A seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno sostituito la Strategia di Contenimento – retaggio dell’epoca della bipolarità e rivolta all’avversario comunista – con la Strategia della Guerra Preventiva, che consiste nell’anticipare unilateralmente qualsiasi possibile attacco alla sicurezza degli USA, senza delimitare spazi geografici, specificare la natura del nemico né fin dove arriva l’ambiguo concetto di ‘terrorismo’.
Questo processo ha portato il mondo a una situazione di maggiore insicurezza, perché la più grande potenza globale della storia, nonché l’ultima nella teoria di Brzezinski, assumeva come nucleo della sua Strategia Nazionale non un nemico ma una tattica di violenza, dal momento che il terrorismo, al di là delle sue matrici e forme, è una tattica di violenza con fini politici.
Lo scenario geopolitico ha prodotto lo scontro tra gli Stati Uniti e il cosiddetto ‘mega terrorismo globale’, in una visione ideologico-strategica che, sul piano militare, con le invasioni di Iraq e Afghanistan, si è trasformata in un pantano per la maggiore potenza militare della storia, passando dalla cosiddetta Rivoluzione militare o Guerra di Quarta Generazione – in sostanza l’applicazione dell’informatica alla interoperabilità bellica – della Prima Guerra del Golfo del 1991, alle Guerre Asimmetriche e di Controguerriglia in Afghanistan – 2001 – e nella Seconda Guerra del Golfo – 2003.
Al punto che gli Stati Uniti, attraverso il generale a cinque stelle David Petraus, riprendono la strategia della controguerriglia; Petraus è anche l’autore del nuovo Manuale di Controguerriglia (2006) – gli Stati Uniti non pubblicavano un libro su tale argomento dal Vietnam. Nonostante il prestigio di cui ha goduto negli Stati Uniti il comando del generale Petraus delle forze nordamericane prima nel Golfo e poi in Afghanistan e del riorientamento strategico dopo l’apparente iniziale e travolgente ‘vittoria’, è difficile affermare che gli Stati Uniti si trovino in una situazione di dopoguerra; anzi, il cosiddetto “dopoguerra” è un canale o un labirinto senza uscita.
Il 5 gennaio 2012 il Presidente Barak Obama e il Segretario alla Difesa, Leon Panetta, hanno presentato al Pentagono il documento intitolato ‘Mantenere l’egemonia statunitense’.
Il prestigioso geopolitico nordamericano Michael Klare sostiene che questo documento “anche se prevede un Esercito e un Corpo di Fanteria di Marina ridotti nelle dimensioni, propone di mettere maggior enfasi sulle capacità navali ed aeree, specialmente su quelle orientate al controllo e alla protezione delle reti energetiche e commerciali. Sebbene il documento timidamente riaffermi gli obblighi degli USA nei confronti dell’Europa e del Medio Oriente, dà in ogni caso maggiore importanza al rafforzamento del potere statunitense nella zona che si estende dall’ovest del Pacifico all’Asia sud-orientale fino all’Oceano Indiano” (Michael Klare, Recursos Naturales, “Rivista di Cultura”, N. Bs As. 24 marzo 2012, p. 34).
Ad una rapida valutazione, questo cambio di focus o riassestamento strategico sembra una risposta agile ad un contesto geopolitico in trasformazione.
In realtà, andando più in profondità e seguendo il pensiero di Klare, il cambio di focus risponde all’intenzione degli Stati Uniti di perpetuare la loro supremazia mondiale mantenendo la loro superiorità nei conflitti decisivi e nelle zone-chiave del pianeta, cioè nella periferia marittima dell’Asia, secondo un arco che si estende dal Golfo Persico all’Oceano Indiano, passando per il Mar Cinese e il nord est del Pacifico. Per questo il Pentagono si dedicherà a conservare la sua superiorità tanto nel mare e nell’aria quanto nella guerra cibernetica e della tecnologia spaziale.
La presenza nella Asia e nel Pacifico si proietterà e potenzierà e con ciò il suo potere di dissuasione. È ovvio che la componente navale sarà privilegiata – in particolare le portaerei e le flottiglie – soprattutto gli aerei e i missili di ultima generazione. Infatti, mentre la forza totale dell’esercito statunitense in dieci anni passerà da 570 a 490mila effettivi, Obama ha rifiutato l’idea di ridurre la flotta.
Cina, Iran e Corea del nord appaiono come potenziali avversari nella nuova Politica di Difesa, e gli Stati Uniti non “scartano l’ipotesi che avversari come la Cina ricorrano a mezzi equivalenti – sottomarini, missili antinave, guerre cibernetiche – per vincere o immobilizzare le truppe statunitensi” (Michael Klare, Idem).
Tokatlian afferma che, a partire dall’11 settembre, si sono avute tre fasi nella Politica di Difesa degli Stati Uniti:
- La Guerra contro il terrorismo (Bush);
- La Controguerriglia (fine di Bush ed inizio di Obama);
- Il riadattamento della controguerriglia, con innovative applicazioni operative;
Si individuano due elementi operativi che sorgono con Obama durante la terza fase:
- la messa a punto delle Forze Operative Speciali (Special Operation Force, SOF), create nel 1987 e incaricate di omicidi selettivi, sequestri extraterritoriali ed attacchi a sorpresa;
- l’uso di droni in Asia – Iraq, Afganistan e Pakistan. I droni sono veicoli aerei non pilotati di alta precisione.
“Dalla citata sequenza – antiterrorismo (Bush), controguerriglia (Bush – Obama) e antiterrorismo II (Obama) – deriva soltanto l’idea di guerre continue da una parte, il risentimento di coloro che ne sono colpiti e l’implementazione di metodi atroci da parte di tutte le fazioni nei contesti di conflitti asimmetrici persistenti, dall’altra” (Juan Gabriel Tokatliàn, Premio Nobel per la Pace bellicoso/guerriero, “Rivista di Cultura” del Clarin N. Bs As. P. 22, 24 marzo 2012).
Luis Alberto Moniz Bandeira accredita questa argomentazione: “A metà del 2010 i giornalisti Karen De Young e Georg Jaffe del “Washington Post” hanno rivelato che le Forze Operative Speciali (SOF) degli Stati Uniti stavano agendo in 75 Paesi, 60 in più rispetto alla fine dell’amministrazione di George W. Bush e che il colonnello Tim Nye, portavoce del Comando Operativo Speciale, aveva dichiarato che il numero sarebbe salito a 120. Queste cifre indicherebbero che il Presidente Barak Obama ha intensificato le shadow wars in circa il 60% delle nazioni nel mondo e che ha portato su scala mondiale la guerra ad al-Qa’ida, ben più in là dell’Iraq e dell’Afghanistan, e mediante attività clandestine delle SOF, in Yemen e in tutto il Medio Oriente, nonché in Africa. Inoltre, ha sollecitato un aumento del 5,7 % nel bilancio delle SOF per il 2011, portandolo a $ 6,3 milioni, più un fondo di contingenza addizionale di $3,5 milioni per il 2010. I suoi contingenti nel 2010 erano di 13000 effettivi operanti in diversi paesi e circa 9000 divisi tra Iraq e Pakistan.”
Continua Moniz Bandeira “Con questo way of war gli Stati Uniti hanno cominciato ad utilizzare macchine da guerra altamente tecnologiche come i droni (UAV), aerei non pilotati ma comandati a distanza dalla CIA, che sparano missili terra-aria AGM-14 Hellfire, o squadre del Joint Special Operations Command (JSOC) come il Navy SEALS/•3, per uccidere sommariamente o catturare (kill/capture) capi di al-Qa’ida e Talebani in Pakistan, Afghanistan, Yemen, Somalia e in tutta la Penisola Araba.
Il numero delle vittime civili uccise dai droni nel 2004 ammonta per il solo Pakistan tra le 2347 e le 2956, delle quali 175 erano bambini. Sono stati ordinati dal presidente Barak Obama almeno 253 attacchi. All’inizio del 2012 gli Stati Uniti disponevano di più di 7000 sistemi aerei non pilotati (Unmanned Vehicle Systems), i cosiddetti droni, più di 12000 a terra e centinaia di operazioni di attacco ufficiali e segrete in almeno 6 paesi” (Luis Alberto Moniz Bandeira. Israele versus Iràn, Apocalipse now!, “La Onda Digital”, Montevideo, marzo 2012).
Dato tutto ciò, ci sorge l’interrogativo di come si manifesterà in America Latina, e soprattutto in America del Sud, la nuova Politica di Difesa degli USA che, come possiamo vedere chiaramente, conserva due costanti strategiche: il concetto di guerra continua come variabile principale e come variabile direttamente legata a questa, la guerra per le risorse.
Ancora, a partire dal 27 gennaio del 2012 è stato designato un nuovo Comandante del Comando Sud, il Generale John Kelly, che visse la sua principale esperienza e maggiore realizzazione in Iraq.
Solamente rivitalizzando una geopolitica della reintegrazione sulla strada del consolidamento dell’UNASUR attraverso il Consiglio Sudamericano di Difesa, possiamo mettere a punto le strategie adeguate affinché non ci colgano, in scenari futuri, sorprese sgradevoli.
(Traduzione dallo spagnolo di Paola Saliola)