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"Saramago penetra nella realtà delle cose come se si immergesse in un fluido resistente, avvertendone le asperità e le dolcezze; ne insegue, lui che ha per dovere e vocazione di negare l'insignificanza", un senso - il senso -, lottando contro le correnti dell'abitudine e del preconcetto, riservando alle cose, sempre, "un'attenzione morbosamente acuta". E' questo, in fondo, lo spirito che informa il caleidoscopico mondo delle cronache, un mondo dove i fili del presente si intrecciano con un passato mai perso, dove la rappresentazione simbolica trascorre nella concretezza cronachistica, o nel pathos memoriale, e si scopre con emozione, commozione, stupore, godimento che "il mondo e quanto esso contiene non è poi quel che la gente crede". Una mobilità tutta giocata con naturalezza sui temi più vari: la forza evocativa di un verso, di una frase, di una scritta sul muro, esili eventi del quotidiano anonimo, affabulazioni di tipo onirico che esitano tra la favola per un destinatario infantile e un'accentuata propensione per i domini del meraviglioso e del fantastico, e molto altro ancora, tutto è materia per una cronaca. C'è la statua, figura di carne pietrificata, con i suoi occhi scavati, occhi di pietra che vedono; e c'è il bambino che nel disegno di Natale dipinge la neve di nero perchè proprio quel giorno era morta sua madre, e il bambino che salva un fiore vizzo in cima alla collina attraversando il mondo più volte fino al fiume Nilo e raccogliendo ogni volta nel concavo delle mani quant'acqua vi entra."Giulia Lanciani
Saramago crea piccoli affreschi partendo dalla semplice (e complessa, nelle sue mille sfaccettature) realtà di ogni giorno. Talora sono dipinti rilassanti, consolanti, amabili; raramente sono banali o lasciano del tutto indifferenti; a volte, però ci toccano nel vivo, in un profondo nascosto, sotto la coltre di ipocrisia e consuetudine in cui ci avvolgiamo giorno dopo giorno, fingendo si tratti di una seconda pelle. E così la semplice vicenda di un gruppetto sparuto di campagnoli che non si può permettere qualcosa da mangiare in una taverna diventa un pugno nello stomaco che ci fa riflettere, specie in questo periodo di crisi, che cosa siamo diventati e quanto questa rappresentazione fittizia del mondo che ci siamo costruiti, possa essere crudele.
"Continuando così, finisco col non raccontare la mia storia e sarebbe un peccato. Arriviamo perciò al dunque, prima che si raffreddi. Mi stavo, come ho detto, sottoponendo al fastidio della piccola colazione (era prestissimo, il bar aveva appena aperto), quando entrano quattro paesani. Li avevo già visti prima, mentre guardavano la vetrina della pasticceria e il trionfalismo della porta. Mi accorsi subito che pativano gli orrori della timidezza contadina dinnanzi agli splendori che la città esibisce. Erano sicuramente arrivati la sera prima dal paese, per visitare il parente all'ospedale, e la notte l'avevano passata in una stanzuccia di pensione con la lampadina che pendeva dal soffitto, smorta e senza paralume, con gente che russava e strani odori dai pagliericci, un misto di sudore, orina e altre secrezioni segrete.Li avevo visti dal bancone e avevo scommesso con me stesso: entrano, non entrano, osano, non osano. Eccoli. Ho vinto la scommessa, e mentalmente mi metto a provocarli: sedetevi, ordinate, reclamate, discutete il conto, sfidate lo sfacciato cartello all'entrata: "Diritto di ammissione riservato". Ora sono accanto a me, in gruppo, sempre a confabulare, forse a fare i conti con i soldi che hanno in tasca, con il biglietto del ritorno, con il lusso del negozio, con il sorriso del cameriere. Lo dissimulano più che possono, ma tremano di paura: ci sono cinquanta scatole diverse di cioccolatini, trenta specie di dolci sconosciuti ed è tutto così caro, Manuel.Si avvicinano di nuovo alla porta, con l'aria indugiosa di chi pretende di salvare soltanto la faccia, e in un attimo scompaiono, sopraffatti dalla vergogna, dalla paura, sconvolti dal loro stesso coraggio che non è durato a lungo (fino a un momento fa, il caffelatte non era amaro, e il sandwich non aveva questo sapore di paglia). Erano entrati nel bar quattro cavalieri a piedi, in sella all'oblio della loro importanza, dimentichi o ignari che nulla è più alto dell'uomo, di qualsiasi uomo e in qualsiasi luogo, anche se in questo è riservato il diritto di ammissione. Quattro cavalieri che mi hanno lasciato a guardare il fondo di questo fetido cortile che molta gente garbata chiama gerarchia, pace sociale, rassegnazione di tanti alla sorte prescelta da pochi.Mancano cavalli, amici, mancano cavalli".Jose SaramagoDi questo mondo e degli altriPag. 186
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