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La palla

Da Oichebelcastello

pallone da calcio

LA PALLA

Andrea era un ragazzino abbastanza sveglio per la sua età.
La palla era il gioco più amato da Andrea. Tutti i giochi servono ai ragazzi per il loro sviluppo intellettivo.
Le giornate di Andrea erano spensierate. No ! Attenzione non c’era assenza di pensiero, si trattava di assenza di problemi.
Non è poco per un ragazzino di 10 anni. I problemi sono sempre dietro l’angolo, ma spesso siamo noi stessi a farceli venire.
Andrea trascorreva quella sua esistenza “normale” e ne godeva in modo naturale.
Non c’erano telefonini, ipad, playstation, i trastulli erano ben altro.
Lui aveva la palla.
Gliela aveva regalata il babbo per il compleanno.
Un pallone da calcio in cuoio, cucito a mano. Non era una palla qualsiasi.
L’importanza della palla, la voglia di svagarsi sua e degli amici, tempo libero nel pomeriggio,
ce n’era abbastanza per passare un’ora al campino da gioco vicino casa.
Una partita a pallone, un momento spensierato, ma conteneva tutto il necessario per imparare a gestire le relazioni, esprimere la fisicità ed esuberanza di un ragazzo.
La prima cosa appena riuniti era “fare la squadra” e ….non era sempre la solita !
Se facevi una buona squadra avevi quasi vinto di sicuro, ma anche chi perdeva si divertiva lo stesso.
L’obiettivo in generale era vincere, ma non era così per tutti. A qualcuno bastava solo esserci.
Il fatto di essere nel campo e far parte di una squadra non era scontato.
Qualche volta arrivavano ragazzi di altri quartieri e Andrea li apostrofava :
– Te non sei dei nostri, oggi non giochi ! –
Vincere a tutti i costi comportava di giocare sporco, facendo falli o usare colpi proibiti.
L’arbitro veniva nominato ogni volta e non sempre riusciva a mantenere l’ordine.
Le liti per fortuna non erano frequenti. Andrea sapeva chi poteva far casino e tendeva ad isolarlo.
Il pallone era suo.
La proprietà del pallone gli conferiva un potere molto particolare.
Andrea non voleva usare quel potere. Era schiacciante, inusitato, lasciava tutti senza parole.
Talvolta le liti diventavano non gestibili, quando nessuno placare le grida e magari tutto era cominciato per la solita inezia come un fallo o un rigore assegnato, la mediazione del conflitto non portava ad una pacificazione serena.
Andrea allora si avvicinava al pallone, se lo metteva sotto braccio e ne andava mestamente a casa.
Non solo non giocava lui, ma non permetteva nemmeno agli altri di giocare.
Andrea era stra-convinto di agire al meglio. Del resto se giocare porta a litigare perché doveva permettere una cosa del genere,
I compagni nel rimanere senza divertimento capivano di avere esagerato, ma era un ravvedimento temporaneo. Funzionava qualche giorno, poi di nuovo liti.
A distanza di anni mi chiedo quanto il comportamento fosse utile.
Sono certo dell’utilità sociale del gioco, essere nella squadra, acquisire la capacità di relazione e quindi cominciare a scegliere e delineare il proprio ruolo nella società.
Andrea aveva la palla, questa poteva diventare un’arma per silenziare i conflitti, ma sapeva benissimo e l’aveva poi imparato a sue spese che quello non era il modo per risolverli.
La volta successiva sarebbe andata anche peggio, oltre ai conflitti irrisolti se ne potevano creare altri.
Andrea capì che nei conflitti si doveva mediare, fino alla noia.
Oggi, splendida giornata di sole, nelle colline toscane baciate da una brezza gentile, disteso su un lettino in una piscina, me ne sto ad osservare un ragazzotto della medesima età di Andrea.
Invece di fiondarsi ripetutamente nell’acqua con i compagni, si cimenta con un giochino elettronico e subito penso a quante occasioni di relazione perdono i neo-bamboccioni del 2015 e quanti genitori regalano invece dell’ultima diavoleria elettronica, una…..semplice palla !


Archiviato in:Racconti, Riflessioni, Società civile Tagged: Calcio, Racconti brevi, riflessioni, Società civile, Sport

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