Una favola, un sogno…... lontana, in una sontuosa cornice verde, Stupinigi appare come una costruzione di sogno, quasi fosse la reggia del principe delle favole, anziché di Vittorio Amedeo II di Savoia, che pure era stato un bel giovane. Nel 1729, all'epoca in cui volle questa dimora, aveva 63 anni, (morirà nel 1732). Lo splendido complesso architettonico di Stupinigi si inserisce nel gusto europeo del Rococò, particolarmente diffuso in Germania (Dresda, Monaco, Wùzburg).
Un'istruzione dell'architetto Juvarra dell'aprile 1729 segna l'atto di nascita della Palazzina di caccia di Stupinigi
e fissa il contratto per lo scavo, l'appalto dei mattoni, calcina, sabbia, selciati: «La detta fabbrica sarà in grado di metterla in Coperto quest'anno... secondo dimostra il disegno, e Pianta... e se non daranno in tempo la detta fabbrica per poterla coprire prima della Stagione, saranno tenuti a tutti i danni, che potrà soffrire, ovvero si metterà tanti Maestri che si farà finire a loro conto». Il cantiere procederà a marce forzate con Juvarra e, in qualità di assistenti, gli architetti Prunotto e Michela; la Palazzina doveva essere finita entro il 1730, compresa la parte rustica delle scuderie, cosi avvertiva il Regio decreto 11 aprile di Vittorio Amedeo II: nel 1731 Juvarra, che aveva dato "forma e mente" alla nuova costruzione, comprese le rotte nei boschi di caccia, avvia la convenzione con «i pittori Valeriani di Venezia» per l'affresco nella volta del Salone con il Trionfo di Diana, e il cavaliere di Orioles annota, lo stesso anno «1731, 5 novembre. Si fece la caccia di S. Uberto. L'Assemblea si tenne nella nuova Casa di Stupiniggi» (Memorie, Torino, Biblioteca Reale).
Negli anni dell'assolutismo Juvarra si stacca dai progetti dei castelli seicenteschi improntati ad una appariscente grandiosità, si lascia alle spalle le dimensioni veramente regali del castello della Venaria Reale, e propone a Stupinigi un modello di edilizia "moderna " dinamica e abitabile; le dimensioni "in grande"sono riservate non tanto alla residenza della famiglia reale e della corte, ma alla misura dell'insieme (residenza, annessi, giardini, campagna) concepito entro un ritmo scenografico aggirante.
I tempi erano cambiati, anche per le feste e le partite di caccia si cercavano altri spazi: l'architettura di Torino era stata affidata, prima dell'arrivo di Juvarra, agli architetti Carlo e Amedeo di Castellamonte e al cantiere di Guarini, poi al Plantery, per i palazzi della nuova borghesia; Stupinigi, a differenza delle altre residenze ducali, il Valentino, Mirafiori, Millefonti, Rivoli e Venaria, riservate a una stretta cerchia, era vista come un'occasione per scambi più aperti; potevano esservi introdotti i nuovissimi nobili, la borghesia, che la corte continuava ad attrarre dalla provincia alla capitale. Rivoli e Venaria avevano sofferto per gli assedi; Mirafiori e il Regio Parco erano andati distrutti; la nuova Palazzina poteva finalmente inserirsi tra i castelli all'avanguardia nel gusto europeo. Lo stesso Vittorio Amedeo II si era occupato della fondazione dell'Orto Botanico, e fin dal 1713 sono documentati lavori nella tenuta della Mandria, tra i querceti e le praterie; in seguito, dal 1719, «per gli usi di caccia della Reale Famiglia» si scelgono i boschi di Stupinigi, che erano di proprietà dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro dal 1573.
In alto, i trofei di caccia, scolpiti da Giovan Battista Bernero per il coronamento con robusto gusto vernacolare, tenendo ben presente il progetto iniziale juvarriano.Sopra, La Sala da gioco è uno degli ambienti essenziali nel percorso della "Palazzina, che alternava il gusto dell'esotismo al gioco, la decorazione del soffitto combina grottesche con motivi di Bérain e di Audran, treillages, mensole fiorite: le cineserie sono dilatate nella pittura di Cristiano Wehrlin (1765) che ritaglia scimmie, anatre, aironi, gatti selvatici, rami fioriti, con toni accesi e irreali. Qui è la scrivania attribuita al Prunotto che trasferisce nell'intarsio le scene villerecce del pittore Olivero.
II primo "pensiero" per la nuova Palazzina di caccia è concordato con l'architetto Juvarra da Vittorio Amedeo II nel 1729 e rientrava nel piano moderno previsto per ampliare la corona dei castelli ducali; ma toccava direttamente anche l'ampliamento della città, che si era ingrandita dal 1620 verso Porta Nuova, dal 1673 verso la Porta di Po, e dal 1719 appunto verso Porta Susina, verso la strada di Francia e il luogo di Stupinigi.
II “faut de l'enfance rependue partout”. L'idea dell'infanzia e all'innocenza entra come un simbolo perfetto nell'affresco del soffitto illusivo, nei pannelli eseguiti dal Perego (1765) e nelle sopraporte della Sala da pranzo; il pittore Vittorio Amedeo Rapous, pagato 1650 lire nel 1766 per questi « scherzi di putti con cacciagione» (foto in alto), intreccia i temi della caccia e di amore in un gioco di "voci bianche ", oltre un primo piano di bosco, d'acqua, di animali selvatici, come nei castelli austriaci e francesi.Pareti di ghiacci e finte porcellane nel Gabinetto, appunto, degli specchi (sopra) e, per il soffitto, cornici rocailles fiorite, per un salotto di gusto austriaco; l'effetto è quello di una globale trasposizione di delicate forme vegetali, applicate ai legni sottili, alle sete, moltiplicate dalla luce incisiva dello specchio, come metafora di una natura inventata, al pari di un giardino, ha porte dipinte, come le sopraporte e i pannelli dei lambris, sono di mano di Michele Antonio Rapous. Nella foto sottouno scorcio intatto del Gabinetto Cinese.
Con i progetti in grande di Guarini e poi di Juvarra la città aveva visto affluire mano d'opera dalla provincia: carpentieri, mastri da bosco, minusieri, intagliatori e stuccatori addetti alle nuove fabbriche, che Juvarra voleva «perfette»; sempre più esigente, mirava alla «sodezza dell'opera» e intanto raccomandava un mestiere sempre più raffinato e pulito. Applicato al suo pensiero inventivo, quel mestiere, con la Basilica di Superga, esprimeva dal 1716 la volontà d'arte del re; era seguita la facciata di S. Cristina, inserita nella scenografia classica della piazza S. Carlo, aperta ai caroselli ma anche al mercato; mentre negli stessi anni, con la facciata e lo scalone di Palazzo Madama, aveva concretato l'idea del monumento nel cuore della capitale, una scenografia aperta, con grandi finestroni che si ritroveranno come pareti essenziali a Stupinigi; la Scala delle Forbici e il Gabinetto Cinese, erano anch'essi precedenti preziosi per la Palazzina di caccia, e sperimentavano il modo più raffinato per legare architettura, stucchi e lacche cinesi, accanto a consolles, argenti e bronzi dorati.
Il Salotto Cinese, (foto sopra e sotto), è rivestito con carte da parati esotiche importate probabilmente da Londra. Il taglio della parete, con il breve zoccolo, si presta alla prospettiva arrampicata e fantastica; anche le porte decorate di arabeschi rocailles con tonalità dall'azzurro al viola pallido lasciano emergere le proporzioni astratte dei paesaggi protagonisti; una natura sempre presente a Stupinigi, quasi isola di Citerà che si poteva raggiungere da più parti attraverso i boschi di caccia e il parco. Gli affreschi del soffitto a finte prospettive con angoli fioriti, strumenti musicali, drappi brevi e colorati evitano ogni trionfalismo. Il gusto della rocaille sostiene i particolari dei legni intagliati, porte volanti e zoccolo, con fiori e bordi a cartouches, eseguiti dalle maestranze dei fratelli Pozzo e dell'Alberoni, ricordati attivi dopo il 1750 per il Teatro Carignano e per macchine e fuochi di gioia per le feste di corte. Anche le sopraporte con scenografie architettoniche ripropongono lo spazio fantastico del teatro settecentesco; spazio illusivo, protagonista in molti interni della Palazzina di caccia di Stupinigi.
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Annaemy