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La pagina di un libro/34 - I pesci non chiudono gli occhi

Creato il 14 febbraio 2012 da Mapo

"Di ritorno alle case c’era odore forte di pomodoro cotto. Era iniziata la provvista di conserva, le cucine si erano date appuntamento. L’odore accompagnava i ritorni in terraferma a fine di settembre. Quel giorno avevo visto per la prima volta lo spreco del rosso di sangue degli altri. Non ero uscito dalla cabina per fermarlo. Dovevo disperarmi di quei colpi e invece avevo assistito inerte fino al loro esaurimento. Dopo che la lasciai mi salì alla testa la vergogna, lo scuorno, che non è rossore in faccia ma unpicchio che scava il nido nell’albero vecchio. Avevo mancato. Non ero stato chi chiedo di essere. Chiedo a me stesso e mi sgomento di trovarmi scarso. Prima di allora ammettevo la mia impotenza di bambino, che si sfogava in lacrime, ma dopo i colpi incassati, dopo le ferite, l’avevo superata, consegnandomi ai cambiamenti violenti. E alla prima prova di comportarmi da persona nuova, neanche avevo riconosciuto l’occasione. Continuava a essere vera la definizione di mia nonna materna, diceva che ero armato di pietra pomice e ferro di calza, “preta pòmmice e fierro ’e cazetta”. Era la miadotazione, armato di una pietra senza peso e di un ferro che si piegava subito. Me lo ripetevo tornando a casa. Il napoletano sa frustare. In nessun’altra lingua risento l’ulcera di un insulto. Chi me ne scaglia uno in italiano fa come chi tira un sasso all’ombra anziché al corpo. Dopo la sorpresa di poter nominare la parola amore, veniva l’esperienza fisica della vergogna, una presa potente sopra i nervi. Oggi so che è un sentimento politico perché spinge a rispondere per togliersela dalla faccia. La vergogna di aver lasciato andare il sangue di quei due senza una mossa mia per arrestarlo. Non ero più un bambino e in cambio ero all’incirca niente"
Erri de LucaI pesci non chiudono gli occhiPag. 103

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