Parliamo di cose serie. Nei giorni scorsi, la Corte d’appello turca ha pronunciato il suo verdetto – di secondo grado, per l’appunto – in uno dei processi contro le attività eversive delle forze armate: condanne confermate per tutti gli alti responsabili, qualche assoluzione in più per chi ha avuto un coinvolgimento minore o magari indiretto.
Qualcuno, tra i condannati, ha scritto una lettera per protestare contro il “silenzio” del Capo di stato maggiore interforze, Necdet Özel; la risposta, sempre in forma scritta, è lo specchio della nuova Turchia che ha sostanzialmente eliminato l’ingerenza anti-democratica dei militari nella sfera politica: perché il generale Özel ha con molta semplicità ricordato che lui è un funzionario pubblico, che ha espresso le sue opinioni sui processi e sui verdetti alle autorità istituzionali a cui è subordinato e che non ritiene appropriato farlo pubblicamente.
La via verso la democrazia passava da questa imprescindibile normalizzazione: adesso si può – e si deve! – pensare anche al resto (ovviamente, tra il resto non c’è il diritto alla prepotenza per le minoranze estremiste e vocianti)