Magazine Diario personale

La panchina della stazione

Da Pendolo0

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Passo le mie giornate guardando il marciapiede davanti a me e, poco oltre, il binario due. Non è una gran bella vista, a dire il vero, lo ammetto. La linea gialla, che nessuno dovrebbe oltrepassare, è interrotta proprio qui di fronte da una crepa scura sull’asfalto, da cui spuntano alcuni fili d’erba rinsecchiti. La massicciata dei binari è cosparsa di rifiuti: tre bicchieri di Estathè, due lattine di Cocacola,  una bottiglia di birra, involucri vuoti delle patatine, cartacce varie. Eppure, proprio accanto a me hanno appena sistemato tre contenitori per i rifiuti nuovi. Certo che la gente a volte è proprio incivile. Come quei ragazzini che una mattina, aspettando il treno, hanno deciso di sfregiarmi con un temperino, scrivendo sulla superficie del legno “Forza Juve”, con una brutta e storta calligrafia oltretutto. Poi ne sono arrivati altri, con un temperino più grosso hanno cancellato “Forza” e con una calligrafia ancora più brutta e ancora più storta hanno aggiunto “Merda”.

Una vita triste e monotona, la mia, penserete voi. Magari, nei miei panni, preferireste essere piuttosto la panchina di un giardinetto pubblico, dove siedono le mamme e i nonni quando portano i bimbi a giocare.  Oppure una di quelle panchine della terrazza sul lungomare, affacciata sugli ombrelloni, che guarda le onde lambire il bagnasciuga. O, perché no, una panchina di legno rifinita grossolanamente, di quelle che si trovano nei sentieri di montagna, quando il viottolo si affaccia sulla valle, rivelando un panorama mozzafiato.

Vi sbagliate però, la mia vita non è per niente monotona. La mattina, ancor prima dell’alba, inizia a passare davanti a me un mondo variegato e colorato. Le persone arrivano con andatura lenta, assonnata, alcuni si siedono mentre aspettano il treno. C’è chi ha già la forza di chiacchierare, chi sfoglia il giornale, chi legge un libro. Poi arriva il treno, i freni stridono nello sforzo di rallentare il bestione d’acciaio, le porte sbuffano prima di aprirsi. Le persone salgono e il marciapiede si svuota. Solo per poco però, già dal sottopassaggio spuntano le teste di altri viaggiatori, e poi arriva un altro treno, e poi un altro ancora.

Ma ecco che sta arrivando il regionale delle diciotto e quarantadue, che riporta a casa buona parte di quelli che sono partiti stamani. Ecco la signora con il tailleur  e i tacchi che sta sempre al telefono. Subito dietro di lei, passa la coppietta di adolescenti sempre mano nella mano, sempre a sbaciucchiarsi. E poi arriva anche la ragazza con i pantaloni larghi, gli scarponi, il berretto e la borsa di pezza e in mano quel grosso tomo dalla copertina blu. E poco più in là, il bambino, arrivato con la nonna sul binario, scalpita perché ha visto il babbo scendere dalla carrozza. E i tre venditori ambulanti con le grosse borse di plastica azzurra e il mazzo di ombrelli al braccio si allontanano chiacchierando. E i ragazzacci che l’altro giorno mi hanno sfregiato, sempre a ridere sguaiati, spingendosi goffamente, e dandosi delle spallate, per fortuna oggi non hanno intenzione di fermarsi. Ed ecco anche la ragazza nomade, quella con le lunghe trecce nere, con il cagnolino e l’organetto, la gonna a fiori e i sandali sui calzettoni a righe, anche per lei la giornata volge al termine.

E poi, anche tra l’asfalto, il cemento o l’acciaio, specialmente in primavera, qualche volta arriva una piacevole piccola sorpresa colorata, come per esempio questa:

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