La nuova Italia secondo Silvio: il Governante, i vassalli, i valvassori, i valvassini, i contadini liberi...
Creato il 28 ottobre 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Partiamo da un dato storico. È dai tempi di Karl Marx che il “mercato” (e non l’economia che esiste da che mondo è mondo) condiziona la politica e la vita sociale, e infatti il filosofo tedesco scrisse “Il Capitale” mica “Eutanasia di un amore”. Perché se non lo facessimo, il via libera dato dal Consiglio d’Europa alla lettera d’intenti di Totò e Peppino avrebbe tutt’altro significato. Se non partissimo da una considerazione squisitamente “di mercato”, potrebbe sembrare che i quacquaracquà che stanno guidando l’Italia siano diventati improvvisamente dei geni, il che, tranquillizzatevi, non corrisponde al vero. Per capire le ragioni che hanno spinto i maggiorenti della UE ad accettare il pericoloso “nulla berlusconiano” occorre partire dalla Grecia, che poi è come se per andare a Pechino non passassimo per Mumbai ma per New York. Terminato alle prime luci dell’alba, il vertice europeo ha deciso di salvare Atene dopo aver raggiunto l’intesa su un “haircut” (un taglio degli interessi bancari) del 50 per cento contro il 21 concordato nell’Eurogruppo del luglio scorso. Questo ha significato che il debito greco, grazie a un’intesa con le banche private, è stato decurtato in un sol colpo di 100 miliardi di euro. Funzionando come una specie di domino, in cui se cade la prima tessera le altre le vanno appresso, se la UE non avesse deciso di lanciare un’ultima ciambella di salvataggio a Papandreu e soci, la seconda tessera a cadere sarebbe stata l’Italia e non importava che subito dopo sarebbero franate le economie dell’Irlanda, del Portogallo e della Spagna (con la Francia a seguire), l’Euro avrebbe miseramente terminato la sua travagliatissima esistenza. Il dubbio che a un certo punto ci era venuto circa l’entusiasmo con il quale è stata accolta la lettera di Silvio, è stato cancellato dalle prime dichiarazioni di Sarkozy rilasciate subito dopo la fine del vertice: “Abbiamo salvato la Grecia per salvare l’Italia. Se non lo avessimo fatto sarebbe stata la fine dell’Europa”. Non sappiamo se tirare in ballo ancora una volta lo “stellone” italiano, quella sorta di congiunzione astrale che ci consente di uscire, da che storia è storia, dai casini nei quali spesso ci infiliamo con le nostre stesse mani quasi senza danni, quello che abbiamo capito è che Silvio e Umberto avrebbero potuto anche scrivere una lettera che iniziava con “Cara Befana” che il risultato sarebbe stato lo stesso. Lo sappiamo noi e lo sapeva anche Berlusconi quando, fra i provvedimenti da adottare, ne ha inseriti alcuni criminali come la precarizzazione dei contratti a tempo indeterminato e i licenziamenti indiscriminati. Insomma, pur di continuare a tenere in vita il feeling che lo lega a una buona parte degli industriali e dei capitalisti italiani, Silvio ha azionato la falce della morte per gli impiegati e gli operai manco fosse il Bergman del “Settimo sigillo”. Insensibile ai richiami di chi voleva una lotta all’evasione fiscale senza quartiere, l’introduzione della patrimoniale, la riduzione delle spese della politica, l’abolizione di tutti i condoni possibili e una tassazione vera sui soldi sporchi rientrati dall’estero, Silvio ha continuato imperterrito sulla strada del genocidio del ceto medio preferendo quella del “bivio sociale” che prevede i ricchi da una parte e i poveri dall’altra, categoria alla quale è concesso sì di fare la carità ma non sempre. E se qualcuno tentasse di smentirci gli chiederemmo di prendere in considerazione le reazioni degli industriali e quelle dei sindacati, con i primi che plaudono e i secondi che minacciano lo sciopero generale. In questa occasione, insomma, Silvio è stato più sensibile ai richiami del tosatore principe dei diritti dei lavoratori, il cattolicissimo ministro Maurizio Sacconi (il cui desiderio inconfessabile è quello di trombarsi una suora), che non a quelli di Giulio Tremonti (Nobel per l’Economia in pectore) che, per bocca del suo amico di bistecche d’orso Umberto Bossi, alla ormai famigerata lettera d’intenti non ha messo neppure una virgola. Spacciandoli per provvedimenti di interesse nazionale, Silvio ha colto l’occasione per iniziare la sua grande opera di riforma dello stato, un colpo di genio creativo che neppure le menti più fervide del centrodestra italiano avrebbero mai potuto concepire. Aiutato dal fido Sandro Bondi, esperto medievalista, Silvio ha preso carta e penna e riscritto la struttura sociale piramidale dell’Italia che sogna: al primo posto, al vertice della piramide, c’è il Governante o Signore. A scendere, i Vassalli, i Valvassori, i Valvassini, i Contadini Liberi e i Servi della Gleba. Il codice penale della nuova forma di stato sarà interamente basato sul Guidrigildo, mentre quello civile sullo “Ius primae noctis”, ché non si dica che il Governante o Signore, violenti chicchessia. Teniamoci pronti, proletari eravamo, servi della gleba diventeremo.
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