E' scritto nella prefazione di Toccare i libri, scritta dall'autore, un tale Jesus Marchamalo.Si tratta di un libello, per dirla come una volta. Poche pagine, da leggere in un mezzo pomeriggio di noia, magari quando anche i social network hanno esaurito il loro seducente potere di attrarci in labirinti virtuali che assomigliano ad una specie di trappola di cui siamo spesso prigionieri consenzienti. Prima bisogna avere la fortuna di trovarlo, dato che il suddetto, edito da Ponte alle Grazie, non abbonda nelle librerie milanesi.
Volenti o nolenti, io credo, tra 10 anni staremo qui a rileggere queste righe su chissà quale tablet ancora nemmeno pensato, con un sorriso sulle labbra, rimembrando come, una volta, fossimo costretti a stampare su carta le storie che ci tenevano compagnia appena prima di prendere sonno la sera, in spiaggia come sul divano, sul tram come in biblioteca o in una piazza affollata in attesa di un appuntamento.La rivoluzione digitale, anche nel mondo dell'editoria, appare ormai come una sorta di marea inevitabile che noi aspettiamo dalle spiagge, impotenti, con il nostro romanzo in mano sotto l'ombrellone.Chiedetelo al grammofono del vostro nonno, al lettore di dischi dei vostri genitori da giovani, al walkman della vostra sorella più grande. Tutti ingoiati dall'uragano chiamato Mp3.Amazon l'anno scorso ha dichiarato, negli Stati Uniti, di aver venduto più ebook che libri in carne e dorso. Il futuro è già arrivato. La rivoluzione è alle porte, direbbe il Baricco di Barbari. La carta comincia appena ad avere il retrogusto vintage del VHS ed ecco che l'ikea già si costringe a cambiare il format delle sue librerie più vendute adattate a contenere più soprammobili che libri. Nel mondo privo di tatto in cui tutto ciò che è binario fa cool, ci sale dentro una specie di voglia di vecchi libri polverosi, ordinati per autore nelle pagine delle nostre biblioteche.
Ed ecco che, nell'attesa, noi, con il nostro mucchietto di carta impregnata di quei caratteri che Gutenberg, qualche tempo fa, ebbe il buon gusto di appoggiare su un foglio bianco, a fare le orecchie per tenere il segno, a fotocopiare una pagina che ci piace, a sottolineare con la matita un'espressione che vogliamo mettere su twitter, a perdere biglietti e bigliettini tra quelle che, ancora, si chiamano pagine. E, perdio, lo sono.
"Che senso hanno quegli scaffali strapieni che occupano tutte le pareti, ricolmi di libri coperti di polvere, quasi tutti inutili? I ripiani di Unamuno, che praticamente nascondevano i muri di casa come le mensole di una libreria dell'usato, gli scaffali di Stevenson, a Vailima, talmente stipati di libri da costringere lo scrittore a incerare le copertine in modo che l'umidità e i pesciolini d'argento non se li mangiassero? Perchè conservare libri quando sappiamo benissimo che non li rileggeremo mai più e non ne avremo mai più bisogno?Una verità indiscutibile è che i libri conferiscono a chi li possiede una certa autorità culturale, un certo prestigio, e che sono segni di ambizioni intellettuali.I libri sono anche soluzioni d'arredo: danno un dono alla casa e, perchè no, proteggono dal freddo. Nella Russia del XVII secolo, ai tempi dell'imperatrice Caterina la Grande, un commerciante, il signor Klostermann, riuscì ad arricchirsi vendendo ai nobili pile di libri in edizione di lusso che contenevano semplicemente carta straccia. I cortigiani potevano così fingere di possedere una nutrita collezione di libri senza correre il rischio di doverla utilizzare."Jesus MarchamaloToccare i libriPag. 33
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