Magazine Società

La pagina di un libro/37 - Cosa sognano i pesci rossi

Creato il 28 febbraio 2012 da Mapo
I pesci rossi, in questo caso, non sono esattamente quelli che popolano le case degli amanti degli animali del mondo dei vivi più ricchi e spensierati. In questo caso, non si tratta di quelle piccole macchie rosse che si vedono dietro le vetrine dei negozi dei centri commerciali, tra un pappagallo parlante e un cagnolino già vaccinato.Bisogna pensare a pesci un po' più grandi, che popolano bocce iperattrezzate e desolate, grossi acquari di aria e luce artificiale, dove i bip degli strumenti che dovrebbero raccontare a tutti come stai, scandiscono i minuti che, lenti e inesorabili, spesso più simili a un conto alla rovescia, passano in sottofondo. Come tutto ciò che rimane della vita, del resto.Toni melodrammatici per distinguere "quegli angoli di umanità" che sono i reparti di terapia intensiva dei nostri ospedali, dove l'ammalato di turno, ridotto ai suoi bisogni essenziali e a una sorta di macchina guasta di cui bisogna provare a lucidare ogni ingranaggio, è essenzialmente corpo. Martoriato, per giunta.
La pagina di un libro/37 - Cosa sognano i pesci rossi
Marco Venturino è un medico. Un rianimatore, per essere precisi. Che è un tipo di dottore ancora un po' diverso. Senza camice bianco, senza visite private con fattura, quasi sempre con una brutta notizia in tasca da dare ai parenti che attendono fuori dalle porte scorrevoli.Ha scritto questo libro, che si chiama Cosa sognano i pesci rossi. Anzi, questi due libri. Perchè la storia di tale "Pierluigi Tunesi, di quarantacinque anni, dirigente d'azienda", pesce rosso qualsiasi nell'immobilità della terapia intensiva di un grosso ospedale, si alterna capitolo dopo capitolo ai pensieri bagnati dall'alcol del suo curante dalla mascherina verde, dott. Luca Gaboardi, tanto umano e a tratti stronzo da risultare più che verosimile. La trama è la stessa, ma, passando attraverso la mente polarizzata dei due protagonisti, non può che scindersi in due vicende, dolorose come un pugno nello stomaco, anche solo per il loro rimanere inesorabilmente distinte e parallele.Da una parte Tunesi, ex amministratore delegato, ex marito, ex padre, ex vivo come a volte si definisce. Dall'altra Gaboardi, semi-alcolista e divorziato, quasi allergico a festività e buoni sentimenti, cinico abbastanza da odiare tutti quelli che ha intorno e che, nella maggior parte dei casi, se lo meritano.
Da leggere. Con un po' di coraggio, un ansiolitico e una certa predisposizione psicologica ad un'inevitabile claustrofobia. O ai sensi di colpa, dipende da che parte della storia state.
"Forse se fossi riuscito ad attirare l'infermiere rimasto intorno al letto gli avrei potuto chiedere, non so bene come, chiarimenti. La curiosità mi rodeva. Ma no, non era curiosità. La curiosità è quella che ti fa rallentare in automobile, quando passi vicino a un incidente per vedere i morti e i feriti. Quella che ti fa correre davanti al televisore quando senti parlare di terremoti, inondazioni o incidenti aerei e aspetti con ansia il bilancio delle vittime. La curiosità per questi eventi luttuosi è un desiderio di conoscere che, se pure non si disgiunge dal rammarico o perfino da un vago senso di dolore per le vittime del caso, non riesce a liberarsi da quel senso di gioia per essere sulla scena come spettatori e non come sfortunati interpreti. E' una gioia inconscia, profonda. Profonda come l'istinto di sopravvivenza. E' qualcosa che mentre ti fa bisbigliare "poveretti" alla vista dei massacrati dalla sorte, allo stesso tempo fa gridare quella voce interiore, che nessuno avrebbe mai il coraggio di esprimere, ma che tanto più prepotentemente ti grida dentro quando più tu le metti un doveroso bavaglio di circostanza: "E' capitato a quegli altri, io sono salvo, me la sono cavata, avrei potuto esserci io lì, e invece sono qua". Solo per pudore risparmi un "evviva", mentre assapori a fondo il piacere di vivere che solo il soffio gelido della morte scampata è in grado di farti percepire così acuto.Il mio desiderio di sapere riguardo al nuovo ospite non era di questo tipo. Come tutti gli abitanti di questo tecnologicissimo sotterraneo so bene di non avere diritto alla qualifica di spettatore. Sono sul palcoscenico, faccio parte degli artisti. Non appartengo più alla razza di quelli che stanno al di qua e guardano e inconsciamente si sentono fortunati perchè la fortuna gli ha - per questa volta, ma loro non lo sospettano -, dato le carte buone. Noi qui, siamo come i dannati sulla barca di Caronte: quando arriva uno nuovo lo consideriamo uno dei nostri; non ci stupiamo né dei suoi peccati né delle sue pene. La nostra curiosità di chi condivide la pena e vuole sapere la storia che l'ha generata, non per giudicare o fare confronti, ma solo così, per passare il tempo."Marco VenturinoCosa sognano i pesci rossiPag. 112

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :