dei BRICS e con un tasso di disoccupazione inferiore al 5%. Nel programma di Peña Nieto rientrano anche importanti riforme per il settore dell’istruzione, delle telecomunicazioni (questa riforma approvata dal Congresso messicano è destinata ad incrementare gli investimenti esteri e a rendere il settore delle telecomunicazioni messicane più aperto e competitivo a scapito di veri e propri monopoli domestici, come quello rappresentato da Televisa o da America Movil, la compagnia di telefonia mobile di proprietà di Carlos Slim, attualmente l’uomo più ricco del mondo)2, e del settore energetico, anche se il capo di stato messicano ha promesso che la compagnia petrolifera nazionale Pemex non verrà privatizzata.

Oltre al piano di riforme economiche, Peña Nieto ha posto grande attenzione anche nella ricostruzione dell’immagine del Messico, cercando di distogliere l’opinione pubblica mondiale dalla guerra contro i cartelli della droga che in passato ha provocato più di 60 mila morti e di dimostrare che in anche in Messico è stato avviato un processo di democratizzazione sul modello di quello brasiliano impartito da Lula. Nonostante la guerra al narcotraffico abbia spesso visto Stati Uniti e Messico l’uno di fianco all’altro e sia stato un tema delicato affrontato a più riprese da Washington, non ha riscosso molta attenzione durante gli incontri del maggio scorso tra Obama e il Presidente messicano, i quali hanno invece preferito trattare questioni legate alla riforma migratoria e ai rapporti commerciali bilaterali. Con più di 500 miliardi di interscambio nell’anno passato, il Messico è il secondo partner commerciale di Washington. Secondo il Presidente americano, affinché si possano creare più posti di lavoro negli Stati Uniti è necessario incrementare i commerci e vendere più prodotti possibili nel mondo. “Al momento più del 40% delle nostre esportazioni va al Messico e nel resto dell’America centrale e meridionale. Queste esportazioni stanno crescendo più velocemente di quelle con le altre parti del mondo, se si considera che negli ultimi sei anni le esportazioni statunitensi verso le nazioni dell’America centrale sono cresciute del 94% e le importazioni sono salite all’87%3.

L’obiettivo dell’incontro con Peña Nieto e il motivo annunciato della visita di Obama in Messico risiede proprio nella necessità di rafforzare i legami economici e commerciali esistenti tra i due paesi, a fronte delle riforme introdotte dal Presidente messicano relative all’apertura del settore delle telecomunicazioni agli investimenti esteri, che permetterebbe agli Stati Uniti di investire in un paese in cui tale settore era praticamente off limits fino a pochi mesi fa, ma anche di contrastare l’avvicinamento della Cina che attualmente risulta essere il secondo partner commerciale dello stato centroamericano. Il 75% delle esportazioni messicane in Cina sono prodotti in rame o cellulari, mentre il 97% dei prodotti esportati dalla Cina in Messico sono prodotti che puntano ad arrivare in Europa passando proprio per il Messico. Le principali compagnie cinesi presenti nello stato centroamericano sono Huawei Technologies e Zte Corporations per quanto riguarda il settore delle telecomunicazioni, China Worldbest Group nel settore tessile, Huaxi Group in quello minerario e Lenovo Group in quello informatico, mentre le aziende messicane presenti in Cina sono Bimbo, Softtek, Katcom, Grupo Televisa, AereoMexico e Tamsa4. Il consolidamento dei rapporti commerciali tra il gigante del nord e il Messico è, dunque, fondamentale poiché andrà a creare un’economia più solida in America Latina e porterà alla creazione di nuovi posti di lavoro e conseguentemente ad una riduzione considerevole delle migrazioni verso nord, vera e propria spina nel fianco nelle relazioni tra i due paesi.

Un altro tema particolarmente importante affrontato dai i due leader è stato quello relativo alla transizione dell’intelligence messicana da un apparato controllato e manovrato da funzionari statunitensi ad un sistema d’intelligence gestito esclusivamente da funzionari messicani. A gennaio, Peña Nieto ha annunciato la creazione di un Centro d’Intelligence Nazionale (Centro Nacional de Inteligencia) che dovrà porre fine a tutte le operazioni d’intelligence condotte congiuntamente alla CIA, FBI e DEA. Inoltre questo processo di transizione ha portato alla rimozione di numerosi funzionari statunitensi dai Binational Offices of Intelligence, istituiti a Città del Messico e ad Escobedo, nello stato di Nuevo León. Questa decisione presa da Nieto non ha entusiasmato Barack Obama, il quale ha deciso comunque di lasciar avviare il processo di rinnovamento dell’intelligence messicana e osservare i risultati di tale cambiamento, consapevole anche del fatto che le operazioni della CIA nel paese centroamericano continueranno indisturbate considerata l’importanza strategica della regione5.

Il viaggio in America Centrale di Barack Obama è proseguito con la visita in Costa Rica, dove ha incontrato Laura Chinchilla, capo di Stato del paese caraibico e con la quale si è intrattenuto parlando di economia, rapporti commerciali e processi democratici. Sebbene diversi analisti politici abbiano definito la visita di Obama a San Josè come un semplice “pit stop” prima di ripartire per Washington dopo due giorni intensi di lavoro in Messico, l’opinione del Ministro degli Esteri costaricano Enrique Castillo è stata più che favorevole e ha ribadito che tale visita ha consentito di riaffermare il ruolo del Costa Rica negli aspetti economici e d’integrazione dell’America centrale. Nel corso di questa visita, Obama ha partecipato a due incontri a San José, uno dei quali con i sette presidenti centroamericani, tra cui anche il Presidente della Repubblica Dominicana Danilo Medina, che è ruotato attorno al tema del sostegno statunitense al piano d’integrazione regionale, il cosiddetto SICA, Sistema d’Integrazione Inter-Americana, un organizzazione multilaterale che risiede sulla volontà dei singoli di stati di attuare i loro piani. Sin dalla sua istituzione nel 1991, il SICA ha dovuto affrontare costanti e numeroso sfide al fine di armonizzare i suoi progetti regionali e dato che non esiste un piano di azione comune per l’America centrale, ne tanto meno risorse comuni, ogni singolo paese membro cercherà di raggiungere i propri obiettivi nazionali autonomamente fino a quando non verranno armonizzati in una singola agenda. Ciononostante, tutti gli Stati membri del SICA si sono mostrati d’accordo nel voler rafforzare e riaffermare i loro legami economici e commerciali con Washington, vero e proprio punto di partenza per consolidare il progetto d’integrazione caraibico.
Obama ha dimostrato di credere nel disegno d’integrazione regionale centroamericano, ricordando che gli Stati Uniti si sono impegnati a sborsare, ad oggi, circa 497 mila dollari per progetti di prevenzione della violenza e di sicurezza in America centrale6.

Secondo diversi analisti, l’impegno di Obama durante gli incontri di San José e la promessa di nuovi investimenti nei paesi centroamericani servirebbe esclusivamente a nascondere il vero interesse nordamericano nella regione, ossia quello di contrastare l’approfondimento delle relazioni economiche e commerciali della Cina di Xi con la regione caraibica. Infatti è di pochi giorni fa la notizia della conclusione del viaggio di Xi Jinping in Costa Rica, durante il quale il Presidente cinese avrebbe garantito al sindaco di San José Johnny Araya e al Presidente Chinchilla un’incursione economica cinese con progetti del valore di quasi due miliardi di dollari, tra cui il rinnovamento di una raffineria di petrolio, la costruzione di una autostrada e di numerose infrastrutture pubbliche. “Le relazioni tra Cina e Costa Rica possono diventare un modello di cooperazione tra paesi di diverse grandezze e diverse condizioni nazionali”, queste le parole di Xi al termine del suo incontro privato con la Presidente Laura Chinchilla, la quale ha anche voluto sottolineare come il Costa Rica sia l’unico paese centroamericano a riconoscere Pechino e non Taiwan7.

I progetti legati alle infrastrutture costaricane saranno finanziate dalla China Development Bank, dalla China National Petroleum Corporation e, in parte anche dalla Refinadora Costaricense de Petróleo (RECOPE). Tra i piani di investimento presentati da Xi emergono anche delle linee di credito offerte al Costa Rica per l’acquisto di circa 50 mila pannelli solari e quasi 10 mila computer per le scuole pubbliche del paese oltre ad aver garantito un incremento degli scambi commerciali tra i due paesi. Il successo della visita di Xi prima in Costa Rica e successivamente in Messico e Trinidad e Tobago ha dimostrato agli Stati Uniti che la regione centroamericana non è più a loro esclusivo appannaggio economico e che gli investimenti e il capitale cinese promesso ai diversi paesi della regione caraibica potrebbero minacciare i loro progetti di espansione economica. La scelta degli stati centroamericani da visitare non è stata casuale, infatti Xi ha deciso di recarsi dapprima in quei paesi che hanno una “relazione speciale” con Pechino (tralasciando, ad esempio, il Nicaragua di Daniel Ortega la cui scelta non sarebbe stata vista così di buon’occhio da Washington): Trinidad e Tobago è stato il primo paese dei Caraibi a riconoscere la Repubblica Popolare cinese, votando anche a favore di quest’ultima per l’ingresso all’ONU nel 1971; il Costa Rica, come già affermato precedentemente, è l’unico in America centrale ad avere rapporti con Pechino e non con Taiwan e infine il Messico, uno dei quattro partner strategici latinoamericani di Pechino. Inoltre, non passa inosservato il fatto che questi tre paesi centroamericani sono geograficamente e politicamente vicini agli Stati Uniti e non a caso scelti anche da Obama e da Biden come mete per i primi viaggi presidenziali in America Latina dopo la rielezione di novembre. Sembra che alla base di tutto ciò ci sia un messaggio più o meno velato che Pechino vuole inviare a Washington.

La Cina di Xi, per assicurarsi la crescita del proprio sviluppo, deve guardare in tutte le direzioni, senza tralasciare nessuna zona del globo e così facendo dimostra agli Stati Uniti che per assicurare un mutuo beneficio ad entrambi i paesi, bisogna gettare solide basi di fiducia reciproca, per cui come l’America Latina non è destinata ad essere teatro di competizione strategica ed economica tra Stati Uniti e Cina, non dovrebbe esserlo neanche l’Asia orientale dove molto spesso, invece, Washington si ritrova a fomentare networks politici ed economici con paesi politicamente ostili a Pechino e più favorevoli a Taiwan8. “La Cina vuole ricordare agli Stati Uniti che così come Washington esercita una certa influenza su paesi vicini alla Cina, anche Pechino ha sempre più potere nella gestione degli affari in paesi limitrofi agli USA”, questa l’opinione di Matt Ferchen, esperto del Carnegie-Tsinghua Center for Global Policy di Pechino, il quale ha anche sottolineato il diverso atteggiamento che avevano gli ex Presidenti cinesi nei riguardi del “Washington’s backyard”, un atteggiamento di totale riverenza rispetto all’America Latina, da sempre considerata un’esclusiva pertinenza nordamericana, mentre oggi Xi sembra fare meno caso alle cortesie di circostanza e puntare più al sodo. Già dal 2009, infatti, la Cina ha soppiantato gli Stati Uniti diventando il numero uno dei partner commerciali del Brasile, l’economia più florida e solida dell’intera America Latina mentre nel 2011 gli investimenti diretti cinesi in questa regione hanno raggiunto i 22,7 miliardi di dollari9.

Altra tappa fondamentale delle visite organizzate dalla Casa Bianca in America Latina è stato il Brasile di Dilma Rousseff in cui si è recato il Vice Presidente Joe Biden. Già nel primo incontro con il Presidente brasiliano, Biden non ha perso tempo per affermare la necessità di rinsaldare una relazione economica più profonda e forte tra le due economie più solide del continente americano. “Siamo pronti ad un coinvolgimento più ampio e profondo nelle relazioni con il Brasile su tutti i fronti, da quello militare, all’istruzione, al commercio e agli investimenti” ha affermato Biden dopo l’incontro con Dilma Rousseff. Il Vice Presidente americano ha avuto anche parole di elogio per il Brasile, lodandolo per la recente cancellazione dei 900 milioni di dollari del debito africano, a dimostrazione di come il Brasile sia divenuto una nazione “responsabile” sulla scena mondiale e di quanto sia riuscito a coniugare nel migliore dei modi lo sviluppo e la crescita economica con l’idea di democrazia10. Una crescita notevole delle relazioni tra Washington e Brasilia si è registrata soprattutto dopo l’elezione di Dilma Rousseff, nel 2011, soprattutto a fronte del fatto che ha adottato una politica estera meno connotata a livello ideologico rispetto a quella del suo predecessore, Lula Da Silva, il quale aveva fatto amicizia con l’Iran e spingeva il Brasile sempre più vicino alle posizioni “antistatunitensi” del Venezuela di Chavez. “L’atmosfera tra i due paesi sta migliorando rapidamente anche perché il Brasile ha preso le distanze da questioni politiche globali controverse come l’Iran”, ha confermato Eric Farnsworth, Vice Presidente dell’Americas Society, un forum dedicato a rinsaldare i legami tra gli Stati Uniti e l’America Latina11.

Nonostante numerose aziende statunitensi si fossero lamentate con il governo brasiliano di aver imposto barriere commerciali eccessive e sistemi fiscali paralizzanti, Washington e Brasilia possono contare oggigiorno su diverse collaborazioni e partnership più che redditizie. Si pensi alla compagnia aerospaziale brasiliana Embraer che ha vinto un appalto presso l’aeronautica statunitense relativo alla costruzione di 20 aerei e alla collaborazione nella realizzazione del jet militare KC-390. La compagnia statunitense Boeing, dal canto suo, ha vinto un appalto di 4 miliardi di dollari per la costruzione di 36 aerei finanziato dall’aeronautica brasiliana12. I bussinessmen brasiliani e statunitensi hanno da tempo percepito la “special relationship” che lega i loro rispettivi paesi e, proprio per questo, hanno spinto l’acceleratore per la realizzazione di una partnership strategica che permetta norme più flessibili in tema di investimenti, un trattato bilaterale per abolire la doppia tassazione e l’esenzione del visto per rendere più facili gli spostamenti di turisti e imprenditori tra i due paesi. Tuttavia, va sottolineato che mentre Biden auspica ad un rapporto economico e commerciale sempre più stretto con la settima economia mondiale, è lontana l’idea di un accordo di libero scambio, considerato che il paese latinoamericano è membro dell’unione doganale sudamericana MERCOSUR che prevede l’unanimità dei paesi membri sulle questioni di natura commerciale. Mentre l’economia brasiliana raggiungeva un vero e proprio boom negli ultimi dieci anni, la Cina spodestava gli Stati Uniti dal ruolo di principale partner commerciale del Brasile, grazie anche agli ingenti acquisti di soia e di ferro.

Proprio lo scorso marzo, il Presidente cinese Xi Jinping incontrò Dilma Rousseff a Durban, in Sud Africa. Questo incontro servì ai leader dei due paesi per riconoscere il ruolo che le rispettive economie rappresentavano l’uno per l’altro, infatti Xi non perse occasione di affermare che: “I legami tra Cina e Brasile sono andati oltre il confine delle relazioni bilaterali, infatti entrambe le nazioni vedono lo sviluppo e la crescita dell’altro come una propria opportunità di sviluppo e la considerano una scelta strategica per incrementare la cooperazione tra i nostri paesi13. Anche in Brasile, dunque, l’intenzione di Pechino è quella di consolidare i rapporti e i vincoli commerciali in settori specifici dello stato brasiliano, quale quello energetico, minerario, aerospaziale e tecnologico. Dunque, rispetto a quanto detto finora, appare chiaro che il rinnovato interesse economico e commerciale degli Stati Uniti nel loro “cortile di casa” può essere letto come un tentativo di non rimanere fuori da un contesto economico particolarmente succulento, soprattutto dinanzi alle incursioni cinesi nella regione latinoamericana. Una cosa è certa, questa “sfida” sino-statunitense a suon di investimenti potrebbe rivelarsi proficua per la crescita economica di diversi paesi caraibici e sudamericani.


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