La nomina di Brancher a ministro “di che non so” è stata senza dubbio quella che ha ricondotto Silvio Berlusconi al suo habitat naturale: lo show business. A corto di barzellette e trovandosi costretto a dover raccontare sempre le stesse in tutto il mondo, il presidente del consiglio si è sentito in dovere di confermare la sua fama di one-man-show con una gag che ha raggiunto il suo obiettivo: far ridere mezzo mondo conosciuto e pure qualche eschimese con la parabola sull’igloo. La stampa mondiale, ormai avvezza alle alzate di ingegno di Silvio, ha bollato la nomina a ministro di Brancher (e il successivo tentativo di utilizzare il “legittimo impedimento”) come un “imbarazzante autogol” tanto da costringere, come ha sottolineato con il solito, sottilissimo humor britannico il Financial Times, “il presidente Giorgio Napolitano a uno dei suoi rari interventi”. Di tono non dissimile i commenti delle altre prestigiose testate internazionali (compresa l’australiana Sidney Morning Herald) che hanno ricordato il difficile momento di Berlusconi citando le dimissioni di Scajola, i guai con i finiani, le manifestazioni contro il ddl-bavaglio. Risolto con un interim senza fine il problema della sostituzione di Scajola al ministero per lo sviluppo economico (se lo tiene lui per meglio ricattare la Rai sul contratto di servizio), con un’alzata di spalle e il ricorso al voto di fiducia il ddl-bavaglio, a Silvio resta il problema dei peones di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera conta, a tutt’oggi, 34 deputati e 12 senatori che non saranno molti ma che, al momento del voto di fiducia diventano all’improvviso tantissimi. Memore della campagna-acquisti di senatori prodiani con tanto di telefonate registrate (capito perché il pallino delle intercettazioni?) a Saccà per far lavorare una sgallettata protetta da un senatore del centro sinistra, Silvio ha dato mandato agli ex colonnelli finiani, passati a suon di Suv nelle sue fila, di approntare una lista di possibili neo-acquisti. Fatti i conti, La Russa, Gasparri ed Alemanno si sono accorti per, per evitare qualsiasi problema di sorta, devono convincere dodici finiani (come gli apostoli ma anche come una squadra di calcio con annesso portiere di riserva), a trasferirsi armi e bagagli a casa “azzurri”. Silvio ha iniziato così il suo giro di consultazioni, cercando di far passare i problemi del suo rapporto con Fini, per “incompatibilità caratteriali” e non per “divergenze politiche”. Come avviene nei matrimoni in cui uno cornifica l’altro senza pudore, nel momento della separazione non emergono mai le corna ma le “incompatibilità di carattere”, buone sia per la Sacra Rota che per il tribunale civile. A Fabio Granata, che Silvio ha invitato per un te a Palazzo Grazioli, ha provato a raccontare proprio la balla delle differenze caratteriali, alla quale Granata ha risposto che “le divergenze sulla legalità” non gli sembra siano proprio problemi riconducibili alla sfera personale. Altri tre finiani presunti doc hanno dovuto subire lo choc del te berlusconiano servito dalle Oba Oba fresco acquisto brasileiro: Moffa, Della Vedova e Viespoli ma il risultato della cerimonia è sconosciuto. La lista dei dodici nomi, che ci ricorda tanto quella delle dodici scimmie che erano però un esercito, è considerata top-secret ma, come accade spesso quando ad occuparsene è il duo La Russa-Gasparri, il concetto di top-secret assume un significato “open”, aperto a qualsiasi interpretazione. Si sa, ad esempio, che dall’elenco sono stati esclusi i pasdaran, gli irriducibili, quelli per i quali Fini è sacro e morirebbero per lui indossando il “berretto verde”. Sono fuori Bocchino, Bruglio e Augello a cui fanno compagnia i “guastatori” del ddl-bavaglio che sono l’avvocato Giulia Bongiorno (l’unica che riesce a far saltare i nervi a Ghedini), e i deputati Lo Presti, Consolo, Napoli e Siliquini. E tutti gli altri? “Vacillano”, ha affermato sornione Gasparri strabuzzando gli occhi dalle parti dell’Acqua Acetosa. In questo clima da guerra fredda ci stanno anche i piccoli dispetti da “il pallone è mio e tu non giochi”. Le cronache raccontano che domenica scorsa a Bologna, dopo aver preso parte a un convegno sulle infrastrutture con il ministro Matteoli, al finiano Enzo Raisi sia stato vietato l’ingresso alla colazione di lavoro con i costruttori, gli industriali e le istituzioni locali. “Mi hanno detto che avrei dovuto chiedere il permesso al ministro – ha detto Raisi –. Ho preferito andarmene”. Fatti del genere non accadevano neppure all’epoca della Democrazia Cristiana delle “correnti”. Ma i tempi cambiano. Sempre in peggio.
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La nuova squadra di Silvio. Dodici ex An freschi di trasloco
Creato il 06 luglio 2010 da Massimoconsorti @massimoconsortiPotrebbero interessarti anche :
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